Quando l'arroganza e l'impudenza camminano sottobraccio il pudore e la prudenza vanno a farsi fottere.
È questa la sensazione che si ricava dalle affermazioni che due personaggi come Corradino Passera e Roberto Colaninno hanno fatto nelle ultime ore a proposito dell'Alitalia. Per cominciare dal primo, l'ex-banchiere comasco al quale nessun libro di storia o manuale di management dedicherà qualche riga, è scattata ancora una volta quell'irresistibile voglia di dimostrare il vuoto assoluto delle sue idee nella politica industriale.
A distanza di due anni Corradino continua ad esternare sui dossier caldi di Telecom e Alitalia senza capire che i panni dello statista e del ministro sono distanti anni luce dalle sue possibilità. Davanti ai microfoni di Radio24 ha dialogato con Giovanni Minoli sul caso Telecom che ha bollato come un "massimo pasticcio", un'operazione fallita, ma non è su questo tema che si misura quel tasso di imprudenza e di arroganza che già Schopenauer nei suoi scritti aveva definito "il tratto principale del carattere degli italiani".
In realtà il filosofo tedesco parlava addirittura di "assoluta spudoratezza" ed è questo il tratto distintivo di un'italianità boriosa e autoassolutoria che ritorna quando Passera risponde sul tema dell'Alitalia. A suo avviso l'operazione Fenice del 2008 partorita nel suo ufficio di BancaIntesa è ancora da difendere perché ha consentito di salvare 30mila posti di lavoro con i 21 capitani coraggiosi che hanno cacciato di tasca loro 1 miliardo di euro.
L'autocritica non abita in casa Passera e quindi non c'è spazio per trovare nelle parole del 59enne bocconiano ex-McKinsey la più pallida indicazione sul costo per il Paese di un'operazione che si è rivelata fallimentare sotto tutti i punti di vista.
Non solo, a questa lacuna si aggiunge la difesa di quei 21 imprenditori "che ci hanno messo più di un miliardo di soldi loro". Oggi il risultato è sotto gli occhi di tutti, e anche se cambiando casacca Corradino ha dimenticato la matematica, i numeri dell'Alitalia sono raccapriccianti. Se poi qualcuno volesse capire una volta per tutte quanti "soldi di tasca loro" i capitani coraggiosi hanno messo effettivamente nell'operazione Fenice, e quali contropartite abbiano ricevuto per questa generosità sostenuta dall'ex-banchiere, allora ci sarebbe da ridere.
Resta il fatto davvero sorprendente che il padre del famoso Piano Fenice continua a parlare della sua creatura come se fosse ancora seduto sulla poltrona di ministro, e dice testualmente "troveremo un altro socio internazionale".
Nessuno lo ha autorizzato a cercare questo socio, ma lui in nome del binomio arroganza-impudenza ne parla tradendo l'ostinazione a esercitare con le parole un ruolo che non gli spetta e che ha già esercitato in maniera disastrosa.
Accanto alla sua voce si aggiunge quella di Roberto Colaninno che in una lunga intervista ad Alessandro Plateroti, vice direttore del "Sole 24 Ore", ha il pudore di fare ragionamenti un po' più articolati e riflessivi. Dopo aver detto che nessuno lo ha cacciato dall'Alitalia e che conserverà la sua poltrona fino a quando non sarà espresso un nuovo azionariato, l'imprenditore mantovano imbocca la strada di una parziale autocritica. Il senso del pudore, del tutto estraneo all'ex-banchiere e amico diventato ministro, gli consente di elencare gli errori che sono stati fatti da quando insieme ai 21 patrioti ha preso tra le sue mani la cloche della Compagnia.
E dopo aver esaltato il valore ancora forte di un'Alitalia che a suo avviso ha enormi potenzialità di business, Colaninno elenca le conseguenze di scelte sbagliate nell'area commerciale, nel marketing "e persino nella comunicazione che non sono stati all'altezza della sfida". La sua analisi è benevola nei confronti del management che definisce ottimo, ma qui non bisogna cadere in un equivoco perché davanti ai suoi occhi, ottimi sono i piloti, i caposcali, il personale di volo, i responsabili della "macchina" e degli investimenti in tecnologia.
Ben diverso è il giudizio su chi lo ha affiancato in questi anni a cominciare da Rocco Sabelli, l'uomo con il quale ha vissuto i capitoli della finanza creativa per la scalata a Telecom e l'affermazione sui mercati della Piaggio. Anche Sabelli entra nel mirino e viene accusato di essersi concentrato "nella generazione dei ricavi collaterali al servizio aereo" senza rendersi conto che la vera criticità riguardava il core business delle rotte e delle destinazioni.
Nella sua sottile, ma precisa requisitoria, il 70enne mantovano di origini pugliesi non infierisce su quella creatura innocente ed esteticamente apprezzabile di Andrea Ragnetti che gli americani hanno visto correre domenica nella maratona di New York.
Ma anche lui, Colaninno, ripete il ritornello di Passera secondo il quale i soci di Cai hanno investito più di un miliardo di tasca propria anche se ammette che il suo errore più grande "è stato quello di aver sopravvalutato la potenzialità della Compagnia emersa dalla privatizzazione del 2008".
Il riferimento è all'incapacità di capire che il grande errore è stato quello di non coprire le rotte lungo raggio che i francesi di AirFrance vorrebbero portare nel proprio grembo.
Dopo l'autocritica arriva il momento dell'orgoglio. Lasciando da parte l'illusione di un pareggio da raggiungere nel 2016, il buon Colaninno sostiene che dal 2008 ad oggi "Alitalia è diventata una delle migliori compagnie del mondo, per servizi e puntualità". Sulla base di questi presupposti aggiunge: "vogliamo rimanere partner dei francesi ma non sottomessi ai loro desiderata...dobbiamo quindi trattare fino allo stremo per valorizzare in sede negoziale le nostre qualità e difendere il nostro ruolo".
C'è spazio anche per capire che il manager mantovano non vedeva male le sinergie con le Ferrovie di Moretti e tantomeno con le Poste di Massimo Sarmi. Qui però il suo ragionamento cade nell'ingenuita' piu' assoluta quando pensa che i 30mila sportelli di PosteItaliane potrebbero portare milioni di clienti. È noto che i rapporti tra il manager dalle orecchie generose e l'imprenditore mantovano sono sempre stati più che robusti. E proprio oggi il giornalista Stefano Sansonetti sul quotidiano "La Notizia" ricorda le due mega forniture da 40 e 18 milioni che tra il 2005 e il 2012 hanno consentito alla Piaggio di Colaninno di vendere all'azienda di Sarmi più di 45mila scooter per i postini.
Ciò che tuttavia impressiona nelle parole di Colaninno non è soltanto la convinzione patetica che le Poste possano rappresentare la soluzione del dramma Alitalia.
A rendere sconcertante la sua conclusione è la tesi che nonostante gli errori e le incertezze sui quattrini destinati a salvarla, oggi Alitalia - cosi' dice testualmente - rappresenti un'occasione.
Dio solo sa come un uomo che ha passato la sua vita nell'industria possa fare un'affermazione del genere. Stiamo parlando di una società tecnicamente fallita che secondo alcuni vale 50 milioni, per altri 30, per la maggior parte addirittura zero. Certo, a questi valori comprarsi il "pacco" aereo messo in piedi dalle menti fertili del tandem Passera-Colaninno, è un affare, ma solo l'arroganza unita all'impudenza può trasformare uno dei più grandi flop industriali del dopoguerra in un'occasione di cui vantarsi.