DAL RECOVERY FINIAMO DRITTI IN TERAPIA INTENSIVA – POLONIA E UNGHERIA RIBADISCONO IL VETO AL PACCHETTO CHE COMPRENDE BILANCIO E RECOVERY. ORBAN MINACCIA L’ITALIA: “I PAESI CON ALTI RAPPORTI DEBITO-PIL SI TROVERANNO IN GRANDI PASTICCI” – L’OBIETTIVO È SPACCARE I GOVERNI E SCORPORARE LE CONDIZIONALITÀ SULLO STATO DI DIRITTO. COSA A CUI SI OPPONGONO I FRUGALI (NON VEDEVANO L’ORA) CHE NON HANNO BISOGNO IMMEDIATO DEI MILIARDI DEL RECOVERY. A DIFFERENZA DELL’ITALIA..
-1 – RECOVERY:POLONIA SCRIVE A UE PER RIBADIRE VETO
(ANSA) - Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha scritto una nuova lettera alla Commissione europea, in cui ribadisce le sue obiezioni sulla condizionalità sullo stato di diritto ed il veto sul pacchetto da 1800 miliardi, che comprende Bilancio Ue e Recovery. Si apprende a Bruxelles. Ieri in un incontro a Budapest con l'ungherese, Viktor Orban, i due leader hanno ribadito il loro no alla clausola, promettendosi sostegno reciproco.
2 – RECOVERY:ORBAN,PAESI PIÙ INDEBITATI NE FARANNO LE SPESE
(ANSA) - "Quanti insistono nel legare le questioni finanziarie a quelle politiche porteranno alla rovina vari Stati membri", poiché "i Paesi Ue con alti rapporti debito-Pil si troveranno in grandi pasticci". Anche se "il Parlamento europeo ha convinto la presidenza tedesca a collegare la gestione della crisi alla politica", l'Ungheria "si atterrà alla posizione assunta nell'estate". Così il premier ungherese, Viktor Orban, su Kossuth radio, mentre a Bruxelles è in corso la riunione degli ambasciatori dell'Ue, che tra i punti all'ordine del giorno ha il veto di Polonia e Ungheria su Bilancio Ue e Recovery fund.
3 – BOCCIATI I TENTATIVI DI MEDIAZIONE: IL VIA LIBERA AL RECOVERY VA SLEGATO DALLO STATO DI DIRITTO
Marco Bresolin per "la Stampa"
Polonia e Ungheria non arretrano: chiedono «modifiche significative» al meccanismo che vincola i fondi Ue allo Stato di diritto e blindano la loro alleanza con un patto di ferro: «Nessuno dei due Paesi accetterà proposte sgradite all' altro». Per evitare ulteriori ritardi al bilancio settennale Ue e al Recovery Fund, gli altri governi dovranno dunque concedere qualcosa.
Altrimenti la situazione non si sbloccherà, l' Ue inizierà il 2021 in esercizio provvisorio e i fondi del Recovery resteranno ancora per un po' nel libro dei sogni dei paesi beneficiari. Italia su tutti. Con questo scenario, il vero rischio è che il patto di Budapest scateni divisioni tra gli altri governi Ue, tra chi è disposto ad andare incontro ai due per non perdere i fondi e chi invece vuole difendere la linea della fermezza.
Ieri il premier ungherese Viktor Orban ha ricevuto il polacco Mateusz Morawiecki per definire la linea negoziale. Al termine del vertice hanno pubblicato una dichiarazione congiunta con sei punti che ribadiscono la loro linea e rimandano al mittente le accuse di bloccare tutto: «La nostra posizione era chiara sin dall' inizio, la situazione attuale è stata creata da chi vuole un legame tra il bilancio Ue e lo Stato di diritto». E ancora: «L' esito dei negoziati con il Parlamento non riflette l' accordo di luglio»» perché il meccanismo rischia di trasformarsi in «uno strumento politico».
Per questo chiedono «modifiche significative» all' accordo raggiunto dal Consiglio Ue e dall' Europarlamento. In coda al documento c' è una una sorta di apertura ma alle loro condizioni. Orban e Morawiecki suggeriscono di separare i due dossier, in modo da far partire i fondi del bilancio Ue e del Recovery senza le condizionalità sullo Stato di diritto.
E, in parallelo, avviare una discussione per introdurre sì un nuovo meccanismo, ma solo «attraverso una riforma dei Trattati». Una decisione che richiede l' unanimità e che dunque garantisce ai due il potere di bloccarla.
L' idea di separare i due dossier potrebbe raccogliere qualche consenso in Consiglio, anche se non è facile. «Sarebbe una concessione ai due Paesi - sottolinea un diplomatico - ma consentirebbe di far partire subito il bilancio e il Recovery, risolvendo quello che oggi è il principale problema.
Lo strumento sullo Stato di diritto verrebbe congelato ora, ma potrebbe sempre essere inserito in un secondo momento attraverso un regolamento che richiede la maggioranza qualificata. Ungheria e Polonia non avrebbero il potere di bloccarlo». Il problema è che altri Paesi, i Frugali in primis, hanno già detto che il meccanismo attuale è «il minimo sindacale» e non hanno intenzione di piegarsi.
Anche perché, a differenza dell' Italia, non hanno bisogno di far partire al più presto il Recovery Fund, anzi. E anche sul bilancio un ritardo di qualche mese non sarebbe vissuto come un dramma: è vero che l' esercizio provvisorio cancellerebbe i "rebate", vale a dire gli sconti sulla quota contributiva di cui godono i Frugali e la Germania, ma si tratterebbe di una soluzione temporanea, non per l' intero settennato.
Angela Merkel continua a guardare alla Corte di Giustizia come possibile via d' uscita. Ursula von der Leyen ha spedito a Budapest e Varsavia una lettera, invitandoli a rivolgersi alla Corte per sciogliere ogni dubbio. Ma l' offerta è caduta nel vuoto. Si trattava del primo passo del piano Merkel e l' epilogo era stato messo in conto.
Ora potrebbe arrivare il secondo passo: anche questo ruota attorno al ruolo della Corte Ue, ma si spinge un po' più in là. Il ricorso alla Corte verrebbe trasformato in un passaggio formale, altra cosa rispetto all' invito informale fatto da von der Leyen. In pratica, in attesa del verdetto dei giudici qualsiasi decisione sul congelamento dei fondi verrebbe messa in "stand by". Resta da capire se Ungheria e Polonia sono disposti ad accettare questa proposta, ma soprattutto se tutti i governi Ue (e il Parlamento) sono pronti a rimettere mano all' accordo.