L’ITALIA RISCHIA DI DIVENTARE “SPAZZATURA” – IL CALENDARIO SERRATO DEI GIUDIZI DELLE AGENZIE DI RATING TURBA I SONNI DI MELONI E GIORGETTI: LA DATA CERCHIATA IN ROSSO È IL 17 NOVEMBRE. QUEL GIORNO, “MOODY’S” POTREBBE DECLASSARE I TITOLI DI STATO ITALIANI A “JUNK”. SE ANCHE “S&P”, “FITCH” E “DBRS” FACESSERO LO STESSO, LE EMISSIONI DEL TESORO VERREBBERO ESCLUSE DALLE PIATTAFORME DEGLI ACQUISTI, E PER LO STATO FINANZIARSI DIVENTEREBBE COMPLESSO E MOLTO COSTOSO – TRADOTTO: LO SPREAD ESPLODEREBBE E LO SCENARIO 2011 DI UNA CRISI DEL DEBITO ITALIANA TORNEREBBE PROBABILE
Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
La data simbolo di questo autunno sui mercati è il 17 novembre. La conoscono al ministero dell’Economia. E la attendono con nervosismo anche a Palazzo Chigi. In piena legge di stabilità, Moody’s deciderà sull’affidabilità dell’Italia. […] Se dovesse scegliere la strada del downgrading, cioè del declassamento dell’affidabilità del Paese, si passerebbe dal livello di “investment grade” a quello dello “speculative grade”.
Significherebbe proiettare Roma nel club poco ambito di chi è “junk”, anche se al livello più alto di quella categoria (ci sono altri dieci step, fino al default). Il problema è che l’eventuale passaggio da Baa3 a Ba1 avrebbe un effetto negativo sugli investitori. Alcuni grandi fondi non possono mantenere titoli di Stato del genere nei portafogli convenzionali.
Se poi il declassamento venisse accompagnato da scelte analoghe di due delle tre altre grandi agenzie S&P, Fitch e Dbrs […] allora l’effetto sarebbe grave: le emissioni del Tesoro verrebbero escluse da tutte le principali piattaforme europee ed internazionali degli acquisti, finanziarsi diventerebbe una faccenda più complessa e, soprattutto, assai più costosa […].
[…] Già oggi, ad esempio, il Tesoro avvia un’importante emissione di titoli. Uno snodo utile a capire il clima tra gli azionisti. […] A chi gli chiede un commento, il titolare del Tesoro risponde: «Il dialogo con le agenzie è costante. E se hanno letto la Nadef senza pregiudizi, al contrario di qualcuno, allora siamo tranquilli».
Tranquilli perché al ministero ritengono di aver scritto una Nadef solida che mette al riparo l’Italia da eventuali giudizi negativi. Attenzione: la risposta di Giorgetti non deve essere tradotta però come un invito a considerare semplice il compito che il governo si trova ad affrontare. Semmai, sembra consigliare tutti – anche i suoi colleghi dell’esecutivo – a gestire con un approccio rigoroso le prossime settimane […].
E d’altra parte, era stato proprio Giorgetti a mettere tutti in guardia dieci giorni fa:«Ogni mattina, quando mi sveglio, ho un problema: devo vendere il debito pubblico. Per convincere la gente ad avere fiducia, devo essere accattivante. Non mi fanno paura le valutazioni dell’Ue, ma quelle dei mercati che comprano debito pubblico ». […]
Quelle del ministro non sono parole spese a caso. A via XX settembre si muovono e intervengono nel dibatitto pubblico avendo chiaro questo calendario: il 29 settembre – dunque tre giorni fa – la valutazione di Kbra (Bbb con outlook rivisto verso il positivo), il 20 ottobre quella di Standard & Poor’s, il 27 ottobre Dbrs, il 10 novembre Fitch, il 17 novembre Moody’s, il primo dicembre Scope Rating. Sei giudizi, sei snodi in poco più di quaranta giorni.
Come detto, conta soprattutto la valutazione di Moody’s. Nel maggio scorso, l’agenzia aveva confermato la classificazione di Baa3, senza aggiornarla. E sancendo un outlook negativo, dunque una previsione tendente al peggioramento. Se c’è un dettaglio a preoccupare, è quello racchiuso nella credit opinion pubblicata proprio da Moody’s il 23 maggio scorso.
C’è scritto che tra i fattori che potrebbero provocare un declassamento c’è un «significativo indebolimento della forza economica e fiscale dell’Italia», a partire dalle misure di sostegno alla crescita del Pnrr. E ancora, si indicano come eventuali segnali negativi quelli legati a una «significativa tendenza al rialzo del debito», frutto di una «crescita più debole», di un’impennata dei costi per i tassi d’interesse e di un «sostanziale allentamento fiscale ». Condizioni negative, frutto anche della congiuntura, condivise però con il resto dei big Ue, ad eccezione dell’alto debito pubblico.
A tutto questo bisogna aggiungere lo spread, inchiodato un centimetro sotto quota 200. Tutti indizi che allarmano Giorgia Meloni. E che hanno alimentato anche nelle ultime ore i sospetti di Palazzo Chigi su presunte manovre della grande finanza per colpire il governo.