IL SOGNO CALIFORNIANO È UN INCUBO – BIDEN PUNTA SUL "MODELLO CALIFORNIA" MA SIAMO SICURI CHE IL GOLDEN STATE SIA UN MODELLO? CERTO, HA UN’ECONOMIA IN CRESCITA E SE FOSSE UNO STATO A SÉ SAREBBE IL SESTO PIÙ RICCO DEL MONDO, MA HA UN GROSSO PROBLEMA DI DISEGUAGLIANZE E UN ALTISSIMO LIVELO DI POVERTÀ – GLI AFFITTI ALLE STELLE, NUMEROSI SENZA TETTO E L’AMBIENTALISMO A TUTTI I COSTI CHE CREA (ANCHE) DANNI
-Alberto Bellotto per https://it.insideover.com/
Per avere un’idea dei progetti dell’amministrazione Biden è necessario guardare alla costa Ovest. La California e la politica del Golden State saranno la stella polare della Casa Bianca per alcuni dei provvedimenti chiave del 46esimo presidente, come l’ambiente, il lavoro e le infrastrutture. Non a caso qualche settimana fa il documentarista Michael Moore ha intitolato una puntata del suo podcast “Make America California Again”. Il problema è che in questa fase storia il modello californiano non è poi così vincente.
La lista della spesa di Joe Biden
Osservare alcune delle misure varate in California dà un’idea del perché lo Stato sembra un paradiso liberal. Negli ultimi anni l’amministrazione democratica, che controlla Camera e Senato locali ed esprime anche il governatore, ha avuto mano libera e varato una serie di riforme radicali.
Pannelli solari sopra le nuove costruzioni dal 1 gennaio 2020, divieto di auto a benzina dal 2035, una legge sulla privacy più restrittiva sul modello europeo, norme più restrittive per la polizia, introduzione e implementazione del salario minimo.
Come ha ricordato il Los Angeles Times i dem si preparano a pescare a piene mani da quella esperienza come i programmi di decarbonizzazione della rete elettrica, la possibilità di college ad accesso gratuito, ma anche il salario minimo a 15 dollari l’ora e una rivoluzione delle infrastrutture come l’implementazione dei treni super veloci.
La stessa squadra di governo varata da Biden mostra come la California sia centrale nel suo progetto. La vice presidente Kamala Harris è un ex senatrice dello Stato e sempre da lì arrivano Xavier Becerra, segretario della Salute, Janet Yellen, segretaria al Tesoro ed ex professoressa di Berkeley, Jennifer Granholm, segreteria all’Energia e Alejandro Mayorkas, designato come segretario per la sicurezza interna. A questi si aggiunge poi la speaker della Camere Nancy Pelosi.
Una vendetta contro Trump
Dalle parti del Golden State vivono questa nuova fase con un senso di rivalsa nei confronti di Donald Trump. Negli ultimi quattro anni lo Stato ha infatti intentato più di 110 ricorsi contro il tycoon e i provvedimenti della sua amministrazione, incassando almeno una ventina di successi soprattutto in materia ambientale e migratoria. Le ultime tornate elettorali hanno confermato uno stato sempre più a sinistra.
Nel 2016 la differenza tra The Donald e Hillary Clinton è stata di oltre 4,2 milioni di voti, mentre nella tornata elettorale del 3 novembre scorso la forbice tra i due candidati si è allargata di un altro milione di voti, e questo nonostante Trump abbia richiamato alle urne un milione e mezzo di elettori in più rispetto alla sua prima candidatura.
Un modello che non funziona
Quando si parla di economia è facile scegliere fatti e dati che fanno più comodo distorcendo alcuni espetti tutt’altro che secondari e con la California il rischio è molto alto. Partiamo dai numeri da prima della classe: è il primo Stato per Pil, 3,1 trilioni di dollari, pari al 14,7% del Pil di tutti agli Stati Uniti, davanti allo Stato del Texas (8,4%) e New York (8,1%).
Numeri che ne farebbero la sesta economia del mondo. Ospita anche il maggior numero di miliardari, 160 nel 2020, e alcune delle più importanti multinazionali del mondo: Google, Apple, Netflix, come pure l’industria cinematografica di Hollywood.
Ma altri numeri mostrano uno Stato disfunzionale. Ad esempio un terzo dei suoi abitanti guadagna meno di 15 dollari l’ora, ma soprattutto mostra un elevato livello di povertà. Lo Us Census Bureau, un’agenzia del governo federale che si occupa di censimenti e dati statistici sull’economia, ha implementato un indice sul calcolo della povertà l’Spm (Supplemental Poverty Measure) che tiene conto anche del costo della vita e dell’intervento dei servizi sociali. Secondo questo indicatore la California esce come uno degli Stati più in difficoltà. Nel periodo 2017-2019 lo Stato ha fatto segnare un Spn del 17,2%, il più alto di tutta l’Unione e della media nazionale che ne conteggio si è fermata al 12,5%.
Alle disuguaglianze si aggiungono anche una serie di altri problemi. Da un lato si è puntato in modo massiccio sulle rinnovabili, ma non sono stati investiti abbastanza fondi sulle infrastrutture di trasporto per questo in tutto lo Stato i blackout elettrici sono frequenti. E questo si ricollega anche a un altro problema, gli incendi che colpiscono ogni anno la regione e che sembrano essere diventati cronici. Spesso le linee di fornitura elettrica più vecchie vengono interrotte perché si teme che il forte vento e l’abbattimento dei tralicci possano causare nuovi focolai.
L’ideale sarebbe il loro rinnovo ma molti fondi vengono dirottati verso l’eolico e l’energia solare. Ma gli effetti della massiccia transizione energetica sono stati anche altri. Nel 2020, per la prima volta in oltre vent’anni, la rete elettrica dello Stato ha sofferto una perdita nelle forniture proprio per l’eccessiva riduzione nell’utilizzo dei combustibili fossili. Questo ha fatto aumentare del 6% il presso dell’elettricità nel secondo e terzo trimestre del 2020 contro una generale diminuzione dei pressi a livello federale del 4%.
In generale negli ultimi dieci anni il presso dell’elettricità in California è aumentato di circa il 30%, passando da 13,1 a 17 centesimi per Kilowatt ora tra il 2011 e 2019. Un amento considerevole se si considera che a livello nazionale il “salto” è stato da 9,7 a 10,1 centesimi. Il tutto mentre il prezzo di un’altra fonte come il gas naturale scendeva.
In più il piano di riduzione dei gas serra ha avuto effetti diversi nelle varie zone, in particolare mancando gli obiettivi nelle aree più povere dello Stato, causando anche violente proteste in diverse comunità, in particolare nelle aree meridionali della California.
Il problema delle abitazioni e lo spopolamento
I problemi che turbano il sogno californiano però non mancano. Uno di questi è rappresentato dalla mancanza endemica di abitazioni. Negli anni i proprietari di case hanno fatto forti pressioni per limitare la realizzazione di nuovi alloggi per il timore che le proprie proprietà perdessero valore, spesso usando la bandiera dell’ambientalismo come scusa per non consumare suolo.
Questo ha fatto sì che che il prezzo di case e affitti aumentasse vertiginosamente nel corso degli anni, ma soprattutto che all’aumento della forza lavoro seguito al boom della Silicon Valley non sia seguito anche un aumento dei posti letto disponibili. Arrivando al paradosso per cui a San Francisco una stanza può arrivare a costare 2.800 dollari al mese contro i 2.600 di New York.
Nel frattempo lo Stato ha iniziato ad essere sempre più un territorio dal quale fuggire. Tra il 1 giugno 2019 e 1 giugno del 2020 i nuovi arrivi nello stato sono stati solo 21.200, il numero più basso dal 1900. E nel corso degli anni i nuovi arrivi sono andati via via diminuendo e dal 2017 il saldo tra partenze e arrivi è diventato negativo. Solo nel 2019 circa 653,000 persone hanno lasciato lo Stato a fronte di circa 480,000 ingressi e molte di quelle che hanno abbandonato i Golden State si sono diretta in Texas.
Poi nel 2020 è arrivato il coronavirus che ha accelerato ancora di più il processo. Solo a San Francisco le poste hanno ricevuto quasi 90 mila domande per trasferire il proprio indirizzo di posta fuori dalla città, un vero e proprio esodo spinto anche dal lavoro in remoto che le grandi aziende hanno varato durante la pandemia.
Oggi sulla California aleggia anche lo spettro di una sorta di declassamento simbolico e politico. Ogni dieci anni lo Us Census Bureau ridistribuisce il numero dei distretti che eleggono i singoli deputati al Congresso in base alla popolazione. Lo scorso anno si è tenuto il censimento e nei prossimi mesi dovrebbe uscire il nuovo rapporto. Secondo le prime informazioni la California potrebbe perdere un seggio passando da 53 a 52, con il primo passo indietro dal 1850, anno in cui lo Stato entrò a far parte degli Stati Uniti.
Il clima che si respira in California resta pesante. Secondo un sondaggio condotto dal Public Policy Institute of California nel novembre scorso e somministrato a oltre due mila residenti in varie contee dello Stato, il 26% dei residenti ha detto di star pensando di muoversi in un altro Stato, ma soprattutto che per il 58% di loro è molto difficile poter esaudire il sogno americano stando in California.
Anche le aziende cambiano Stato
La fuga non ha riguardato solo le persone ma anche le imprese. Nel tempo alcuni colossi come Oracle, Hewlett Packard hanno annunciato di voler spostare la propria sede in altri Stati, in particolare in Texas, mentre altre storiche imprese, come Apple e Tesla, hanno deciso di mantenere lì il quartier generale, ma di allargare la loro presenza anche in altri stati.
Il mondo del business ha sottolineato più volte come lo Stato sia diventato uno dei posti peggiori in cui fare affari. Come ha sottolineato al San Francisco Chronicle il presidente della Bay Area Council, un’organizzazione che raduna le aziende della Bay Area, si sta verificando un certo fuggi fuggi, spinto da una realtà troppo costosa, con eccessive regolamentazioni e con tasse troppo alte. La California, infatti, ha l’imposta sul reddito più alta del Paese, fissata al 13,3%, mentre in Texas non è presente questo tipo di tassa. Fattori che mescolati a tutte le altre difficoltà rendo il sogno californiano sempre più simile a un incubo.