ALLE SQUADRE ITALIANE NON PIACE LA FIFA – NONOSTANTE IL VIDEOGIOCO SIA IL PARTNER UFFICIALE DELLA SERIE A, DIVERSE SQUADRE HANNO SCELTO DI NON CEDERE I PROPRI DIRITTI PER FIFA22– ATALANTA, LAZIO, ROMA E JUVENTUS DIVENTERANNO “BERGAMO CALCIO”, “LATIUM”, “FC ROME” E “PIEMONTE CALCIO”, E DAL PROSSIMO ANNO NON CI SARÀ NEANCHE IL NAPOLI – MA RISCHIA DI ESSERE UN BOOMERANG: COME SI PUÒ PENSARE DI ATTIRARE I GIOVANI, SE SI SNOBBA IL VIDEOGAME CALCISTICO PIÙ POPOLARE DEL MONDO?
-Sandro Valdarno per www.ilnapolista.it
Ci sono diverse cose che non avrei mai pensato di vivere o di vedere, nel corso della mia giovane vita. Eppure, il solo biennio 2020-2021 rischia di smentirmi su tutta la linea.
Il Papa che schiaffeggia una fedele. La pandemia. Scrivere di mio pugno un pezzo per il Napolista.
Paradossi e controsensi di un’epoca dove, in realtà, nessuno ci sta capendo molto. Dove l’unica cosa che conta è dare, quantomeno, l’apparenza di essere in controllo e all’altezza della situazione.
Tuttavia, non sono qui per parlarvi di me. Vi basterà solo sapere che ho trascorso una gioventù fortemente sarrista. E adesso, con l’inizio dell’età adulta, mi sono scoperto molto più vicino al Napolista di quanto avrei mai pensato. Magari, anche per merito dello sfascio tecnico e del distacco emotivo causato(mi) dal biennio Ancelotti-Gattuso (ma non ditelo al direttore Gallo).
Piuttosto, sono qui per ispirazione di William Silvestri. Il suo pezzo su Mario Rui, Tik Tok e la controcultura del web mi ha fatto sentire meno pazzo e meno solo. Perché troppo spesso il nostro calcio fa riferimento alle nuove generazioni e a questo fantomatico pubblico del futuro, con lo stesso approccio che le multinazionali hanno verso il cambiamento climatico.
E chi lo governa è troppo impegnato a litigare in Lega o a mettere in bilancio plusvalenze fittizie, per accorgersi che il pubblico in platea ha già mutato gusti, preferenze e codici di espressione.
Perché sia chiaro: non è il calcio ad aver perso di appeal. È quello italiano ad averlo fatto. I ragazzi giocano ancora a pallone e lo seguono a modo loro, con opinionisti e commentatori, sparsi nella costellazione italiana ed europea di streamer, youtuber e tik-toker. E di quello che ruota attorno alla Serie A, frega poco o nulla.
Dalla comunicazione sui social, alla presenza sul web e nei videogiochi: il quadro è quello di un movimento che non riesce ad evolvere e a smuoversi. Incapace di non vivere nella nostalgia di sé stesso, dei mitici anni ’80 e dei trionfi raggiunti a cavallo del terzo millennio.
Per carità, comprensibile in un paese dove la tv di Stato è bloccata in un loop di fiction perbeniste, ambientate nel glorioso passato italiano. Inaccettabile, in un’epoca dove l’utente medio ha il libero arbitrio di andare oltre e perdersi in un trilione di sport e interessi alternativi.
Senza voler sparare sulle croce rossa, la comunicazione dei nostri club è degna del più sterile Novantesimo Minuto. Quella del Napoli, poi, da cinegiornale. Solo Inter e Milan hanno provato e stanno provando un percorso molto più vicino a quello intrapreso dai club di Bundes o di Premier League.
E ne stanno iniziando a raccogliere i frutti, anche su piattaforme sempre più complesse come Tik Tok e Twitch. Non a caso, sono anche gli unici due club italiani (da quest’anno, con Sampdoria e Torino) ad aver ceduto esclusivamente i propri diritti ad EA Sports, per FIFA 22.
Sì, i videogiochi. Anche qui, che vi piaccia o meno, sono il vero motivo per cui il calcio ha ancora un perché, per quelli nati dopo il 2000. Se avete figli che giocano a FIFA, chiedete loro quali sono i migliori giocatori al mondo. Vi risponderanno seguendo l’ordine dei vari overall. D’altronde, a chi importerebbe di una doppietta di Osimhen, se le sue stats su FUT (FIFA Ultimate Team, studiate) non schizzassero alle stelle per il Team of the Week?
In Italia ci si sta accorgendo soltanto adesso del potere commerciale e persuasivo del mondo video-ludico, mentre in altri paesi (duole fare sempre l’esterofilo) lo hanno capito già da tempo. E la Premier League, ancora una volta, ha tracciato la strada.
Dal 2015 il campionato inglese è fedelmente riprodotto in stadi, club, giocatori e persino allenatori, avvicinando il più possibile la realtà al videogioco e non viceversa. E dei top 5 campionati europei, la Serie A è l’unico campionato fermo al palo: Atalanta, Juventus, Lazio e Roma addirittura non sono licenziate sul gioco di calcio più venduto al mondo (li troverete riprodotte come Bergamo FC, Latium, FC Rome e Zebre), con San Siro come unico stadio ufficiale presente in game.
E dal 2023, anche il Napoli non potrà essere riprodotto ufficialmente nella prossima edizione di FIFA, visti gli accordi presi tra gli azzurri e la Konami (casa produttrice di eFootball, antagonista di EA Sports). Una notizia che non scalda molto il cuore della next-gen e che quasi cozza con le grida di De Laurentiis, così volenteroso di avvicinarsi alle nuove generazioni. Il presidente dovrebbe sapere che l’ormai defunto PES ha intrapreso la stessa parabola dei suoi cinepanettoni, cristallizzando il proprio pubblico tra i nostalgici e i videogiocatori nati tra gli anni ’80 e ‘90. E allontanando, difatti, i clienti del futuro.
Un paradosso, se consideriamo che la Serie A è (sulla carta) media partner di EA Sports che griffa anche i template televisivi del nostro campionato. E senza voler addentrarci in centinaia di migliaia di cavilli legali e di interessi commerciali, il calcio italiano si mostra diviso anche agli occhi delle nuove generazioni.
Quindi, come si può pretendere di attrarle se non sono neanche in grado di riconoscere i propri colori in un videogioco?
Per quanto sia del tutto italiana la prassi di prendere provvedimenti a disastro già compiuto, chi tira le fila del nostro calcio dovrebbe essere in allerta. Ad oggi, i videogiochi, i social e la comunicazione del movimento italiano potranno anche apparire come problemi secondari, ma stanno contribuendo esponenzialmente a smorzare l’interesse delle nuove generazioni verso la Serie A e a dirigerle verso nuovi mercati. La Premier, la Ligue 1, persino la Bundesliga.
Oggi il calcio è globale e senza confini, e un bambino di Pozzuoli può finire tranquillamente per essere tifoso del Paris Saint-Germain o del Borussia Dortmund e investire il proprio interesse e il proprio portafoglio in quella direzione. Il calcio italiano, allora, deve darsi una svegliata. Il cambiamento è già iniziato, che vi piaccia o meno, ed è giunto il momento di abbracciarlo e comprenderlo, prima che i meme e gli influencer soppiantino persino il giornalismo sportivo nostrano.
Mi sa, però, che è troppo tardi anche per questo.