CAFONALINO ALL’OPERA – PER L’”ALCESTE” DI GLUCK IL TEATRO COSTANZI SI RIEMPIE DI QUELLA ROMA MELOMANE PRONTA, IN NOME DELLA CULTURA, A SORBIRSI UNA MATTONATA CONTORNATA DI STRAZIANTI BALLETTI – IN PLATEA CARLO FUORTES, DANIELA PORRO, FABRIZIO PALERMO, CLAUDIO STRINATI, FEDERICO MOLLICONE, MAURO MASI, SERENA BORTONE. MA LO SPETTATORE MENO NOTATO E PIU’ IMPORTANTE ERA SHAWN CROLEY, INCARICATO D’AFFARI FACENTE FUNZIONE DI AMBASCIATORE USA A ROMA, SCORTATO DAL SEGRETARIO GENERALE DELLA FARNESINA ETTORE SEQUI….
-Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Michelangelo Pecoraro per https://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/roma-teatro-delloperaalceste
Alceste è uno dei capolavori del teatro “riformato” di Gluck. Essendo rappresentata raramente, di certo molto meno della più celebre sorellina Orfeo ed Euridice, bisogna ringraziare la dirigenza del Teatro dell’Opera di Roma per averci concesso un’occasione di poterla gustare.
Tre anni dopo aver diretto proprio Orfeo ed Euridice, Gianluca Capuano torna a dirigere l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e lo fa di nuovo molto bene: la musica di Gluck, nella versione francese del 1776, sotto la sua bacchetta pulsa di vitalità e di forza comunicativa.
L’orchestra non si muove sempre del tutto a suo agio in questo repertorio – di tanto in tanto, qualche suono non proprio bellissimo ci scappa – ma, come si dice in gergo calcistico, l’intenzione è buona. La buona gestione della ritmica e delle dinamiche fa il resto. Una serata musicalmente soddisfacente.
Sul fronte dei cantanti esiti interessanti e mediamente positivi, anche se non memorabili.
Marina Viotti nel ruolo del titolo si destreggia abbastanza bene rispetto al pentagramma, ma la voce a tratti fatica a bucare il muro orchestrale e qualche acuto non si può dire del tutto ben tornito.
Inoltre, l’interpretazione risulta abbastanza anodina, probabilmente risentendo anche di un approccio registico che non ha facilitato il lavoro ai cantanti. La recitazione del suo personaggio, grosso modo, si può riassumere con un’immagine molto nota al melomane: “Braccia su, braccia giù; braccia su, braccia giù”.
Juan Francisco Gatell, assiduo frequentatore del palco dell’Opera di Roma, porta a casa una buona serata come Admeto. La voce, dal timbro chiaro tendente a scurirsi sugli acuti, c’è e corre, e insieme alla voce si nota anche un buon coinvolgimento recitativo e una buona capacità comunicativa, sia attraverso il gesto scenico e le espressioni facciali, sia attraverso il convincente fraseggio.
Se la cava anche il Gran Sacerdote nonché Ercole di Luca Tittoto, dalla voce scura e potente che, però, tende a “schiacciarsi” leggermente sulle note più alte. Fraseggio scavato e presenza scenica gradita. Bene la differenziazione dei due ruoli, molto diversi (sacrale e accigliato il primo, amichevole ed eroicamente “leggero” il secondo).
Nei ruoli comprimari, Patrik Reiter si disimpegna nei panni di Evandro, Pietro Di Bianco in quelli del dio Apollo e di un araldo e Roberto Lorenzi in quelli dell’oracolo e di un dio infernale. Bene anche l’apporto dei corifei Carolina Varela, Angela Nicoli, Michael Alfonsi e Leo Paul Chiarot.
Veniamo, quindi, alla parte scenica. Se vi piacciono i balletti, non potete perdervi l’Alceste di Christoph Willibald Gluck. Come dite? È un’opera? Uh, capperi, qualcuno avvisi il regis… coreogr… il regista Sidi Larbi Cherkaoui.
Scherzi a parte, devo confessare una certa difficoltà nel parlare di questa regia, perché – per lo meno per i primi due atti – più che di regia mi pare corretto parlare di coreografia: gli interpreti principali subiscono quell’antipatico trattamento – ancor più antipatico, quando il risultato finale non è tale da non lasciar dubbi sul valore artistico delle scelte – per cui, spesso, sono trattati come fastidiosi ingombri o come oggetti scenici da valorizzare, facendoli stare fermi e facendo muovere altre persone, sul palco, al loro posto.
Li vediamo contornati da coreuti, coristi, valletti, ancelle, tutti mossi da passi di danza e saltelli, mentre sulle loro teste si passano dei veli, i danzatori li incorniciano, li coprono e scoprono, in movenze simboliche che, a naso, sembrano voler richiamare un’antichità da bozzetto immaginato. Quando non c’è danza, sul palco, tutto è fermo. Questa continua alternanza danza/staticità, dopo la prima mezz’ora, diventa ripetitiva e noiosa, e se c’è una cosa peggiore di un brutto spettacolo, a teatro, è uno spettacolo noioso.
Che il regista non voglia facilitare il lavoro ai cantanti, poi, si capisce anche da alcune posizioni davvero al limite in cui li costringe a cantare (vari secondi a testa in giù, portati a spalla dai ballerini e altro ancora). Il suo lavoro “registico”, invece, si concentra esclusivamente sulle danze che sembrano commentare, senza soluzione di continuità, l’evolversi degli eventi.
Alcune anche belle, come il passo a due nel secondo atto che ha luogo mentre Alceste si cimenta nella sua splendida aria, altre fin troppo moderne e in aperto contrasto con l’atmosfera generale (per esempio con degli accenni di breakdance, oppure con i molti rapidi movimenti di mano e i passi frammentari).
Meglio nel terzo atto, in cui l’esplodere del dramma e la discesa agli inferi portano lo spettacolo a mostrare qualche variazione sul palco e, soprattutto, un po’ di azione e interazione tra gli interpreti. Gli spettri guardiani del regno dei morti vengono rappresentati come degli scuri trampolieri quadrupedi.
Con la nebbiolina che rende il tutto lattiginoso, un paio di belle scene nel finale si riescono a seguire con molto piacere. Ercole picchia i quadrupedi in modo soddisfacente e Admeto che insegue Alceste per gridare alle cave sotterranee il proprio dolore dona quel pizzico di brio tragico extra.
Di questo spettacolo, per gli amanti del ballett… ehm, per i più curiosi, esiste anche una ripresa in dvd della produzione bavarese del 2019.
Questa recensione si basa sulla recita di martedì 4 ottobre 2022.