Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Edoardo Sassi per il “Corriere della Sera - Edizione Roma”
A descrivere la quintessenza del suo lavoro - originale e sempre riconoscibile già dal debutto, nel 2005 - è l' artista stesso: «Fin dall' inizio ho previsto che il mio corpo venisse colorato con gli stessi toni e sfondi dell' ambiente circostante, in modo che, da una certa angolazione, scomparisse nel panorama alle mie spalle».
Parole di Liu Bolin, cinese, classe 1973, presente ieri all' inaugurazione della sua mostra personale nel Complesso del Vittoriano, dal titolo The invisible man . Settanta le opere esposte, a cura di Raffaele Gavarro, in questa che è la prima esposizione di rilievo in Italia per l' uomo divenuto famoso a livello internazionale grazie alle sue performance nell' arte del camouflage: iniziate come forma di protesta, e finite a far da volano per alcuni tra i più noti brand internazionali.
Gli inizi: è il 2005 quando l' amministrazione di Pechino ordina di abbattere il quartiere Suojia, dove risiedono molti artisti critici con il governo. Tra questi anche Liu Bolin, ai suoi esordi. Liu decide di mimetizzarsi con le macerie del suo studio, si fa fotografare e divulga quell' immagine dando vita a una protesta tanto silenziosa quanto efficace. Inizia così la sua carriera, con una serie di azioni che mescolano diversi linguaggi - pittura, performance, installazione e, soprattutto, fotografia - con sullo sfondo una vena di marca sociale e protestataria. Sette i cicli tematici presenti nell' esposizione romana, che parte dalla prima protesta a Pechino e giunge fino all' ultimo capitolo dedicato al tema, inevitabile e ormai ricorrente in tante mostre contemporanee, dei Migranti .
In mezzo, anche tantissima Italia: una sorta di neo Grand Tour nel quale l' osservatore vede apparire/sparire Liu Bolin da Nord a Sud, dall' Arena di Verona alla Scala di Milano, dal Ponte di Rialto di Venezia alla Villa dei Misteri di Pompei, fino alla Reggia di Caserta. Ovviamente, c' è anche Roma: fotografie dell' artista en camouflage a Ponte Sant' Angelo o di fronte alla Paolina Borghese nell' omonima Galleria, fino all' immancabile Colosseo.
Il tutto sempre con il gioco della sovrapposizione del proprio io al dato reale, che può essere un monumento-luogo-oggetto riconoscibile ma anche altro: come nella straordinaria immagine Garbage Disposal Station , scattata nel 2014 in India, in una centrale di smaltimento rifiuti a Bangalore, o nella serie delle bandiere di diversi Paesi, o in quella degli scaffali di supermarket o nelle immagini di moda.
Un lavoro, quello dell' Uomo Invisibile (ma tanto pop) che oscilla sempre tra impegno e processo di formalizzazione estetica, secondo una formula ad effetto che lo ha reso celebre ben oltre i limiti angusti dell' arte contemporanea. Un mondo in cui Liu Bolin si è inserito rinnovando una tradizione plurisecolare: quella dei vari illusionismi ottici - prospettici o anamorfici - e dello spettacolare universo tromp-l' oeil .
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