SE TRUMP FA SALTARE IL BANCO CON L’UE CI PERDERANNO TUTTI – NEL 2023, LA UE HA ESPORTATO VERSO GLI USA BENI PER 502,3 MILIARDI DI EURO E NE HA IMPORTATI PER 346,5, CON UN SALDO NEGATIVO DI 156 MILIARDI. PER WASHINGTON – GABANELLI: “L’EUROPA RAPPRESENTA IL PIÙ RICCO BACINO DI CONSUMI AL MONDO, AL QUALE NESSUNO PUÒ RINUNCIARE, NEMMENO TRUMP. E' DIFFICILE PENSARE CHE POSSA AFFOSSARE LA RELAZIONE TRANSATLANTICA: LE BANCHE DI WALL STREET, LE MULTINAZIONALI USA, LE BIG TECH, LE UNIVERSITA' SI OPPORREBBERO. PERO'...” – I FRONTI APERTI: DAZI, SPESA NATO, AMBIENTE E COMPETITIVITÀ – VIDEO
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Estratto dell’articolo di Danilo Taino e Milena Gabanelli per il "Corriere della Sera"
La domanda del momento in Europa: quanto alte saranno le onde dell’Atlantico a partire dalle ore 12 di oggi (le 18 italiane) quando Donald Trump assumerà i poteri di presidente? La Commissione europea dice che «la relazione transatlantica è un’arteria chiave dell’economia del mondo».
[…] È dunque difficile pensare che Trump possa affossare la relazione transatlantica. Le banche di Wall Street, le multinazionali Usa, le Big Tech, le università, persino molti sindacati si opporrebbero a un disaccoppiamento del genere.
L’Europa, con i suoi 450 milioni di abitanti a reddito elevato rappresenta il più ricco bacino di consumi al mondo, al quale nessun Paese e nessun governante può rinunciare, nemmeno Trump. È vero che gli Stati Uniti sono autosufficienti sul piano energetico, tecnologico, militare, al contrario della Ue che in questi settori dipende molto dalle importazioni e dal rapporto con gli Stati Uniti. Ed è quindi evidente che, in una eventuale trattativa, Washington partirebbe da una posizione di forza. Saranno tempi difficili e forse pericolosi.
Lo scambio commerciale
URSULA VON DER LEYEN DONALD TRUMP
Nel 2023, gli scambi commerciali di merci e servizi tra Usa e Ue sono stati pari a 1.540 miliardi di euro: quasi il 30% del commercio globale. Sempre nel 2023, la Ue ha esportato verso gli Stati Uniti beni per 502,3 miliardi di euro e ne ha importati per 346,5, quindi con un saldo negativo per gli Usa di quasi 156 miliardi.
Trump odia avere un deficit commerciale: per lui è la prova che il resto del mondo si approfitta della generosità della grande potenza. Se però si considera l’interscambio di servizi (trasporti, assicurazioni, royalties e tutto ciò che riguarda lo scambio di know how), la fotografia è rovesciata: l’export degli europei è stato di 292,4 miliardi di euro e l’import di 396,4 miliardi, quindi con un deficit commerciale europeo di 104 miliardi. […]
L’import-export italiano
Se guardiamo nel dettaglio dei singoli Paesi, nel 2023 l’Italia ha esportato verso gli Usa beni per oltre 67 miliardi di euro e ha importato beni per poco più di 25 miliardi. Nei primi otto mesi del 2024 c’è stato un leggero bilanciamento con un piccolo calo delle esportazioni e in crescita del 5% le importazioni.
Gli investimenti diretti italiani negli Usa hanno raggiunto un livello di quasi 43 miliardi di dollari nel 2023, quelli americani in Italia di 29 miliardi. Nello stesso anno la Germania, altro Paese grande esportatore ha venduto in America per 157,7 miliardi di euro, il record da vent’anni, mentre ha comprato merci Usa per 72 miliardi. La relazione economica, in altre parole, rimane fortissima su entrambe le sponde dell’Atlantico. Ciò nonostante, Trump pretende un riequilibrio commerciale.
La partita dei dazi
Il neopresidente ha più volte minacciato di imporre dazi alle importazioni dalla Ue del 10 o del 20%. Non ha però fornito dettagli: potrebbe applicarli su tutta la Ue e su tutti i settori che esportano, oppure potrebbero essere selettivi. Vuol dire che Trump tratterebbe un Paese con un governo che non gli piace peggio di uno con un governo che gli sta simpatico, creando divisioni nella Ue. In questa cornice metterebbe dazi su certi prodotti e non su altri: sul vino, per esempio, se intende colpire la Francia, oppure sulle auto tedesche. E così via.
Sulla base della clausola di «Nazione più favorita» stabilita in sede Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio), la media dei dazi nel commercio è del 3,4%, che scendono a una media del 2% nel caso di tariffe industriali. Questo in teoria; in realtà, sulla base di accordi in essere e secondo un’analisi dell’agenzia di rating Fitch, gli europei esportano in America con dazi tra l’1 e il 2,6%, con l’Italia che già oggi è colpita con la tariffa più alta in quanto esporta un basket di beni con prodotti di lusso, come calzature e alta moda.
Il rischio inflazione
Secondo Fitch, già solo il passaggio a dazi generalizzati del 10%, ridurrebbe il Pil tedesco dello 0,3%, quello italiano dello 0,23%, quello francese dello 0,17%. Se si tiene conto che la Banca centrale europea prevede per il 2025 una crescita del Pil della Ue dell’1,1% e per il 2026 dell’1%, tale crescita verrebbe ulteriormente ridotta e probabilmente l’economia di più di un Paese (Italia inclusa) si avvicinerebbe alla recessione.
donald trump balla ymca con i village people
La reazione della Ue sarebbe quella di imporre a sua volta dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Il che avrebbe l’effetto, su entrambe le sponde, di aumentare i prezzi delle merci importate, con la possibile crescita dell’inflazione e il conseguente aumento dei tassi d’interesse. Come effetto collaterale, gradito da Trump, alcune imprese europee potrebbero spostare alcune produzioni negli Stati Uniti. Tendenza già in essere a prescindere dai dazi.
Sarà guerra commerciale? L’innesco di una guerra commerciale comporterebbe il deterioramento politico ed economico della «arteria chiave dell’economia del mondo».
Per l’Europa, continente con un’alta propensione all’export, si tratterebbe di un colpo durissimo. Anche per gli Stati Uniti una battaglia dei dazi sarebbe altamente distruttiva. Va evitata preparandosi a trattative dure, dice la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, e suggerisce ai Paesi Ue di «comprare americano», importando più gas liquefatto per esempio. […]
La competitività
Nel rapporto Draghi alla Ue è indicata una strada per affrontare il tema della competitività: gli europei risparmiano molto e la disponibilità di denaro da investire in imprese, innovazione tecnologica e startup è potenzialmente più alta di quella creata al proprio interno dagli Stati Uniti (il 13% contro il 33% Ue). Il problema è che buona parte di questi capitali, circa 250 miliardi, volano ogni anno negli Stati Uniti, perché noi, con 27 mercati finanziari ognuno con regole diverse, non siamo abbastanza attraenti. Per tenere questi soldi in casa nostra è urgente arrivare alla creazione di un mercato unico europeo dei capitali, finora impedito dalle politiche nazionali.
Il fronte ambientale
donald trump a bruxelles al meeting nato
Un altro punto di attrito tra Washington e Bruxelles sarà la politica energetica. L’obiettivo del segretario al Tesoro della nuova amministrazione, Scott Bessent, è di dare permessi di estrazione per aumentare la produzione di tre milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, al fine di ridurre i costi e aumentare la competitività dell’economia americana. Sugli idrocarburi Trump sarà irremovibile.
La conseguenza è quella di spaccare il ruolo guida della Ue nella politica di riduzione delle emissioni di Co2, e sulla quale l’Europa ha più investito, aumentando le divisioni tra i governi sensibili alla questione climatica e quelli più gradualisti, aizzando i partiti totalmente scettici. Una sfida difficilissima da affrontare.
Il rapporto politico
Il rapporto politico Usa-Europa si fonda sin dal Dopoguerra sulla base democratica delle due entità, consolidato durante l’intera Guerra Fredda e poi diventato per un paio di decenni una caratteristica esportata nel mondo. Le attenzioni di Washington si sono però via via spostate verso il bacino del Pacifico e dell’Indo-Pacifico: la competizione/scontro con la Cina è ritenuta la questione principale sia per i repubblicani che per i democratici, ed è sempre più diffusa l’idea della scarsa rilevanza degli europei.
In Europa prevale la convinzione di un’America che sta tradendo il suo ruolo di garante della democrazia. La realtà dei fatti spinge però a dire che la relazione transatlantica rimane essenziale dal punto di vista geopolitico per entrambe le sponde dell’oceano. E si è visto di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, dove la Nato (maggiore alleanza militare del pianeta) nel giro di un anno si è addirittura ampliata con l’ingresso di Finlandia e Svezia.
L’alleanza militare
Dai 31 membri della Nato Trump continuerà a pretendere un impegno finanziario maggiore del 2% del loro Pil, mentre complessivamente i Paesi Nato della Ue sono all’1,9%, con l’Italia per esempio che non arriva all’1,5%. E qui i singoli Paesi dovranno decidere se mantenere l’inefficiente frammentazione rimpolpando i loro sistemi di difesa pagando ognuno di tasca propria, e acquistando dall’industria militare Usa; o accordarsi per una Difesa comune europea.
Per finanziarla, sempre nel quadro della Nato, è in discussione la possibilità di emettere debito comune. In questo caso gli scenari sono due: 1) acquisti centralizzati dai miglior offerenti per spendere meno; 2) concentrare le risorse sull’industria europea nello sviluppo di progetti unici in modo da uniformare le forniture e abbassare i costi.
L’interesse comune
Per gli europei, aumentare la distanza dall’alleato americano significa essere più vulnerabili alle manovre di divisione del Cremlino. Per gli americani l’Europa rimane per ora l’alleato più importante, anche nei forum e nelle istituzioni internazionali, dove europei e americani sulle grandi questioni rimangono per lo più uniti: dall’Ucraina alle guerre del Medio Oriente.
Così come ci sono interessi comuni nel garantire la libertà di navigazione nel mondo, a cominciare dal Mar Rosso, minacciato dagli houthi filoiraniani. A mettere un freno alla tendenza della Casa Bianca di Trump di incrinare il rapporto con gli europei, sarà proprio la realtà di un mondo segnato dalla crescente influenza cinese e dalla competizione tra potenze. […]