E "STUTATELO ‘STO TELEFONO"! CAZZULLO: "SECONDO ME IL MAESTRO MUTI HA ANCHE CAPITO QUALE PARLAMENTARE AVEVA LASCIATO IL CELLULARE ACCESO DURANTE IL SUO DISCORSO AL SENATO (IL PIÙ SPIRITOSO È STATO LUCIANO NOBILI, CHE ALLA BUVETTE HA ASSICURATO: ‘NON ERA IL MIO, IO ERO QUELLO CHE GUARDAVA LA PARTITA’) - L’ITALIA INVESTE TROPPO POCO SULLA MUSICA. LO STESSO MUTI RICORDA SPESSO CHE A SEUL CI SONO VENTIDUE ORCHESTRE SINFONICHE; IN ITALIA, DUE. E CIÒ LO TORMENTA PIÙ DEL SUONO MOLESTO DI UN CELLULARE LASCIATO ACCESO.
Dalla rubrica delle lettere del “Corriere della Sera”
riccardo muti - concerto di natale in senato
Caro Aldo, il maestro Muti dirige l’orchestra al Senato, alla presenza del Presidente della Repubblica: suona un cellulare! Un altro senatore viene «beccato» a guardare la partita della Roma. Bellissimo il commento del maestro, ma increscioso il comportamento di alcuni nostri rappresentanti in Parlamento. Nella cosiddetta Prima Repubblica non sarebbe mai successo: altro era lo spessore culturale dei nostri senatori. Che impressione ha avuto lei?
Carlo Girola
Risposta di Aldo Cazzullo:
Caro Carlo, il maestro Muti non ha interrotto il concerto.
Ha sentito un suono estraneo, e con il suo orecchio assoluto ha gettato un’occhiataccia verso la fila da cui il suono proveniva. Secondo me, ha anche capito quale parlamentare aveva lasciato il cellulare acceso (il più spiritoso è stato Luciano Nobili, che alla buvette ha assicurato: «Non era il mio, io ero quello che guardava la partita»). Poi, durante il breve discorso finale, si è sentito lo stesso suono.
riccardo muti - concerto di natale in senato
È stato allora che Muti è sbottato, in dialetto: «E stutatelo ‘sto telefono!». Ma la cosa importante non è stata il siparietto, quanto appunto il discorso. In poche parole, Muti ha espresso «l’immenso orgoglio di essere italiano», per citare la frase che Umberto Boccioni annotò nelle trincee della Grande Guerra, prima di morire cadendo da cavallo nelle retrovie.
Muti ha rievocato la sua formazione alla scuola di Antonino Votto, che era stato assistente di Arturo Toscanini, il quale a sua volta aveva suonato il violoncello per Giuseppe Verdi: bastano due generazioni per risalire al più noto musicista italiano (forse anche il più grande, dopo Rossini; certo Verdi è stato anche un autore politico e civile, ma Rossini musicalmente è, a mio avviso, inarrivabile). Nello stesso tempo, Muti ha espresso la sua preoccupazione per il modo in cui la musica è trattata in Italia.
Al di là dell’insopportabile retorica per cui i giovani sono attenti al mondo e sono meglio di noi, in realtà il pubblico dell’opera e della musica sinfonica è anziano, proprio come quello del teatro. I giovani o non hanno soldi (ma lo spritz è gratis?), o sono davanti al telefonino. Certo tra i musicisti ci sono giovani bravissimi, a cominciare da quelli dell’orchestra Cherubini che hanno suonato a Palazzo Madama. Ma l’Italia investe troppo poco sulla musica. Lo stesso Muti ricorda spesso che a Seul ci sono ventidue orchestre sinfoniche; in Italia, due.
E ciò lo tormenta più del suono molesto di un cellulare lasciato acceso.
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