IL DESTINO DI CECILIA SALA, DETENUTA IN IRAN, E’ LEGATO A QUELLO DELL’INGEGNERE MOHAMMAD ABEDINI IN PRIGIONE IN ITALIA - IERI L’AVVOCATO DELL’IRANIANO HA DEPOSITATO L’ISTANZA DI ARRESTI DOMICILIARI IN ATTESA DEL VERDETTO SULL’ESTRADIZIONE CHIESTA DAGLI USA - UNA MISURA DETENTIVA PIÙ BLANDA SAREBBE LETTA COME UN’APERTURA DA TEHERAN - GLI AMERICANI, CHE LO ACCUSANO DI ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE, LO VOGLIONO IN CELLA: TEMONO POSSA FUGGIRE COME FECE ARTEM USS - SE LA CORTE D’APPELLO NEGASSE LA MISURA ATTENUATA, LA PALLA PASSEREBBE AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA: NORDIO POTREBBE REVOCARE GLI ARRESTI A FINI ESTRADIZIONALI, RICORRENDO A VALUTAZIONI TECNICHE (LE ACCUSE MOSSE A ABEDINI SI RIFERISCONO ALLE NORME AMERICANE, CHE NON TROVEREBBERO RISCONTRO NELLE LEGGI ITALIANE). MA SAREBBE UN’IPOTESI DIROMPENTE SUL PIANO DEI RAPPORTI TRA ITALIA E USA…
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
L ULTIMO VIDEO DI CECILIA SALA PRIMA DELL ARRESTO
[…] è nella doppia partita giudiziaria in corso in Iran e in Italia (dove l’ingegnere Mohammad Abedini-Najafabani è detenuto in attesa della decisione sull’estradizione richiesta dagli Stati Uniti) che si gioca la possibilità di liberare Cecilia Sala.
La comunicazione ufficiale dell’accusa, nei suoi confronti, di «violazione delle leggi della Repubblica islamica dell’Iran», fatta ieri dal ministero della Cultura e della Guida islamica, può avere un doppio significato. Da un lato è la conferma che contro la giornalista non c’è niente di concreto; nessun riferimento a comportamenti trasgressivi di una norma, quando e in che modo.
E il fatto che a quasi due settimane dall’arresto manchi ancora una contestazione specifica dimostrerebbe una volta di più che il fermo della reporter è stato una ritorsione all’arresto in Italia di Abedini, per farne «moneta di scambio».
Ipotesi ribadita persino dall’orario, oltre che dal giorno, in cui le forze di sicurezza iraniane hanno prelevato Sala: le 12.30 circa di giovedì 19 dicembre, un’ora dopo la conclusione dell’udienza davanti alla Corte d’appello di Milano in cui il detenuto iraniano ha negato il consenso all’estradizione, avviando una procedura legale (con lui in prigione) destinata a durare diverse settimane, se non mesi.
Dall’altro lato, però, l’assenza di accuse circostanziate lascia aperta la strada per la soluzione immediata del caso: l’espulsione dal Paese, che le autorità locali potrebbero decidere prima di avviare un procedimento penale incardinato su fatti concreti. È come se a Teheran si tenessero le mani libere per rispondere in breve tempo ai segnali che dovessero giungere da Milano o da Roma a proposito di Abedini, l’oggetto dell’altra partita giudiziario-diplomatica in corso che tuttavia coinvolge non solo Italia e Iran, ma pure gli Stati Uniti, stretto alleato di un Paese e nemico giurato dell’altro. È il fattore che rende tutto più complicato.
Ieri l’avvocato difensore dell’ingegnere iraniano ha depositato l’annunciata istanza di arresti domiciliari in attesa del verdetto sull’estradizione chiesta dagli Usa. È chiaro che l’eventuale concessione di una misura detentiva più blanda sarebbe letta come un segnale di apertura nei confronti della Repubblica islamica, molto interessata alla sorte del proprio cittadino esperto di droni e sistemi militari.
Gli Stati Uniti lo accusano di associazione per delinquere, violazione delle leggi sull’esportazione di armi (i droni prodotti dalla società di Abedini, secondo gli americani, sarebbero stati utilizzati anche dai russi nella guerra all’Ucraina) e supporto ai pasdaran del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica, che gli Usa considerano un’organizzazione terroristica.
Anche per questo il tribunale del Massachusetts ha segnalato ai giudici italiani, tramite il ministero della Giustizia, il grave pericolo di fuga dell’estradando e la necessità di tenerlo in carcere. I tempi della decisione su questa richiesta preliminare potrebbero essere accelerati se la Procura generale e il difensore di Abedini rinunciassero ai termini fissati dalla legge per le rispettive norme.
E l’inedita garanzia a non evadere comunicata dall’avvocato su assicurazione fornita della rappresentanza diplomatica iraniana in Italia potrebbe aiutare i giudici a dire «sì», nonostante le pressioni statunitensi e il precedente della fuga dai domiciliari del detenuto russo Arthem Uss, anche lui reclamato dagli Usa.
Se invece la Corte d’appello dovesse negare la misura attenuata, potrebbe entrare in gioco il potere politico, attraverso la facoltà del ministro della Giustizia di revocare gli arresti a fini estradizionali. Per giungere a questa decisione il Guardasigilli Carlo Nordio potrebbe ricorrere a valutazioni tecniche sulla configurabilità delle accuse mosse a Abedini in base alle norme statunitensi, che non troverebbero riscontro nelle leggi italiane; un’ipotesi risolutiva per l’Iran ma potenzialmente dirompente sul piano dei rapporti tra Italia e Usa. Che però aiuterebbe Cecilia Sala a lasciare la prigione di Evin.