"DORMO PER TERRA IN CELLA E MI HANNO TOLTO ANCHE GLI OCCHIALI" - CECILIA SALA RACCONTA LE SUE CONDIZIONI NEL CARCERE DI EVIN, DOVE È DETENUTA DAL 19 DICEMBRE. LA 29ENNE HA PARLATO AL TELEFONO CON I SUOI GENITORI E IL COMPAGNO E HA RIVELATO CHE NON LE È ARRIVATO NESSUN PACCO CON I BENI DI PRIMA NECESSITÀ, COME RIFERITO DALLE AUTORITÀ DI TEHERAN - ALL'INTERNO DEL CARCERE È FREDDO E LA LUCE È ACCESA 24 ORE SU 24 - IL DAGOREPORT: CON UN MINISTRO DEGLI ESTERI (E UN GOVERNO) ALL'ALTEZZA, CECILIA SALA NON SAREBBE FINITA IN UNA GALERA DI TEHERAN...
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Estratto dell'articolo di Greta Privitera per il “Corriere della Sera”
L ULTIMO VIDEO DI CECILIA SALA PRIMA DELL ARRESTO
Nella cella lunga quanto lei sdraiata, Cecilia Sala non ha un materasso e dorme per terra, su una coperta. Ne ha un’altra di coperta per proteggersi dal freddo di Evin che è pungente — «doloroso», dicono le detenute iraniane —, e congela. Cecilia Sala non vede nessuno dal 27 dicembre, dal giorno in cui ha incontrato l’ambasciatrice Paola Amedei.
Non vede nemmeno le guardie perché le passano il cibo — molti datteri — da una fessura della porta. Non ha ricevuto nessun pacco. Nessun panettone. Nessun cioccolato, né sigarette, né maglioni, né i quattro libri che già immaginavamo tra le sue mani, né la mascherina per proteggersi dalla luce al neon accesa 24 ore su 24, né beni di prima necessità. Anzi: a Cecilia Sala sono stati confiscati gli occhiali da vista.
L’unico — l’unico — particolare che per la famiglia della giornalista in cella in Iran dal 19 dicembre aveva l’ombra di una rassicurazione, era quella frase pronunciata dalle autorità subito dopo l’arresto: «Tratteremo la reporter italiana in modo dignitoso». Ora lo sappiamo: non va così.
A Sala è riservato lo stesso trattamento delle prigioniere politiche che affollano le celle del carcere simbolo della repressione della Repubblica islamica. Il metodo è identico: senza dignità.
Ieri, primo gennaio, nemmeno 24 ore dopo il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dedicato anche a lei, alla giornalista del Foglio e di Chora Media sono state concesse tre chiamate: alla madre, al padre, al compagno e collega Daniele Raineri. Telefonate sconvolgenti per la famiglia che la immaginava in condizioni migliori, viste le informazioni degli ultimi giorni. E che hanno spinto la Farnesina a chiederne la «liberazione immediata» e «garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione».
Ma il regime fa il regime e non rispetta la parola data. La versione della Repubblica islamica era un’altra. Avevano raccontato che è stata scelta una cella singola per farla sentire al sicuro, per farla stare meglio. Avevano aggiunto che finalmente erano riusciti a consegnarle il pacco dell’ambasciata con alcuni dolci, libri e beni di prima necessità. Niente di tutto questo è vero. Sala è una prigioniera a tutti gli effetti degli ayatollah che non specificano ancora l’accusa per cui l’hanno arrestata. La tengono in regime d’isolamento con un generico «ha violato le leggi della Repubblica islamica».
«Fate presto», ha detto la giornalista nella prima chiamata dopo l’arresto. Lo ha ripetuto anche ieri: «Fate presto». Sala non può rimanere chiusa tra le pareti di una prigione dove non vengono rispettati i diritti umani.
Se il suo destino è speculare a quello di Mohammad Abedini-Najafabad — l’ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre per conto degli Stati Uniti — in realtà ci sono già molte differenze tra le loro storie, le loro detenzioni: Abedini ha un materasso, delle coperte, dei libri, dei vestiti, contatti umani. Ha la certezza di un sistema giudiziario che gli garantirà un trattamento giusto, secondo le leggi del diritto internazionale. Sala è ostaggio di un Paese illiberale che sta mostrando tutta la sua ferocia nei confronti di una cittadina straniera che è andata in Iran per fare il suo lavoro con un visto giornalistico regolare. [...]
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