
“MIA FIGLIA È STATA VIOLENTATA ED È DOVUTA FUGGIRE DAL PAESE. E IO, SUO PADRE E SUO FRATELLO SIAMO MINACCIATI” – PARLA LA MAMMA DELLA 14ENNE, STUPRATA PER ANNI DA UN GRUPPO DI GIOVANI VICINO AI CLAN DI GIOIA TAURO, IN CALABRIA: I VIOLENTATORI SONO STATI SBATTUTI IN CARCERE, MA DA QUANDO HA DENUNCIATO NON HA PIÙ PACE - “CI HANNO TAGLIATO LE GOMME DELL’AUTO CINQUE VOLTE. VIVIAMO IN UN PAESINO E CI INSULTANO SE USCIAMO. SOLIDARIETÀ? SOLO IN PRIVATO, TUTTI HANNO PAURA. IL FRATELLO DEL SINDACO È UNO DEGLI STUPRATORI E IL PARROCO NON HA DETTO UNA PAROLA…”
Estratto dell’articolo di Carlo Macrì per il “Corriere della Sera”
VIOLENZA SESSUALE SU UNA RAGAZZA
Sua figlia per due anni, da quando ne aveva 14, è stata abusata e minacciata di morte da un gruppo di giovani — alcuni minorenni — vicini ai clan della Piana di Gioia Tauro. Lei, Clelia — il nome è di fantasia —, insieme a una sua coetanea. Martedì è arrivata la sentenza: sei violentatori delle due ragazze sono stati condannati con il rito abbreviato a pene che vanno dai cinque ai 13 anni.
Signora, che cosa è successo dopo la denuncia di Clelia a un poliziotto e le condanne?
«Mia figlia è stata costretta a lasciare il paese, noi siamo obbligati a vivere sotto minaccia e a subire continui danneggiamenti. Negli ultimi mesi hanno tagliato cinque volte le gomme della mia auto. Ci sentiamo in pericolo, nessuno ci aiuta».
Il vostro paese ha duemila e 500 abitanti. Vivete a stretto contatto con i familiari dei condannati?
«Certo. E ogni mattina è un calvario. Appena mettiamo piede fuori dalla porta di casa inveiscono contro di me e mio marito con parole volgari.
Qualche mese fa uno di loro addirittura ha minacciato di accoltellarmi. Ieri (il giorno della sentenza, ndr ) l’ennesima intimidazione: la badante di un’anziana parente di uno degli stupratori di mia figlia mi ha aggredito con parole irripetibili».
Un calvario continuo.
«[…] Abbiamo scritto al prefetto di Reggio Calabria chiedendogli la cortesia di trovarci un appartamento lontano da qui, proprio per sfuggire a questi continui attacchi. Non abbiamo ricevuto risposta».
Sua figlia, diceva, è stata costretta a lasciare il paese.
«Da due anni è come se non avessi più una figlia. La vedo solo un’ora al giorno. Mi sento impazzire. Mi sto perdendo gli anni più belli della sua vita. […]».
Cosa ha detto dopo la condanna dei suoi violentatori?
«Che devono marcire in galera».
Dove e come sarà la vita di sua figlia?
«Appena finita la scuola andrà via dalla Calabria. Non vuole sentire ragioni di restare. E io condivido la sua volontà».
Lei ha un altro figlio preadolescente. Come ha reagito a questa vicenda?
«I primi mesi era terrorizzato. La gente lo incontrava per strada e sputava a terra in segno di disprezzo. Tornava a casa piangendo».
Ha avuto solidarietà?
«Viviamo in un ambiente culturalmente disagiato e intriso di criminalità. Alcuni nostri amici ci hanno espresso la loro vicinanza ma solo in privato. Hanno paura di esporsi pubblicamente. “Loro”, i parenti dei condannati, sono tutti vicini ai clan della zona. La gente qui ha paura. E io li capisco».
Il sindaco, il parroco, nessuno si è fatto vivo?
«Il fratello del sindaco è uno dei violentatori. È stato condannato a cinque anni in abbreviato. Il Comune si è costituito parte civile. L’ho chiamato quando una sua parente mi ha minacciato e lui mi ha risposto che “non prende le ragioni né mie né della sua famiglia”. Per non parlare del parroco».
Che cosa intende?
«Non ha mai detto una parola. […]»
[…]
Come ha saputo?
«Dalla polizia. Mia figlia non è riuscita a dirmi nulla. Era psicologicamente turbata. Piangeva continuamente e io non mi spiegavo il motivo. La notte la sentivo singhiozzare, mi avvicinavo e lei mi abbracciava».
Perché?
«I suoi violentatori l’avevano minacciata, le dicevano di non dire nulla di quello che le accadeva perché se avesse parlato avrebbero ucciso me. Ha taciuto per difendermi».
Ora ha paura?
«No, assolutamente. Io cammino a testa alta».