"I MIEI GENITORI FACEVANO ORGE IN CASA, POI MI VOLEVANO VERGINE AL MATRIMONIO" - LA SCRITTRICE MARTINA PUCCIARELLI RACCONTA LA FUGA DALLA COMUNITÀ DI CRISTIANI MILLENARISTI: "QUANTA IPOCRISIA, SOPRATTUTTO SUL SESSO. MIO FRATELLO AVEVA UN ALTRO PADRE BIOLOGICO, MIA MADRE ERA LIBERTINA: NELLE LETTERE CHE INVIAVA AL SUO AMANTE NON MENZIONA QUASI MAI MIO PADRE, MENTRE PARLAVA DI ALTRI UOMINI CON CUI VOLEVA FARE L’AMORE" - L'ABUSO SESSUALE SUBITO DALL'AUTRICE DA UN AMICO DI FAMIGLIA: "ALL'INTERNO DELLA COMUNITÀ DEI TESTIMONI DI GEOVA CI SONO RAGAZZE CHE HANNO SUBITO VIOLENZE BEN PEGGIORI..."
Estratto dell'articolo di Luca Mastrantonio per “Sette – Corriere della Sera”
Martina Pucciarelli vive e lavora in provincia di Milano, ha 37 anni, un compagno e due figli. A Natale ha fatto molti regali. Come tanti, ma lei ha un bell’arretrato da smaltire, fino ai 29 anni non ha potuto festeggiare la natività di Gesù: viveva in una famiglia di testimoni di Geova, e di Cristo si festeggia la morte più della nascita o resurrezione, all’insegna di un cristianesimo che prende alla lettera le sacre scritture, a partire dal nome originario, Geova appunto.
Sono ovviamente altri i traumi che l’hanno spinta ad uscire, nel 2016, pagando un prezzo alto, venire cancellata dalla vita dei genitori, delle sorelle e di un fratello più piccoli che a differenza di Martina e del fratello maggiore, anche lui uscito, sono restati nei testimoni di Geova.
L’abbiamo contattata in occasione del libro che uscirà il 21 gennaio per HarperCollins, Il Dio che hai scelto per me. Un romanzo-verità ad alto tasso autobiografico, in cui ha raccontato la sua esperienza di vita, sofferenza e rinascita. […]
Il tempo, la scrittura. Quando e perché decise di uscire dai testimoni di Geova? Nel romanzo è un suicidio a spingere la protagonista.
«Quello è inventato, serviva come meccanismo narrativo. Tutte le morti sono finzione, il resto è vero, solo romanzato».
Anche l’abuso sessuale che la protagonista ha subito da piccola? Era diventata l’oggetto sessuale di un altro ragazzo, un amico di famiglia. Ma il fatto è stato messo a tacere da una delle anziane.
«Non ci sono anziane nei testimoni di Geova, solo anziani, perché le donne non possono avere nessuno ruolo di autorità. Sono tutte sorelle di fede. Comunque non ho inventato nulla. Per me quel fatto è diventato un tabù per tanti anni. Il dolore più grande è stato che non venisse data importanza alla cosa. Devo riconoscere a mia madre che lei se ne era accorta, io le ho chiesto di portarmi da una sorella di fede che era come una seconda madre, cui ero legatissima e lei ha peccato di superficialità. Comunque ci sono ragazze che hanno subito abusi ben peggiori».
il dio che hai scelto per me martina pucciarelli
Fu per queste violenze taciute che se ne andò?
«La spinta ha a che fare con la maternità. E riguarda la prima accusa che ho mosso a Dio. Mi ero sposata, i figli non arrivavano. E dicevo a Geova: “Sono sempre stata brava e ubbidiente e ho sempre fatto quello che volevi, ho rinunciato a tante cose per te e una cosa ti chiedo, una cosa voglio, perché non me la dai?”.
Ci credevo e all’epoca pensavo che mi stesse punendo per qualcosa che non avevo capito. E poi ho fatto la fecondazione assistita, sempre secondo le regole della comunità, con il seme del marito, ma lì mi sono detta che il figlio non me l’ha dato Dio ma la scienza». [...]
Ma la decisione quando l’ha presa?
«Dopo alcune sedute di terapia. Era il 2014, e io ero al 7° mese, aspettavo il secondo bambino, e sentivo il bisogno di confrontarmi con qualcuno che non fosse della comunità, e la gravidanza mi ha dato la scusa per andare in terapia, che è vista malissimo. In genere ti fanno fare chilometri per andare da psicologi testimoni di Geova.
Io con la scusa che ero incinta e che una sorella di fede che lavorava in una struttura sanitaria aveva iniziato a fare psicoterapia da una sua collega, ho detto a mio marito che se ci andava lei, potevo andarci anche io».
In cosa le è stata utile la terapia?
«Qualcosa non mi tornava. Loro ti promettono una felicità tanto più grande quanto più rinunci alle cose: io avevo rinunciato a tutto ma ero infelice. E allora o il problema sono io, come volevano farmi credere, o la ricetta non funziona. La terapista mi ha detto: “Se ti prendo e ti metto in un altro contesto, tu funzioni”. La supplicavo di darmi antidepressivi e lei no, diceva, bisogna lavorare... E in un paio di anni sono uscita».
È stata una decisione improvvisa?
«Per gradi. Con il secondo figlio, sono andata da mio marito e gli ho detto: non mi interessa se i nostri figli non diventano testimoni di Geova... Se una volta, al posto di una ragazza, ci portano a casa un ragazzo. Questo è stato il primo distacco.
Poi ho fatto richieste più pratiche, a casa va bene niente Natale o Carnevale ma a scuola devono essere come gli altri. Sono uscita per i miei figli, per me non ci sarei riuscita, forse non mi volevo bene abbastanza». [...]
E quando ha deciso di scrivere questo libro?
«Quando ho rivisto una mia ex compagna di liceo, fatto in Calabria. La scuola, quando ero tra i testimoni di Geova, è stata un posto sicuro, ho sfruttato tutte le attività extrascolastiche per vivere nel mondo reale, dal giornalino al teatro, con ragazze come Erminia, che una volta mi ha detto “perché non scrivi la tua storia?”. È così ho iniziato».
C’è qualcosa che le manca dei testimoni?
«La fede. All’epoca ci credevo, a Geova io parlavo, era bello avere qualcuno con cui dialogare, con cui trovare senso per le cose della vita».
Lei andava a bussare alle porte delle persone?
«Sì, facevo le mie 70 ore mensili di pioniera, ma non mi piaceva quell’attività. Da piccola accompagnavo papà e ci restavo male quando lo insultavano».
È una vita piena di proibizioni, all’insegna dell’umiltà. Quale rinuncia le pesava di più?
«L’amore, si arrogavano il diritto di dirti chi dovevi amare».
Qual era il peccato più diffuso tra i testimoni?
«L’ipocrisia. Ci sono persone che spendono la vita per il prossimo, dedicando tempo non pagato a predicare l’amore, e poi in casa magari non parlano con i figli o rinunciano a loro. Ipocrisia, o follia. Io sono cresciuta come figlia di un anziano, poi moglie di un anziano.
Per noi, figli e mogli di questa “categoria”, gli occhi erano sempre addosso, altrimenti gli anziani rischiavano di perdere la nomina. Mio padre ha scelto di fare l’anziano, sacrificando di fare il padre, con mio fratello, ha cacciato il figlio per salvare la sua reputazione».
Qual è stata la cosa più ipocrita che ha subìto?
«Riguarda il sesso, e i miei genitori. Avevo capito che mio fratello aveva un altro padre biologico, prima che ce lo dicesse mia nonna e poi mio padre. Ma di recente ho scoperto un’altra cosa sconvolgente. Mio fratello maggiore è tornato da Roma perché era morto il suo padre biologico e si è presentato con un plico di lettere di mia madre rivolte a quest’uomo, il suo amante, nei primi anni 80.
Non riusciva a leggerle: “Per favore, leggile tu”. In queste lettere di mia madre ventenne ho scoperto che lei non aveva amato mio padre e aveva fortemente voluto la nascita di mio fratello da quest’uomo, mentre prima pensavo fosse stato casuale. È poi emerso un aspetto che lei aveva nascosto: era molto libertina, nelle lettere non menziona quasi mai mio padre, mentre parlava di altri uomini, citandoli per nome, con cui voleva fare l’amore».
Convertirsi a un Dio così esigente e punitivo è un modo per espiare una vita libertina?
«Vivevano in uno stile beat generation, una giovinezza di eccessi, mio padre l’ha confessato a mio fratello. Questa era la loro maniera di ribellarsi. Alla fine, si sono auto-puniti... convertendosi. Ho provato rabbia, giustificata, perché c’è una via di mezzo tra fare orge in casa e costringermi a sposarmi vergine. Invece, loro hanno scelto gli estremi. Hanno immolato me per espiare i loro peccati. Dovevano limitarsi a immolare sé stessi. Mi hanno tolto l’adolescenza».