
"LA PRIMA VOLTA CHE VISITAI UN MANICOMIO FU UN VIAGGIO ALL'INFERNO" - LO PSICHIATRA VITTORINO ANDREOLI: "I MALATI ERANO LEGATI E VENIVANO CAMBIATI SOLO QUANDO FINIVA IL TURNO DEGLI INFERMIERI. LA POSSIBILITÀ DI RECUPERARE UN ESSERE UMANO È SEMPRE APERTA - PAOLO VI? PARLAVAMO DEL RAPPORTO TRA DEMONE E FOLLIA. MI RIPETEVA 'IL MALE C'È' - OGGI LA PSICHIATRIA È IN CRISI: C'È UN RITORNO AL BIOLOGISMO, ALLE RESPONSABILITA' EREDITARIE E INVECE BISOGNA UMANIZZARE, RIPORTARE LA FOLLIA ALL'INTERNO DELL'UMANO" - "LA VECCHIAIA? UNA MERAVIGLIA, SI HANNO MENO CONDIZIONAMENTI"
Estratto dell'articolo di Filippo Maria Battaglia per "la Stampa"
Nella casa di Vittorino Andreoli, sulle colline di Verona, c'è un unico quadro appeso.
Ritrae il padre Luigi. «È lui il mio eroe», racconta lo psichiatra, inarcando le folte e ipnotiche sopracciglia. «Restò orfano a 11 anni e iniziò a lavorare come manovale. Fece le serali, divenne capomastro, mise in piedi la propria azienda, sperando che io prima o poi potessi entrarci».
[…] Capì subito che avrebbe voluto occuparsi dei suoi "matti", come chiama i suoi pazienti?
«Sì. Dopo il liceo andai ad ascoltare la conferenza di Cherubino Trabucchi, il direttore del manicomio di San Giacomo della Tomba. Lo avvicinai: "Senta Professore, vorrei fare lo psichiatra ma non ho mai visto i malati". E lui: "Domattina alle 8 l'aspetto davanti al manicomio". Andai».
Cosa provò?
«Fu un viaggio all'inferno. Attraversammo i cinque padiglioni maschili e poi i cinque femminili. Nell'ultimo, i malati erano tutti legati e venivano cambiati solo quando finiva il turno degli infermieri. E poi quell'odore di disumanità… Uscendo dall'istituto, Trabucchi mi disse: "Immagino avrà cambiato idea". Risposi: "Veramente ciò che ho visto mi fa pensare che posso fare qualcosa"».
Prima però avrebbe fatto molta ricerca: a Milano, a Cambridge e infine a New York e ad Harvard, dove rifiutò la cattedra da ordinario.
«Mia moglie aveva da poco partorito la nostra prima bimba, la seconda era in arrivo. Quando rincasai e le dissi dell'incarico, rispose: "Sono contenta perché te lo meriti ma io e le mie figlie torniamo in Italia"».
E anche lei tornò.
«Ma non a Milano, al paesello. La ricerca che avevo sperimentato ad Harvard non aveva confronti con quella italiana. "D'ora in avanti - mi dissi - studierò il cervello delle persone"».
Così fece. L'anno dopo divenne primario dell'Ospedale psichiatrico di Marzana.
«Disposi che nessuno dovesse legare i pazienti: in caso di necessità, avrei garantito che sarei arrivato entro dieci minuti e saremmo intervenuti coi farmaci o gli infermieri».
[…] «Una mattina, la caposala, suor Pienza, mi venne incontro agitatissima: un malato considerato pericoloso era stato rinchiuso in una stanza. Stava spaccando tutto, c'era un rumore infernale, trovai medici e infermieri davanti alla porta che per sicurezza era stata chiusa dall'esterno».
Come intervenne?
«Chiesi di farmela aprire. La stanza era distrutta, il lavandino divelto. Decisi allora di scagliare anch'io ciò che mi trovavo davanti, devo ammettere non senza una certa soddisfazione. E a quel punto il malato si fermò. Quello stesso giorno feci recuperare tutti i mezzi di contenzione, li accatastammo nel giardino e li bruciammo in un falò. Fu una giornata stupenda».
Era il 1972. Nella sua autobiografia ha raccontato che proprio in quei mesi conobbe Paolo VI.
«Lo incontrai due volte. Aveva letto uno dei miei libri, parlammo del rapporto tra demone e follia. Era più basso di me, fragilissimo, uscendo dalla stanza si tenne attaccato al mio braccio, ripetendomi: "Professore, il male c'è"».
Come sta oggi la psichiatria?
«In forte crisi: c'è un ritorno al biologismo, ai geni, alle responsabilità ereditarie».
Lei ha scritto invece che l'uomo può cambiare a seconda di chi incontra.
«Da più di mezzo secolo non faccio che questo: umanizzare, riportare la follia all'interno dell'umano».
È possibile anche coi serial killer più spietati?
«La possibilità di recuperare l'umano è sempre aperta. Prenda Donato Bilancia, uno che in 6 mesi ha ammazzato 17 persone e si è preso 13 ergastoli. Negli anni il suo comportamento è cambiato, ha preso un diploma, si è laureato».
[…] Nel suo ultimo libro, L'ira funesta (Solferino), lei si interroga su «come frenare la distruttività del mondo contemporaneo».
«Prima bisogna intendersi su cosa sia la distruttività».
Prego.
«A differenza della violenza, in cui uno uccide un nemico e così se ne libera, distruttività è uccidere senza trarne un vantaggio. Una piccola apocalisse, insomma».
Riguarda anche la nostra civiltà?
«Pensi all'Ucraina: c'è uno che ne difende l'indipendenza e un altro che la vuole conquistare, dunque c'è un interesse per un Paese che entrambi distruggono, perché le bombe lanciate da una parte o dall'altra cadono sempre lì, in Ucraina. Siamo all'agonia».
[…] Con Narciso non ha nulla da spartire?
«Nulla. Io non sopporto i narcisi, perbacco, li curo! La mia forza è nella relazione, l'antitesi del narcisismo: senza mi perdo, divento inutile».
Ad aprile compirà 85 anni. Qualche tempo fa ha scritto che «la vecchiaia è un privilegio».
«E lo ripeto: la vecchiaia è una meraviglia. Prenda il senso dell'autonomia mentale, l'opportunità di avere meno condizionamenti, o ancora la possibilità di essere più vicino ai sentimenti». […]