pino daniele

"PINO DANIELE HA REINVENTATO L’ANIMA DI NAPOLI CON DIEGO MARADONA E MASSIMO TROISI" – MARINO NIOLA: "IL CANTANTE, IL CAMPIONE ARGENTINO E L’ATTORE INCARNANO UNA TRINITÀ GIOVANILE MOLTO DIVERSA DALLE ANTICHE ICONE DELLA SCENA PARTENOPEA CHE AVEVANO TUTTE UN PROFILO MATURO. UN MODO ANTAGONISTICO DI RIPENSARE IL SUD COME UNA DIFFERENZA CULTURALE, ADDIRITTURA ANTROPOLOGICA, DA RIVENDICARE E NON PIÙ COME UN RITARDO DA FARSI PERDONARE" - VIDEO

 

 

Marino Niola per “la Repubblica” - Estratti

 

pino daniele massimo troisi

Il 4 gennaio di dieci anni fa, all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, la vita di Pino Daniele finiva e il suo mito cominciava. Perché proprio nel momento in cui il suo cuore si è fermato, l’uomo in blues è stato assunto nei cieli alti dell’immaginario napoletano. Grazie alla bellezza intramontabile di canzoni come Napule è e Terra mia , ma anche alla capacità di dare voce a quel passaggio decisivo della storia musicale della sua città, in cui l’innovazione si incontrava e si scontrava con la tradizione.

 

Siamo alla fine degli anni Settanta, all’indomani del revival folk, legato al grande regista e compositore Roberto De Simone, a gruppi storici come La Nuova Compagnia di canto popolare, a musical di culto come La Gatta cenerentola

 

Tra gli Anni di piombo e quelli successivi al terremoto del 1980, la narrazione di Napoli entra in una fase nuova, metropolitana, fusion, aperta ad altri stili musicali. E soprattutto giovanile.

 

maradona pino daniele

Un modo antagonistico di ripensare il Sud come una differenza culturale, addirittura antropologica, da rivendicare e non più come un ritardo da farsi perdonare.

 

Canzoni come Nero a metà , sono proprio un nuovo manifesto artistico dove il blues, la musica nera dei ghetti Usa, entra prepotentemente nei vicoli di Napoli e si ambienta perfettamente fra il golfo e le periferie. «Il blues — dice Pino in un’intervista a Giuseppe Marrazzo andata in onda nel 1979 nello speciale Rai Nero Napoletano — esprime la ribellione a questi continui soprusi da parte di quelli che odiano la gente di colore. E possiamo dire che c’è una somiglianza fra i neri e noi».

 

pino daniele. il tempo restera

Gli artisti del cosiddetto “Neapolitan Power”, tra cui i Napoli Centrale, James Senese, Enzo Avitabile, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, Teresa De Sio, Edoardo Bennato e tanti altri che si ispirano direttamente al Black Power americano, si definiscono “neri del Vesuvio”. Ribaltando gli stereotipi razzisti sui meridionali allora ancora tanto diffusi, in una sorta di movimento “Sud lives matter”.

 

Ma Pino fa giustizia anche del colore locale, del sole e del mare.

 

Che con lui non luccica più come nella canzone di tradizione, ma diventa una ferita dell’anima, «chi tene ‘o mare ‘o sape ca è fesso e cuntento, chi tene ‘o mare ‘o ssaje nun tene niente». Insomma, l’autore di Je so’ pazzo offre un nuovo sentiment a quel mondo giovane che non vuole più esser fesso e contento.

massimo troisi maradona

 

E che prende le distanze da un’eredità illustre ma ingombrante come quella della canzone classica partenopea. La rispetta ma la contamina, per sfuggire ad un abbraccio soffocante. È quel che sperimenta fra i Settanta e gli Ottanta una generazione di vesuviani in fuga, che in realtà non riesce ad andarsene veramente. E trasforma questo andirivieni dell’anima in una poetica fatta di passione e delusione, struggimento e risentimento.

 

Non è un caso che la figura di Pino sia associata ad un altro simbolo di quel cambiamento come Massimo Troisi, anche lui un napoletano “lost in transition”. Anche lui costretto a fuggire per realizzare le fantasie surreali che la città gli ha ispirato, ma che gli impedisce di realizzare. Come una madre possessiva che ti rinfaccia sempre quel che ti ha dato, ma dimentica quel che ti ha tolto. In realtà il disincanto poetico di Pino e l’indecisione cosmica di Massimo sono gli emblemi di una gioventù che tenta di sottrarsi al richiamo di una città seducente e femminile che non lascia mai i figli del tutto liberi. E se una delle sue creature adorate se ne va, lei «si strugge nella tenebra».

pino daniele

 

Lo diceva da par suo Anna Maria Ortese, la scrittrice romana che ha saputo guardare come nessun altro il magma affettivo che ribolle nei labirinti dell’anima partenopea. Invece il Lazzaro felice è stato una di quelle creature che ha scelto di emanciparsi dalla sua cara madre, dai figli che “so’ piezz’ ‘e core” e da tutti i cliché del sentimentalismo napoletano.

 

Ed è venuto quasi automatico associare Daniele, Troisi e Maradona. Insieme incarnano una Trinità giovanile, molto diversa dalle antiche icone della scena partenopea, che invece avevano tutte un profilo maturo. Totò, giovane non lo era mai stato neanche a vent’anni, come del resto Eduardo e Peppino De Filippo, o Vittorio De Sica, che rappresentavano una società adulta, dove le regole le dettavano i grandi. Non facevano eccezione cantanti come Sergio Bruni e Roberto Murolo. E nemmeno il dissacrante Renato Carosone che, al pari dei musicisti del suo gruppo, dimostrava il doppio della sua età.

 

(…)

Il fatto è che il Masaniello swing dà un’inflessione partenopea a quel testacoda generazionale, ma anche culturale e sentimentale, divenuto un modo di essere del nostro tempo. Che fa della giovinezza la nuova anagrafe del mondo.

pino daniele fotografato da guido harari

Grazie anche alla tecnologia che proietta i ragazzi più avanti dei loro genitori. Così, se una volta non si vedeva l’ora di diventare grandi, oggi i grandi fanno di tutto per restare “forever young”. Il risultato è che le diverse generazioni stazionano insieme, allo stato fusionale e confusionale, in una sorta di eterno presente. Trasformando spesso i padri in figli dei propri figli.

Tant’è vero che Pino è amato sia dai cinquantenni che lo ricordano con nostalgia, sia dalla generazione Z che lo ha messo tra i suoi totem. Ecco perché i centomila di ogni età che la sera del 7 gennaio 2015 in Piazza del Plebiscito hanno dato un commovente addio all’artista, cantavano insieme Napule è . La stessa canzone con cui Paolo Sorrentino chiude l’ultima scena di È stata la mano di Dio , il suo splendido amarcord napoletano, dove Fabietto, ritratto del regista da giovane, sta lasciando la città.

PINO ALESSANDRO DANIELE COVER

In realtà ciascuno sente quelle parole a modo suo. A legarle in un sentimento collettivo è il filo della poesia. Che non ha né confini né età.

ezio bosso e pino daniele pino danielejames senese pino danielepino daniele blues metropolitanojames senese pino danielepino daniele fotografato da guido harari

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