"CON LE DROGHE HO SMESSO, CON L'ALCOL PURE E ANCHE CON IL SESSO" – ROBBIE WILLIAMS SPIEGA PERCHE’ NEL BIOPIC “BETTER MAN” HA LE SEMBIANZE DI UNO SCIMPANZÈ: "SONO SEXY MA MI VEDO COSÌ, COME UNA SCIMMIA. IL MIO ASPETTO FISICO È STATO SEMPRE FONTE DI DISAGIO MENTALE" – "UN RITORNO A SANREMO? MI HANNO INVITATO E NON MI SPIACEREBBE. ANDAI AL FESTIVAL NEL ‘94, ERO STRAFATTO, CHI CAVOLO POTREBBE RICORDARSI QUALCOSA?"
Fulvia Caprara per “la Stampa” - Estratti
La mia vita?
better man - la vera storia di robbie williams
Un insieme di cose straordinarie che accadono a una persona particolarmente insignificante». Il gioco dei contrasti è la sua passione, si dichiara narcisista e compulsivo, infatti uno dei suoi più celebri successi è Love my life, una canzone-inno a se stesso.
Filma le immagini dei fan in visibilio («così le faccio a vedere a mia figlia, lei non riesce a credere che io sia importante, io, invece, adoro sentirmi così»), dice «sono stra-maledettamente sexy», ma decide, in accordo con Michael Gracey, regista del biopic Better Man, (da ieriin sala con Lucky Red) di affidare il ruolo di se stesso a una scimmia (l'attore Jonno Davies in versione motion-capture) .
better man - la vera storia di robbie williams
Perché questa scelta?
«Volevo che il pubblico mi vedesse esattamente come vedo me stesso. E poi volevo uscire dai clichè di un certo tipo di biografie cinematografiche, molto in voga ultimamente, dove i protagonisti sono tutti un po' ripuliti, ri-sistemati. Ne siamo tutti stanchi. Better Man non è così, e questo lo rende unico».
E' una scelta coraggiosa.
«Mi sembra sempre di essere un funambolo senza imbracatura di sicurezza, potrei cadere in qualsiasi momento e spesso lo faccio. Quando il regista mi ha detto "facciamo che tu sei una scimmia", ho subito pensato che fosse un'idea eccezionale. Ho amato il rischio, sapevo che dovevamo correrlo. In fondo i meccanismi dell'industria con cui abbiamo a che fare ci richiedono sempre di essere un robot o una scimmia.
Ho scelto la scimmia».
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Qual è il traguardo più importante raggiunto nella sua vita?
«Sono riuscito ad allungare un elastico da Stoke – on –Trent, dove sono nato, al pianeta Marte. Ognuno ha una storia dentro di sé, ognuno è interessante, ognuno compie il suo viaggio da eroe. Fa parte della natura umana. Spero solo che il mio viaggio possa piacere alle persone».
Il film ha valore terapeutico?
«Non so ancora come sarà accolto, finora chi lo ha visto dice cose molto carine. Diciamo che, per ora, è stata un'esperienza liberatoria, ci ho messo tutta la mia autenticità, la mia onestà. Non è stato difficile farlo, siamo tutti alla disperata ricerca di una verità che i media non riescono a farci arrivare. Se poi il film dovesse andare male, vorrà dire che dovrò fare molte più sedute di terapia».
Che cosa l'ha spinta a realizzare Better Man?
«Mi piacerebbe molto poter dire che l'ho fatto per altruismo, per aiutare le persone a rispecchiarsi, a identificarsi nella mia vicenda e a stare meglio con se stesse, ma non è così. Sono un ricercatore professionista di attenzione, se non la trovo, è come se non esistessi e, in questo film, ho rivelato molto di più di quanto avrei dovuto, cosa che, in realtà, faccio quotidianamente… Detto questo, se poi accadrà che il mio lato narcisista piaccia alla gente, ne sarò contento, ma non era l'obiettivo che mi ero posto».
Al centro di tutto c'è il suo rapporto tormentato con il corpo. Come lo descriverebbe?
«Nella mia vita il corpo è stato sempre fonte di disagio, ho dovuto lottare con qualcosa di me stesso, con i miei atteggiamenti compulsivi. La droga, il sesso, il cibo…diciamo che oggi va meglio, con le droghe ho smesso, con l'alcool pure e anche con il sesso (ride). Il peso, il modo in cui mi vedo quando mi guardo allo specchio, resta, invece, un problema, è una nevrosi che mi accompagna ancora…Il corpo può essere una forte causa di vergogna e dolore».
E' stato ospite di XFactor che impressione le ha fatto ?
«I backstage dei vostri programmi tv sono incredibili, stupendi, c'è un gran caos, un'atmosfera molto diversa da quella degli studi televisivi inglesi dove tutti sono precisi, organizzati, in giacca e cravatta. Da voi c'è gente che grida, che corre, poi si comincia ed è tutto perfetto, non si può fare a meno di innamorarsi dell'energia italiana».
E del Festival di Sanremo dove è stato nel '94 che cosa le è rimasto impresso?
«Mi hanno invitato e non mi spiacerebbe tornarci. Ma era il 94, ero strafatto, chi cavolo potrebbe ricordarsi qualcosa?"
Suo padre è la figura guida del racconto autobiografico. Com'era il vostro rapporto?
«Non c'erano molte persone da dove vengo io che avrebbero anche solo sognato di entrare nell'industria dell'intrattenimento, per noi non era possibile coltivare quel tipo di aspirazioni. Eppure, mio padre faceva parte di quel sogno. Lo viveva, e io potevo vedere che era realizzabile. Il modo in cui parlava delle persone del suo settore, che ammirava e amava, era straordinario, come se stesse parlando degli Dei…per me mio padre era un eroe, carismatico, coinvolgente…». Sua madre è la figura più pragmatica, della famiglia, vero?
«Mia madre ha l'ambizione, la tempra e la grinta. Non accetta mai un no come risposta. Io sono un mix di entrambi i genitori. Ho la grinta di mia madre e la capacità di mio padre di intrattenere le persone».
Il biopic descrive anche l'epoca dei "Take that". Come si vede se ripensa ad allora?
«Avevo 16 anni all'inizio, ero il nanerottolo fastidioso della band, quello che si metteva sempre nei guai. Allo stesso tempo, mi arrabbiavo perché gli altri non si prendevano cura di me in modo adeguato. La mia reazione era far saltare tutto. La fama, a quell'età, è molto corrosiva e tossica, sono esploso, ma anche imploso».
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