“CESARE RAGAZZI DICEVA: 'I BAFFI FUNZIONANO SEMPRE'. ALL'INIZIO MI SCAMBIAVANO PER LUI” - ROBERTO DA CREMA, RE DELLE TELEVENDITE DEGLI ANNI '80, RICORDA L’IMPRENDITORE DEI PARRUCCHINI, SCOMPARSO SABATO: "CON ME SI CONFIDAVA, GLI MANCAVA LA TV. MI DICEVA: 'TU HAI LASCIATO QUALCOSA CON IL TUO URLO, AVREI POTUTO FARLO ANCH'IO'" – "BERLUSCONI MI DISSE: 'SE VIENE A TROVARMI SAREI CURIOSO DI AVERE LEZIONI DA LEI'. IL TRASH? È LA VITA QUOTIDIANA, SIAMO NOI IL TRASH - FORSE MI DEDICHERANNO UNA SERIE"
Francesco Moscatelli per "la Stampa" - Estratti
«Mi chiamate per sapere di Cesare, vero? Lo incontravo spesso alle serate mondane, l'ultima volta all'Open House di Milano, e abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. Con me, a dire il vero, si confidava anche un po'.
La tv gli mancava. Come me era arrivato al successo attraverso la pubblicità, e un po' era dispiaciuto che quella popolarità legata alla sua meravigliosa idea dei capelli gli fosse presto scivolata dalle mani. Mi diceva: "Tu hai lasciato qualcosa con il tuo urlo, avrei potuto farlo anch'io". Non era invidioso, perché era un uomo buono, soltanto un po' rammaricato».
Roberto Da Crema, 72 anni, meglio noto come "il Baffo", simbolo della tv commerciale e in qualche modo anche di quel decennio "reaganiano" che in Italia è durato almeno dalla vittoria del Mundial al crollo della Prima Repubblica, ricorda volentieri il collega appena scomparso.
In qualche modo eravate due gemelli diversi: entrambi padani, emiliano lui e lombardo lei. Entrambi con i baffoni…
«I baffi erano un marchio di quegli anni. Cesare diceva che i baffi funzionano sempre. Devo confessare anche all'inizio mi scambiavano per lui, perché aveva avuto successo prima di me. La gente per strada diceva: "Oh guarda, c'è Cesare Ragazzi". Anni dopo è capitato il contrario e insieme ci ridevamo sopra».
Cosa le manca di più oggi di quella tv pioneristica?
«Nessuno di noi si aspettava di diventare un personaggio. Io vendevo per vivere e facevo le televendite solo per vendere più pezzi. Però buttavamo dentro il video una sana inconsapevolezza, una spontaneità, non confezionata come può essere quella di un attore o di un presentatore, a cui la gente si affezionava subito. Se tu provi a confezionare "il Baffo" lo uccidi».
Qual è stata la chiave del vostro successo?
«Credo che la gente che ancora oggi mi chiede i selfie riconosca la fatica che c'è dietro quello che ho fatto. Io ho iniziato vendendo la frutta scalzo dietro il bancone di mio zio al mercato di San Damiano al Colle. Vendevo le angurie.
Poi ho fatto il porta a porta.
Uno di solito lo fa per sei mesi, un anno, io ho suonato i campanelli per dieci anni. Quindi ho girato i piazzali dei supermercati con la roulotte, le fiere, ho sperimentato ogni sistema di vendita. La tv, come ho spiegato anche al circolo culturale dell'università Bocconi, è arrivata dopo».
"Il Baffo" in cattedra alla Bocconi?
«Sì, mi invitò il dottor Carlo Momigliano, ex manager di Publitalia, per parlare di marketing e gestualità. Partii dal banchetto di frutta, come faccio anche davanti ai ragazzi dell'istituto tecnico di Melzo, e in prima fila c'era gente di un certo livello letteralmente estasiata».
Quando capì che stavate diventando qualcosa in più che dei semplici venditori?
«Forse fu Silvio Berlusconi a capirlo. Quando gli altri snobbavano me, Wanna Marchi, Cesare Ragazzi o Sergio Baracco, lui ci volle conoscere. Ci consideravano degli "scappati di casa", mentre lui intravvide già allora questa nostra innata popolarità. Infatti fu il primo a portare sulle grandi reti le televendite».
È noto che Berlusconi di notte comprasse quadri da molti suoi colleghi…
«Ha comprato anche da me, gli ho venduto una scala e una serie di orologi che scimmiottavano gli Swatch. Ne compravi sei al prezzo di uno. Una volta durante l'intervallo di un Milan-Roma a San Siro Vittorio Sgarbi mi portò dal Cavaliere. Mi squadrò da capo a piedi, non apprezzando l'abbigliamento sportivo con cui andavo allo stadio, ma quando capì che con le televendite fatturavamo miliardi, mi disse: "Se viene a trovarmi sarei curioso di avere lezioni da lei". Lo apprezzai molto».
Lei ebbe un successo clamoroso. Ma anche una altrettanto clamorosa caduta. Nel 2003 fu condannato per bancarotta. Come si è rialzato?
«Il giudice Piero Calabrò, che mi è stato molto vicino e che da allora è un amico di famiglia, mi ha sempre detto: "Pistola, se uno sbaglia può sempre ammetterlo". Io ho riconosciuto i miei errori e ho pagato quello che dovevo pagare.
Mi fa ridere quando qualcuno, colto in fallo, prova ad arrampicarsi sugli specchi. La cosa che più mi ha colpito di quell'esperienza però è stato quello che è successo dopo. La gente ha continuato a dimostrarmi tutto il suo affetto, un termine che troppo spesso si usa impropriamente. Quando torni a percepirlo, dopo aver commesso un errore, la vita ti sorride davvero».
Che opinione ha di Wanna Marchi?
«Lei è stata una grande venditrice. Poi ha sbagliato abbandonando il prodotto delle creme scioglipancia, di cui era la regina incontrastata. L'Italia è piena di maghi, però lei per l'opinione pubblica è stata una maga sbagliata».
Cosa fa "il Baffo" oggi?
«I miei figli hanno una catena di magazzini, cinque punti vendita con 60 dipendenti, dove io mi occupo di marketing, scelta dei prodotti e distribuzione. È un'azienda che funziona molto bene. Poi mi diverte molto la presenza settimanale a Striscia la Notizia. È stato un bel riconoscimento dopo 40 anni di tv».
Che rapporto ha con Antonio Ricci?
«Ricci è una persona non seria, di più. È molto chiaro nelle scelte: non ti toglie e non ti regala nulla. Se funzioni ci sei, se non funzioni non ci sei. Lui è un rabdomante, un animale televisivo. Lo considero l'unico divo che non è in tv».
Vive sempre fra Milano e Lampedusa?
«A Lampedusa ci sono arrivato perché ero stufo di Ibiza. Ho comprato una casa e una barchetta e per otto anni ho fatto il pendolare: dieci giorni a Milano, dieci sull'isola a pescare.
Poi ho avuto la malaugurata idea (ride, ndr) di rilasciare un'intervista raccontando la mia nuova vita. Il telefono ha ripreso a squillare e oggi fra Striscia e tutto il resto sono tre mesi che non metto piede a Lampedusa. I miei amici lampedusani mi insultano via whatsapp. "Roberto, ma che fai?
Hai scelto la tv, invece che la pesca?" Mi volevo estraniare e invece mi hanno ripescato come un pesce».
La tv di oggi le piace?
«Non voglio fare il sapientone. Ho fatto il reality "La Fattoria" che è andato molto bene, a parte l'episodio infelice della bestemmia. Quello che mi chiedo è: cos'è il trash? Mi rispondo che il trash è la vita quotidiana, che siamo noi il trash. Il trash per me è una persona che in modo molto naturale si racconta e ti fa sorridere, anche se magari a volte non mastica bene il francese, l'inglese o l'italiano ma dà naturalezza. Al pubblico piace».
È vero che vogliono fare una serie sulla sua vita?
«Ci sono stati dei contatti per raccontare l'epopea del "Baffo". Penso che fra gennaio e febbraio farò un incontro, ma non voglio sbottonarmi, meglio mai vendere in anticipo la pelle dell'orso».
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