A VIALE MAZZINI RESTANO SOLO I TOPI E I FANTASMI - ENTRO VENERDÌ, GLI OLTRE MILLE DIPENDENTI DEVONO ESSERE FUORI DAL PALAZZO SIMBOLO DELLA RAI GONFIO DI AMIANTO - GLI IMPIEGATI VANNO IN SMART WORKING, I DIRIGENTI SARANNO DISLOCATI TRA VIA TEULADA E SAXA RUBRA, I PIÙ FORTUNATI ALL’EUR - DA MOANA POZZI, AMANTE DI CRAXI, ALL’EX CAMERATA PAOLO CORSINI, DIRETTORE DEGLI APPROFONDIMENTI (CASO SCURATI), TUTTI I SEGRETI DEL SETTIMO PIANO - RONCONE: "A PRESIDIO DEI LAVORI DI RESTAURO RESTERA’ SOLO IL CAVALLO AL QUALE I DIRIGENTI SUGGERIRONO DI 'RIDIMENSIONARE' IL MEMBRO, RITENUTO 'GIGANTESCO' E, PERCIÒ, OSCENO”
Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera" - Estratti
La cattedrale della Rai è vecchia, marcia, gonfia di amianto e anche di umidità, perché ormai ci piove dentro, gli ascensori si bloccano, va in tilt il sistema di riscaldamento e allora — mentre indagano i magistrati della Procura e i Nas dell’Asl Roma 1 — la stanno svuotando, anzi è già quasi vuota: entro venerdì, tutti gli oltre mille dipendenti devono essere fuori, su viale Mazzini.
Nel palazzone di vetro sono autorizzati a restare solo gli acari, i topi e i fantasmi (molti, nei corridoi del leggendario settimo piano).
La processione dei questuanti è obbligata a cambiare itinerario. Sgomenta e avvilita, incerta su dove poter andare a bussare (gli impiegati vanno in smart working, i dirigenti sono dislocati tra via Teulada e Saxa Rubra, i più fortunati in un edificio all’Eur), ondeggia disorientata la gran folla di portaborse aspiranti giornalisti e di giornalisti aspiranti direttori, di starlette aspiranti conduttrici, registi disoccupati ed ex attrici, autori geniali di Sanremo memorabili e autori scarsi di programmi imbarazzanti, produttori rampanti, produttori preceduti da telefonate adulanti e casse di Dom Pérignon, un mischione con dentro facce note e meno note di berlusconiani pentiti, indomiti simpatizzanti dem, grillini sfacciati e poi, da un paio d’anni, ecco pure gli amici di Giorgia, quelli che Giorgia è una mia cara amica, me la ricordo bene Giorgia ai tempi di Colle Oppio, voglio bene a Giorgia, anche se Giorgia — come spesso accade in Rai al premier di turno — certe volte sa di quali amici si tratti, e certe no (...)
Dai finestroni fumé, nel silenzio, entra una luce livida. Lì sotto s’intravede il simbolo storico dell’azienda, che resterà a presidio della cattedrale durante i lavori di restauro (serviranno 5 anni, almeno): è il mitico cavallo bronzeo d’epoca democristiana, commissionato allo scultore etneo Francesco Messina, al quale solerti dirigenti suggerirono però di «ridimensionare» il membro, ritenuto «gigantesco e, perciò, osceno»: con quella postura agonizzante, la testa ben alta e le gambe però piegate, trattenute a terra, per molti severi osservatori il cavallo appare come la tragica metafora di un’azienda in difficoltà, con spettatori in fuga e debiti pesanti.
Ma di questa azienda s’è sempre detto e scritto tanto.
C’è tutta un’aneddotica sulfurea e luccicante, con il male e il bene spesso indistinguibili, sovrapponibili. Basti pensare alla formidabile lottizzazione diccì (diciamo stagione Bernabei e oltre, così piena di preziosa lungimiranza e cupo integralismo cattolico): con il magnifico giornalismo di Fabiano Fabiani, Emilio Rossi e Paolo Frajese (ma l’elenco sarebbe più lungo) e poi però anche con la censura, per esempio, di Dario Fo e Franca Rame, che nella Canzonissima del 1962 osano parlare, in una gag, della sicurezza nei cantieri edili (ha scritto Aldo Grasso: «Furono più realisti del re. Se Fo e Rame avessero continuato, forse li avremmo confusi con Alberto Lionello e Lauretta Masiero, Corrado e Raffaella Carrà. Quella censura, invece, fu la loro fortuna»).
Comunque, dopo la riforma di metà anni Settanta, la lottizzazione venne arricchita da un sistema a incastro, piuttosto ingegnoso: per cui, all’interno di ciascun ufficio, rete o testata, i vari dirigenti erano «affiancati» da altri dirigenti «in quota» ad altri partiti. Dopo il varo della terza rete, furono coinvolti anche i comunisti (famelici come tutti, of course).
Certo restano strepitose e indimenticabili alcune imprese dei socialisti, che si erano pappati l’intera Rai2, da Bettino Craxi controllata con mano militare. Al settimo piano, dopo aver affidato a Sandra Milo l’intera fascia pomeridiana — andatevi a rivedere su YouTube lo spezzone di «Oh, Ciro!» — qualche dirigente, con meravigliosa spudoratezza, riuscì a mettere alla conduzione di un programma per bambini, Tip Tap Club , addirittura Moana Pozzi, che aveva appena girato il film Valentina, ragazza in calore .
Filippo Ceccarelli, nel suo grandioso libro Invano , scritto per Feltrinelli, ricorda poi la testimonianza di Gianni Locatelli: «Entravano nella mia stanza certe signore non più giovanissime, profumate, vestite come miliardarie, arroganti. Si gettavano sul divano e dettavano le loro condizioni: voglio far questo, devo far quello. Io le guardavo, poi dicevo no, grazie: e allora quelle si alzavano e andavano via, sbattendo la porta».
Sono sempre accadute, lassù al settimo piano, scene così. Una volta, in piena epoca berlusconiana, un importante alleato del Cavaliere portò un suo quasi cognato al cospetto dell’allora direttore di Rai1. Il tipo era ambizioso e s’era messo in testa di cominciare a produrre fiction. Il direttore, che pure era stato messo lì «in quota» nerastra, spiegò che le fiction erano troppo importanti per l’economia della rete, e suggerì che forse sarebbe stato opportuno cominciare con produzioni meno impegnative. Il giovinastro alzò la voce, spalleggiato dal potente uomo politico che l’aveva accompagnato.
A quel punto intervenne il quarto partecipante all’incontro: un corpulento dirigente che era, anche per certi burrascosi trascorsi politici, piuttosto manesco. E fu così che — Sbeng! — assestò un ceffone all’aspirante produttore. Il quale s’azzittì, ringraziò per l’attenzione, e uscì dalla stanza.
(...)
Certo nessuno dimentica il diligente direttore di rete, che spiegò come Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, fossero «realmente sgraditi al Cavaliere» (editto bulgaro) e, per restare alle cronache recenti, servirebbe una pagina anche solo per raccontare i capolavori dell’ex camerata Paolo Corsini, direttore degli Approfondimenti (caso Scurati).
In questa cattedrale, sul serio: di tutto, di più.
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