
“NAOMI MI HA PICCHIATA: È ALTA DUE METRI, MUSCOLOSA, C’ERA SANGUE DAPPERTUTTO” – YVONNE SCIO’ RACCONTA LA LITE CON LA CAMPBELL: “ERAVAMO AMICHE DA ANNI, L’AVEVO RAGGIUNTA A ROMA DOVE STAVA GIRANDO UNO SPOT, MA LÌ DISSE CHE VOLEVO RUBARGLIELO: UNA FOLLIA. LE HO FATTO CAUSA SOLO PERCHÉ VOLEVO CHE SI SCUSASSE, MA NON SI È SCUSATA” - “HO DETTO NO A BRAD PITT. TROPPO BELLO, MI METTEVA SOGGEZIONE” – I 3 MESI A NON È LA RAI” (“MA DOPO HO FATTO 57 FILM, TRE DOCUMENTARI VENDUTI IN 94 PAESI”), LE FOTO CON HELMUT NEWTON (“AVEVA PREPARATO CATENE, FRUSTE. IO, EDUCATA DALLE SUORE, MI CHIUSI IN BAGNO, IN PREDA AL PANICO”), LO SPOT DELLA SIP - VIDEO
Candida Morvillo per Corriere.it - Estratti
Aveva una testa piena di riccioli biondi attaccata alla cornetta del telefono e ripeteva, con aria sognante: «Mi ami, ma quanto mi ami?». Chiunque sia stato senziente nel decennio a cavallo fra gli anni 80 e 90 ricorda quello spot della Sip e quindi Yvonne Sciò. Quindici anni all’epoca, 55 oggi.
La sua casa di Roma è tappezzata di foto in bianco e nero: c’è lei bambina ritratta da Slim Aarons, il fotografo del jet set americano; c’è lei con i fratelli Taviani nella Masseria delle allodole («facevo una contessa e anche se non mi trovo mai brava, lì fu bravissima»); c’è la ritrattista di Hollywood Roxanne Lowitt, sulla quale Yvonne ha fatto un documentario nel 2015 («mi affascinava che le sue foto parlassero pur non usando parole»).
Appese alla parete, anche una lettera affettuosa che le ha scritto la figlia sedicenne e un paio di scarpe, pronte per una presentazione di Womeness, il documentario sul femminismo che Yvonne ha appena diretto e prodotto e che è in onda su SkyArte. Ovunque, ci sono tracce che raccontano dove è stata negli anni in cui molti l’hanno forse persa dal radar.
Yvonne, come è iniziato tutto?
«A cinque anni, posavo per Vogue Bambino, facevo campagne, sfilate. Sono cresciuta così: mamma americana giornalista di moda, io in collegio dalle suore a Roma, che entravo e uscivo per lavorare. Poi, è arrivato lo spot Sip e le suore hanno detto a mamma che mi avrebbero bocciata perché non potevo andare avanti in quel modo. E mia madre: ma è una donna, dev’essere indipendente».
Le piaceva lavorare?
«Non ho mai visto la bella bambina, ero timida, introversa. E, quando facevo la modella, ero sempre la più piccola fra tante stanghe. Per fotografarmi, Helmut Newton mi mise su una pila di elenchi del telefono. Aveva preparato catene, fruste... Io, educata dalle suore, mi chiusi in bagno, in preda al panico».
Ha odiato o amato la ragazzina dello spot a cui tutti facevano il verso?
«Odiata perché? Pensi che volevo fare il remake con mia figlia, ma non mi ha dato retta nessuno. Vabbè, lei non l’avrebbe fatto. Però è molto protettiva. Fosse per lei, a tutti quelli che sui social mi scrivono “sei resuscitata dopo Non è la Rai”, dovrei rispondere che non ero morta, ma ho fatto 57 film, tre documentari diretti e prodotti da me e venduti in 94 Paesi».
«Non è la Rai» lo fece per soli tre mesi.
«Lei sembra l’unica che lo sa. In realtà, mi sono pentita di aver rifiutato un contratto lungo: avrei guadagnato tanto, ma a quell’età credi negli ideali, i soldi non ti interessano e io avevo paura di chiudermi in una gabbia. Forse è per questo bisogno di libertà che non ho avuto una carriera lineare, ma nella vita non puoi far finta di essere qualcun altro.
Dopo, ho fatto una tournée con Mario Monicelli, un film di Nanni Loy con Marcello Mastroianni, ma decisi di trasferirmi a Los Angeles. L’idea che lì nessuno mi conoscesse mi spronava ancora di più ad arrivare. Non mi importava essere popolare, volevo essere brava. Troppe volte mi è stato detto che, se ero bella, non potevo essere brava».
(…)
Perché respinse Brad Pitt?
«Perché era Brad Pitt: troppo bello, mi metteva soggezione. La prima volta, a una festa a Los Angeles, lui, dall’altro lato della sala, viene diritto verso di me. Mi guarda e dice: “You look so beautiful”. Io muta, con la mascella aperta. Ogni volta che l’ho visto, mi ha chiesto il numero. Voleva prendere lezioni di italiano e gli consigliai di chiedere al nostro Istituto di Cultura. Pensi che genio...».
Nel 2005, denunciò Naomi Campbell per averla aggredita. Cos’era successo?
«Non l’ho capito. Forse, quella sera era di cattivo umore. È alta due metri, muscolosa, io sono piccolina, me la sono ritrovata addosso, c’era sangue dappertutto. Eravamo amiche da anni, l’avevo raggiunta a Roma dove stava girando uno spot, ma lì disse che volevo rubarglielo: una follia. Le ho fatto causa soltanto perché volevo che si scusasse, ma non si è scusata».
In Spagna, lei ha avuto copertine, è stata in tanti show tv.
«Ero la protagonista di Torrente, un film di grande successo. Mi proposero di trasferirmi, ma ero incinta, il mio ex marito era geloso, rinunciai».
Quello col produttore Stefano Dammicco è stato un matrimonio lampo.
«Il giorno in cui sono salita in auto con mia figlia di quattro mesi è stato durissimo. Tutti mi dicevano: dove vai da sola? Invece, ho preso un appartamentino, non ho mai avuto un aiuto, ho cresciuto mia figlia da sola e ho sempre lavorato su progetti per cui lei potesse dire: wow che figa che è mamma! Voglio dimostrarle che nessuno può dirci: non sei capace».
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