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“L’UNIONE EUROPEA NON PUÒ ILLUDERSI DI NON ESSERE SOTTO ATTACCO, DI NON ESSERE UNA PREDA DA SPARTIRE” – FEDERICO FUBINI METTE IN FILA TUTTE LE MINACCE PER L’UE: TRUMP E MUSK, LA CINA IN PIENA CRISI ECONOMICA E PUTIN CHE VUOLE DESTABILIZZARE L’ORDINE EUROPEO: “BERLINO, PARIGI E ROMA DEVONO DAR VITA A CONSORZI INDUSTRIALI EUROPEI PER LA DIFESA ANTIAEREA, IL NUCLEARE CIVILE DI NUOVA GENERAZIONE, IL GREEN TECH, I SEMICONDUTTORI. NIENTE È PERICOLOSO QUANTO AGIRE COME SE CORRESSERO TEMPI NORMALI, QUANDO I VOSTRI AVVERSARI HANNO DECISO CHE NON LO SONO PIÙ”
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per www.corriere.it
In tempi eccezionali l'Europa deve dare segnali eccezionali. L’Unione europea non può illudersi di non essere sotto attacco, di non essere vista da altri come una preda da spartire. Se non vuole implodere o finire impagliata, deve reagire con pochi passi concreti
Forse non sapremo mai se c’è Mosca dietro la serie di attentati in Germania, in campagna elettorale, per mano di rifugiati in apparenza solitari. Né possiamo prevedere a quali equilibri — o spartizioni — può portare un accordo fra Vladimir Putin e Donald Trump sul conto dell’Ucraina.
elon musk con il figlio x e donald trump 1
Allo stesso modo, ignoriamo cosa sta succedendo veramente in Cina: davvero ha sviluppato a colpi di sussidi e perdite occulte una capacità di produzione di auto, a prezzi imbattibili, superiore all’intera domanda mondiale?
Queste tre incognite non hanno molto a che fare l’una con l’altra, non fosse che gravano tutte nello stesso momento sullo stesso spazio. Quello spazio naturalmente è l’Unione europea, al punto della sua massima fragilità.
Durante la sequenza di cigni neri che l’hanno messa alla prova in questi anni - la crisi dell’euro, la Brexit, il Covid, l’aggressione all’Ucraina, il pogrom del 7 ottobre e la guerra in Medio Oriente, il primo e il secondo Trump - l’idea che l’Unione europea potesse fallire, sciogliersi, finire, è sempre parsa incredibile. Lo sembra ancora. Forse invece dovremmo mettere in discussione le nostre certezze, se vogliamo preservarle: non è vero che l’Unione europea non può fallire; può farlo tra pochi anni […]
Le spinte dall’esterno verso la disintegrazione sono potenti e concentriche: politiche, militari, commerciali. La Cina versa in una crisi economica insondabile, al punto che una presenza del Fondo monetario internazionale viene tollerata nel Paese solo a patto che i suoi funzionari non cerchino di verificare la realtà dei dati ufficiali.
Da sempre deboli, i consumi interni sono ormai del tutto depressi. Il partito comunista reagisce sussidiando in tutti i modi l’export in gamme di prodotto sempre più sofisticate. […]
Il «secondo choc» cinese sul cuore dell’industria europea - due milioni e mezzo solo i posti di lavoro diretti nelle fabbriche di auto e componenti - non fa che iniziare. Pechino ha già le stime dei settori, uno per uno, nei quali si prepara a spiazzarci dai mercati mondiali (il prossimo, l’aeronautica civile).
Il pericolo di desertificazione di gloriosi distretti industriali in Germania e altrove è reale. Alternative für Deutschland andrà bene alle elezioni fra pochi giorni; ma soprattutto scommette sul prosieguo della crisi tedesca per andare al potere con le successive (al più tardi nel 2029, come scrive Mara Gergolet su «7» del Corriere), grazie allo stesso voto dei «dimenticati» che in America hanno premiato Trump.
Proprio la virulenza antieuropea di Alternative für Deutschland è ciò che la rende così attraente per Elon Musk e JD Vance. Ieri il vicepresidente degli Stati Uniti non ha fatto niente per nasconderlo, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.
I più stretti collaboratori di Trump non amano l’Unione europea anche per le sue regole sulle piattaforme digitali, né vogliono che esse ispirino altri nel mondo. Poi c’è Trump in persona, naturalmente. I dazi minacciati, congelati, poi rilanciati in mille modi e con mille spiegazioni diverse hanno un solo filo rosso: sembrano soprattutto tentativi di intimidazione, dice la diplomatica francese Sylvie Bermann; sono ingiunzioni a sottomettersi, rivolti più spesso a quelli che altri presidenti americani in altri momenti chiamavano «alleati».
Trump questa parola non la usa mai. Né parla mai con le figure al vertice a Bruxelles, come Ursula von der Leyen o Antonio Costa. Ha solo fretta di scaricare sull’Europa i costi altissimi di una tregua in Ucraina che vorrebbe concludere lui da solo con Putin. Su quest’ultimo poi l’unica certezza è che, comunque vada con Kiev, continuerà la sua guerra di destabilizzazione contro l’ordine europeo seguito alla guerra fredda.
Continueranno gli attacchi ibridi, i cavi sottomarini tranciati, i ricatti con il gas, gli strani incendi, la propaganda in rete, le provocazioni violente: nel Baltico, nei Balcani, in Germania e altrove.
L’Unione europea non può illudersi di non essere sotto attacco, di non essere vista da altri come una preda da spartire. Se non vuole implodere o finire impagliata, deve reagire con pochi passi concreti. Il primo è l’aver sbloccato i vincoli sui bilanci della difesa, con l’annuncio di ieri da parte di Ursula von der Leyen. Ma ne serviranno altri. Come propone Giulio Tremonti («Guerra o pace», Solferino) l’Ucraina, l’Albania e la Moldavia devono entrare subito nell’Unione, per dare il segnale che l’Europa è un’entità strategica: ci penserà poi l’intendenza a graduare le transizioni.
Berlino, Parigi e Roma devono dar vita a consorzi industriali europei - modello Airbus - per la difesa antiaerea, il nucleare civile di nuova generazione, il Green Tech, i semiconduttori. Ovunque sia possibile, Bruxelles deve stabilire il principio della preferenza europea in tutti i contratti pubblici e non solo.
La lista potrebbe continuare. Perché niente è pericoloso quanto agire come se corressero tempi normali, quando i vostri avversari hanno deciso che non lo sono più.