“VEDO LA DESTRA SEMPRE PIÙ SPUDORATA. QUANDO LEGGO CERTE SORTITE, COMINCIO A PENSARE CHE MANDARE AFFANCULO UN COGLIONE NON SIA UN REATO” – GUCCINI LE CANTA A GIORGIA MELONI NELL’INTERVISTA A CAZZULLO SUL "CORRIERE": “LA PREMIER È FURBA, INTELLIGENTE, PERICOLOSA. E URLA TROPPO. LEI PIÙ INTELLIGENTE DI SALVINI? NON CHE CI VOGLIA GRANCHÉ - E' PERICOLOSA PERCHÉ HA TENTATO DI IMPORRE RIFORME CHE AVREBBERO STRAVOLTO LA COSTITUZIONE. ORA SIA IL PREMIERATO SIA L’AUTONOMIA PARE STIANO RIENTRANDO. L’INTENZIONE PERÒ ERA QUELLA: UNA FORMA MODERNA DI AUTOCRAZIA, ALLA ORBAN”
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
«Vorrei conoscer l’odore del tuo paese, camminare di casa nel tuo giardino, respirare nell’aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino...». Eccolo, l’altro paese di Francesco Guccini. Tutti lo pensano nella sua Pavana. Invece lui è a Mondolfo, il paese della donna che gli ha cambiato la vita, Raffaella, conosciuta trent’anni fa
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Guccini, pure Gloria è una bella canzone.
«Figurarsi se ce l’ho con Gloria, che è una canzone simpatica. E anche Jovanotti è un simpatico ragazzo».
Jovanotti ha detto al Corriere: «Non mi convince la distinzione tra cultura alta e cultura bassa. Gloria di Umberto Tozzi non ha nulla da invidiare alla Locomotiva di Guccini».
«E io ho risposto che dietro certe canzoni ci sono libri letti, c’è cultura. Dietro la Canzone dei dodici mesi ci sono i bestiari medievali e i poeti: Cenne da la Chitarra, Folgòre da San Gimignano, Omar Khayyam...».
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Al Corriere stavamo pensando a una serie di interviste ai grandi artisti italiani, per farci raccontare la «loro» canzone. Inevitabile a questo punto cominciare da lei e dalla Locomotiva. Quali libri ci sono dietro?
«Trent’anni di officina, di Romolo Bianconi. Racconti di vita operaia. L’autore ricordava di aver conosciuto un vecchio claudicante, un anarchico di cui si diceva che si fosse lanciato con una locomotiva contro “un treno pieno di signori”. Ne parlai con il mio vicino di casa in via Paolo Fabbri a Bologna».
Il pensionato della canzone?
«Lui. Si chiamava signor Mignani, era un calzolaio specializzato in piedi deformi. Conosceva la storia dell’anarchico della locomotiva, e anche il nome: Pietro Rigosi da Poggio Renatico, Ferrara. Ora vogliono dedicargli la piazza della stazione, ma la vedo dura, adesso che dedicano gli aeroporti a Berlusconi. Gli aeroporti italiani portano i nomi di Leonardo da Vinci, Caravaggio, Galileo Galilei, Marco Polo, Guglielmo Marconi, e Silvio Berlusconi. Che meraviglia».
Scusi, l’anarchico della locomotiva non era morto? «Lo raccolsero che ancora respirava...».
«Appunto: ancora respirava. Quindi, era vivo».
È vero che negli anni più bui del terrorismo lei evitava di cantare la Locomotiva nei concerti?
«No. Perché avrei dovuto?».
Non ha mai avuto timore che qualcuno ne fosse suggestionato?
«E prendesse una locomotiva per gettarsi contro un treno?».
No. Che prendesse le armi.
«Certo che no. È una canzone politica, ma è prima di tutto una suggestione letteraria. È ispirata al fascino del movimento anarchico di fine 800 e inizio 900. Figure come Gaetano Bresci e Carlo Cafiero, pronte a morire per il loro ideale, l’uguaglianza tra gli uomini, e certo anche a dare alla morte; come Luigi Licheni, che uccide l’imperatrice Sissi con una lima».
Come ha scritto la Locomotiva?
«In venti minuti. Eppure è lunghissima: tredici strofe. Ma ogni volta che ne finivo una, mi venivano in mente le rime di quella successiva. All’ultima ero stremato. Una canzone nata fortunata».
Successo immenso.
«L’hanno pure tradotta in catalano: La locomotora. Nel 1977, poco dopo la morte di Franco, mi capitò di cantarla a Barcellona, in un bar sulle Ramblas. Si fermò ad ascoltarmi un gruppo di giovani baschi. Quando citai “la fiaccola dell’anarchia”, impazzirono».
Succedeva anche in Italia, nei concerti: tutti in piedi a salutare a pugno chiuso.
«Ma io non pensavo al comunismo, pensavo ad “Addio Lugano bella” di Pietro Gori, a “Nel fosco fin del secolo morente” di Luigi Molinari, che per quella canzone finì in carcere, con l’accusa di aver acceso i moti in Lunigiana del 1893… Anni in cui i poveri facevano letteralmente la fame, anche sulle mie montagne».
A Pavana?
«Lungo la Porretana correva l’unica strada ferrata che valicava l’Appennino, per andare da Roma a Bologna in treno anche le teste coronate dovevano passare da lì. Il binario era unico, transitava solo un treno alla volta, e l’altro si fermava in aperta campagna ad aspettare: fu inventato allora il cestino da viaggio; e i bambini affamati raccoglievano gli avanzi di gallina e di pane lasciati cadere dai viaggiatori».
La montagna povera.
«Anche la mia famiglia lo era. I Guccini sono mugnai sin dalla fine del Cinquecento. Mio padre però voleva studiare da maestro. Mio bisnonno Francesco, detto Chicòn, che sapeva fare solo la firma, insomma era analfabeta, sentenziò: “Al mulino!”. Ma la bisnonna Amabilia, detta Mabilia, aveva messo qualche soldo da parte e intervenne: “Lo faccio studiare io!”. Studi umanistici però erano impensabili. Il babbo divenne perito elettromeccanico, e fece l’impiegato alle Poste. Comprò il Barbagallo a rate, purtroppo è andato perduto. La mamma diceva che il 26 del mese era san Pensa, il 27 san Dispensa, il 28 san Senza: i soldi dello stipendio erano già finiti».
L’altra strofa della Locomotiva che infiammava il pubblico era: «E sembra dire ai contadini curvi quel fischio che si spande in aria, “fratello non temere che corro al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria!”». Negli anni 70 molti giovani pensarono che la rivoluzione, che il partito comunista non voleva più fare, l’avrebbero fatta loro.
«Togliatti per due volte aveva chiarito che in Italia, dove erano arrivati gli americani, la rivoluzione era impossibile. Lo disse quando tornò dall’Unione Sovietica: la svolta di Salerno. E lo ripeté quando gli spararono, il 14 luglio 1948: “Non perdete la testa”. Erano anni cupi, più ancora degli anni di piombo. Nel dopoguerra la polizia sparava regolarmente su operai e contadini in sciopero. Nel 1950 lo fece a Modena, Togliatti adottò la sorella di una delle vittime».
Marisa Malagoli.
«Era il 9 gennaio quando la polizia aprì il fuoco sugli operai delle Fonderie che protestavano contro i licenziamenti. Avevo nove anni; chiusero le scuole e ci rimandarono a casa. I morti di Reggio Emilia invece sono del 1960. Nel gruppo dei brigatisti di Reggio c’erano parenti di ex partigiani. Una follia, figlia dell’ideologia. Ci vuole ben altro, per sollevare un popolo... E io, come ci siamo già detti, non sono mai stato comunista».
Ne parla anche nella canzone dedicata al Che.
«“E voi comunisti che usate parole diverse, le stesse prigioni...”. L’eroe della Locomotiva era un anarchico. Oggi che senso avrebbe dichiararsi anarchico? Anche se viviamo davvero in un periodo fosco, oscuro».
Perché?
«Landini parla di rivolta sociale. Ma non la vedo. Al contrario, vedo la destra sempre più spudorata. Quando leggo certe sortite, comincio a pensare che mandare affanculo un coglione non sia un reato».
Allude a Bersani?
«A me Bersani, con la sua pacatezza, piace».
E la Schlein?
«Non mi dispiace. L’ho conosciuta ai funerali di Sergio Staino. E poi con la Schlein c’è un montanaro delle mie parti cui ho dato il mio endorsement, Igor Taruffi».
Lei un anno fa disse al Corriere: «Non vado ad Atreju perché i fascisti non mi piacciono». Fu molto criticato. Poi l’inchiesta di Fanpage ha mostrato che qualche fascista c’era davvero.
«Pure per me, che ormai sono quasi cieco per la maculopatia, non era difficile vedere che non c’era bella gente».
Ma Giorgia Meloni è una sua estimatrice.
«Tempo fa mi telefonò di persona, per invitarmi. Fu cortese. E io cortesemente declinai».
Come la trova?
«Furba. Intelligente. Pericolosa. E urla troppo».
Più intelligente di Salvini?
«Non che ci voglia granché».
Perché pericolosa?
«Perché ha tentato di imporre riforme che avrebbero stravolto la Costituzione. Ora sia il premierato sia l’autonomia pare stiano rientrando. L’intenzione però era quella: una forma moderna di autocrazia, alla Orban».
Ma la premier resta forte.
«I sondaggi non si muovono. Quindi, in teoria, hanno ragione loro».
Il fascismo però non torna e non può tornare, no?
«Eppure una certa voglia serpeggia. Gli italiani tendono a voltarsi sempre da quella parte».
Cosa pensa della guerra di Gaza?
«Una cosa tremenda. L’offesa sanguinosa del terrorismo ha fatto sentire Israele minacciata. La risposta è stata tra le più violente. Ma Israele non è Netanyahu, ogni giorno ci sono persone che scendono in piazza contro di lui».
E l’Ucraina?
«Putin mi fa orrore. Se Svezia e Finlandia si sono affrettate a passare di qua, significa che la minaccia di Putin è reale».
«Ora ti saluto, è quasi sera, si fa tardi, si va a vivere o a dormire da Las Vegas a Piacenza/ Fari per chilometri ti accecano testardi, ma io sento che hai pazienza, dovrai ancora sopportarci...». Dovremo ancora sopportarla?
«Per qualche tempo, sì. In quella canzone mi rivolgevo all’Emilia. La musica la scrissi con Lucio Dalla».
Eravate amici?
«Non molto. Troppo diversi».
Chi sono i suoi amici?
«Mi onora della sua amicizia l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, per quanto mi sembra impossibile avere un amico cardinale. Pensi se un giorno fossi amico di un Papa... Ma forse sarebbe troppo grossa».
E tra i colleghi?
francesco guccini canzoni da osteria
«Con Ligabue e Zucchero chiacchieriamo in dialetto emiliano, anche se loro sono reggiani: testi queder, teste quadre. Il professor Violi alle magistrali ci raccontava che i reggiani fossero dolicocefali, celti, mentre i modenesi brachicefali, etruscoidi... Con Dalla ci vedevamo a Bologna, da Vito. Una sera venne Vasco Rossi: voleva conoscere l’autore dell’Avvelenata. Una canzone che non amo».
Perché?
«Piena di parolacce... Fui anche denunciato da un maresciallo dei carabinieri e processato per oltraggio al pudore. Mi assolsero».
Cosa pensa del caso Tony Effe?
«Non lo conosco, ma la censura è sempre sbagliata, anche se quella di Roma è una vicenda diversa. Io fui censurato per Dio è morto: la radio non poteva trasmetterla. Per fortuna passò su Radio Vaticano. Si erano accorti del finale: “Se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”».
Ligabue, Zucchero, Dalla, Vasco, Morandi, lei, e tanti altri: tutti emiliani. Qual è il segreto?
«La civiltà contadina. In ogni civiltà contadina c’è quello che sa suonare. E poi le bande austriache, che nel Bolognese suonavano valzer, polche, mazurche. I sudditi orecchiavano. Il liscio nasce da lì».
Lei l’ha suonato?
«Con i Gatti suonavamo da ballo, ma soprattutto Peppino di Capri».
Chi le assomiglia di più tra i cantautori?
«Forse De André. Anche lui affascinato dagli anarchici. C’era già la canzone d’autore, Paoli Tenco Endrigo; ma erano sempre canzoni d’amore. Fabrizio e io cominciammo a parlare d’altro. Ricordo la prima volta che ci incontrammo, lui timidissimo, si convinse dopo grandi preghiere a cantare un suo brano, ma a luci spente... La differenza è che De André veniva da una famiglia borghese. Io da san Pensa, san Dispensa, san Senza».
Il Che, Cyrano, don Chisciotte, Odysseus, ispirato all’Ulisse dantesco: storie di eroi sconfitti. Ogni volta sembra che lei stia parlando di sé.
«Non mi sono mai piaciuti i vincitori. Al liceo tifavo per i Troiani, pur sapendo che avrebbero perso, anzi proprio per questo. Ora per coerenza voto Pd. E tifo Juve, che di questi tempi non vince più neppure lei».
Non è soddisfatto della sua vita?
«Soltanto un coglione è pienamente soddisfatto di sé. Però non mi lamento. A proposito di Vasco: mi è piaciuto moltissimo quello che ha scritto di suo padre, prigioniero dei nazisti. Anche il mio era un Imi».
Internato militare in Germania.
«Scelsero di restare nei lager, dove a decine di migliaia morirono di fame e di stenti, pur di non combattere per Hitler e Mussolini. Anche la loro fu Resistenza. Nel campo di mio padre Ferruccio c’era pure Guareschi, anche se non si sono mai incontrati. Il babbo tornò con un quaderno, purtroppo andato perduto anche quello, tutto fitto di ricette. Scriverle era il suo modo di ingannare la fame. Quando tornò a casa, a Pavana, ero a messa con mia mamma. Avevo cinque anni, e non avevo mai visto mio padre».
Va ancora a messa? Crede nell’aldilà?
«Sono agnostico, non ateo. Starem a veddre: staremo a vedere».
FRANCESCO GUCCINIguccinigucciniguccini bartoletti sarriGIORGIA MELONI CON LA FIGLIA GINEVRA - NATALE 2024GUCCINIguccini