LE MOSSE DI ERDOGAN CHE SOSTIENE PER ORA I JIHADISTI “MODERATI” CHE CONTROLLANO LA SIRIA (ANCHE SE A ANKARA RITENGONO INADATTO IL NUOVO REGIME PER UNA GOVERNANCE A LUNGO TERMINE) – IL “SULTANO” TURCO PUNTA A PERMETTERE IL RIENTRO IN SIRIA DEI RIFUGIATI. IN PIU’ LAVORA PER ISOLARE I CURDI MA HA BISOGNO DI TRATTARE CON GLI USA - TRUMP HA DICHIARATO DI VOLER “STARE LONTANO” DALLA CRISI, COSA CHE FAREBBE IPOTIZZARE L’ORDINE DI RITIRO PER I MILITARI AMERICANI. UN’IPOTESI CHE APRIREBBE LA STRADA A…
Guido Olimpio e Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera” - Estratti
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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è uno dei principali attori nella costruzione della nuova Siria. La Turchia non controlla direttamente i ribelli islamisti di Hayat Tahrir al Sham (Hts) che hanno conquistato Damasco in dodici giorni ma ha una notevole influenza su di essi. «I turchi sono gli amici più stretti del nostro popolo — ha detto ieri ad Al Jazeera il leader di Hts, Abu Muhammad al Jolani —. Traiamo vantaggio dalla loro esperienza e siamo certi che saranno al nostro fianco anche in futuro».
Ankara aspettava da tempo questo momento. Per 13 anni si è opposta fermamente a Bashar Assad, sostenendo una serie di gruppi di opposizione e ospitando 3,2 milioni di rifugiati siriani.
(...) In questo il ruolo della Turchia è dirimente.
Erdogan, dal canto suo, ha tutti gli interessi a sostenere il governo provvisorio e portare avanti la lotta al terrorismo per permettere il rientro in Siria dei rifugiati: «Il ritorno dei siriani alle rispettive case, campi, parenti e luoghi di lavoro è appena all’inizio, passo dopo passo, ma è un processo ormai partito» ha dichiarato ieri il leader turco. Ma la via della stabilità non è affatto priva di ostacoli. Primo fra tutti il destino dei curdi, il secondo gruppo etnico più numeroso del Paese, che abitano soprattutto il Nord-Est del Paese dove le Forze democratiche siriane sono affiancate da 900 soldati americani, una presenza mai gradita da Ankara.
Nei giorni scorsi il segretario di Stato americano Antony Blinken è riuscito con successo a fare pressioni su Erdogan, che ha incontrato personalmente, per ridurre gli attacchi dei ribelli filoturchi dell’Esercito nazionale siriano (Sna) sulle città del Nord-Est della Siria, precedentemente controllate dalle forze curde.
Scacciati da Tall Rifaat domenica 8 dicembre e da Manbij il giorno successivo, i combattenti curdi rischiano ora di esserlo da Kobane, città simbolo della resistenza curda, nota per la storica battaglia contro lo Stato islamico nel 2014-2015, che segnò una significativa vittoria delle forze curde sostenute dalla coalizione internazionale. L’Sna ha seminato il caos nelle città conquistate con saccheggi, esecuzioni sul campo e torture. Uno scenario che sicuramente allarma grandemente Washington.
Interessante, a questo proposito, la posizione espressa da ambienti repubblicani statunitensi. In sintesi: sono favorevoli alla nascita di una zona demilitarizzata che mantenga la sicurezza sui confini meridionali della Turchia ma si oppongono a qualsiasi attacco contro il Kurdistan. Il Pentagono, a sua volta, insiste sul pericolo rappresentato dallo Stato islamico: minaccia che potrebbe aumentare se venisse meno il bastione rappresentato dai curdi appoggiati, con raid, dagli Stati Uniti.
Su queste dinamiche però pesa il prossimo ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump che dichiara apertamente la sua volontà di «stare lontano» dalla crisi, cosa che farebbe ipotizzare l’ordine di ritiro per i militari americani. Un’ipotesi che aprirebbe la strada a uno dei sogni di Erdogan: l’eliminazione di Ypg, che per Ankara è una sigla sorella del Pkk, infatti permetterebbe il rientro di profughi siriani residenti in Turchia anche nel Nord-Est del Paese e permetterebbe al raìs di impedire la nascita di uno Stato curdo al confine.
RECEP TAYYIP ERDOGAN DONALD TRUMP
C’è poi la questione delle basi militari. La Russia vorrebbe mantenere le sue, in particolare quella navale a Tartous e quella aerea di Khmeimim vicino alla città portuale di Latakia. E ha aperto negoziati. Ma nel contempo ci sono segnali di una prossima evacuazione. Ankara segue il dossier pronta a reclamarne una, proprio come ha fatto in Libia, Iraq e Qatar. Questo consentirebbe a Erdogan di aumentare la sua influenza sul tratto di mare tra la Siria e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, occupata da Ankara dal 1974.
Su quale futuro la Turchia auspichi per la Siria l’ipotesi più interessante è quella esposta ieri sul Washington Post da Asli Aydintasbas, ex giornalista turca e oggi ricercatrice dell’European council on foreign relations:
«Quando ho chiesto ai funzionari turchi cosa volessero per Damasco — ha scritto — la risposta è stata un governo provvisorio inclusivo che rappresentasse gruppi di opposizione e comunità diverse. E poi? “Elezioni”. Sebbene Ankara sembri supportare il pragmatismo di Hts, riconosce che le sue radici militanti islamiste lo rendono inadatto per una governance a lungo termine».