1- È MORTO L’ARCITALIANO. PRIMA FASCISTA, POI PARTIGIANO. NEL 1945 FIRMA LE CONDANNE A MORTE DI CINQUE PRIGIONIERI DELL'ESERCITO DELLA REPUBBLICA SOCIALE 2- GIORNALISTA PER “IL GIORNO” DELL’ENI, NEL 1976 È TRA I FONDATORI DI “REPUBBLICA” 3- A CAVALLO TRA GLI ANNI 80 E 90, REALIZZA PROGRAMMI PER LA FININVEST DI BERLUSCONI 4- “PASOLINI È MORTO PERCHÉ ERA DI UNA VIOLENZA SPAVENTOSA NEI CONFRONTI DI QUESTI SUOI AMICI PUTTANESCHI. HO UN PO’ DI OMOFOBIA, CHE POI È UNA COSA MILITARE” 5- “SCALFARI? DIRETTORE INARRIVABILE, MA UNO MOLTO PIENO DI SÉ, CHE RECITA IL POTERE” 6- È BOCCA CHE RACCOMANDA A BERLUSCONI “UN AMICO UN PO’ SCEMO, EMILIO FEDE…” 7- TRAVAGLIO? “OGNI DUE MESI FA UN LIBRO COI RITAGLI DELLA QUESTURA, DEI TRIBUNALI” 8- “MI STUPISCE CHE BERLUSCONI NON MI AMI. IN FONDO IO SCRIVO CHE È UN MAIALE”

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1- E' MORTO GIORGIO BOCCA
E' morto oggi pomeriggio nella sua casa di Milano, dopo una breve malattia, Giorgio Bocca. Lo rende noto la casa editrice Feltrinelli. Il grande giornalista e scrittore era nato a Cuneo il 28 agosto del 1920.

2- GIORGIO BOCCA, PARTIGIANO E SCRITTORE, UNA VITA PER RACCONTARE L'ITALIA CHE CAMBIA
Repubblica.it

Giorgio Bocca nasce il 18 agosto 1920 a Cuneo, da genitori insegnanti. Cresce nella condizione sociale tipica della borghesia piemontese e da ragazzo frequenta la Facoltà di Giurisprudenza. Per le sue abilità sciistiche e i risultati sportivi, noti in tutta la provincia, si iscrive al Gruppo Universitario Fascista. Le prime collaborazioni giornalistiche sono con il foglio cuneese del Partito Nazionale Fascista, esprimendo posizioni e idee vicine al partito.

L'amicizia con Benedetto Dalmastro, a sua volta connesso a Duccio Galimbertilo porterà a fondare dopo l'armistizio le formazioni "Giustizia e Libertà" con cui dopo l'8 settembre, Biorgio Bocca aderisce alla lotta partigiana. Nel 1945 firma le condanne a morte di cinque prigionieri dell'esercito della Repubblica Sociale.

L'uomo di lettere. Bocca inizia a scrivere da adolescente, sospende l'attività sotto le armi e la riprende alla fine della lotta partigiana, sul giornale di Giustizia e Libertà. Arrivano poi le collaborazioni con L'Europeo e Il Giorno, e nell'Italia del boom economico degli anni sessanta realizza diverse inchieste che raccontano e mettono in luce il momento storico del Paese.

Con Eugenio Scalfari, nel 1976 è tra i fondatori di Repubblica.

Bocca lavora anche per la tv, a cavallo tra gli anni 80 e 90, realizzando programmi per le emittenti della Fininvest di Silvio Berlusconi.

Ma la penna di Giorgio Bocca non è solo per i giornali. Sono molti i libri che firmerà, per raccontare la società italiana, i mutamenti del tessuto sociale e del territorio, il costume, gli infiniti e spinosi problemi dal nord al mezzogiorno. Particolare attenzione al tema del terrorismo, con inchieste e interviste ai protagonisti del periodo.

Lo sguardo di Bocca sulla realtà italiana è rimasto unico nel tempo, sempre originale e spesso spiazzante per le posizioni. Sostenitore di fenomeni politici come la prima Lega nord, antiberlusconiano per definizione, no global fuori dai movimenti. Soprattutto, difensore del revisionismo verso la Resistenza, in dura polemica con il collega Gianpaolo Pansa.

E lucido nell'analisi fino all'ultimo, nelle interviste rilasciate alla stampa e alla tv. In un'intervista a l'Espresso, Bocca dice: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l'emancipazione civile dell'Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c'erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi».

1- "SCALFARI? DIRETTORE INARRIVABILE, MA UNO MOLTO PIENO DI SÉ, CHE RECITA IL POTERE" - EMILIO FEDE? BOCCA LO HA RACCOMANDATO A BERLUSCONI "HO UN AMICO UN PO' SCEMO, ERA STATO PROCESSATO COME BARO E CONDANNATO. QUESTO DISOCCUPATO, PRENDILO" - 6- TRAVAGLIO? "OGNI DUE MESI FA UN LIBRO COI RITAGLI DELLA QUESTURA, DEI TRIBUNALI" - 7- "MI STUPISCE CHE BERLUSCONI NON MI AMI. IN FONDO IO SCRIVO CHE È UN MAIALE"
Francesco Borgonovo per "Libero" - articolo del 29 settembre 2011

Giorgio Bocca, superata la soglia dei novantun'anni, ha assunto tratti egizi. Assiso come una faraone su uno scranno della sua casa di Milano, sul volto una pelle di pergamena, ha traslocato dalla casta degli scribi in quella dei sommi sacerdoti: ogni frase è anatema, maledizione ancestrale. Il 3 ottobre sarà presentato ‘La neve e il fuoco', documentario di Maria Pace Ottieri e Luca Musella per Feltrinelli Real cinema che consiste in un'intervista al giornalista di oltre un'ora.

Una celebrazione dell'uomo divenuto una divinità dell'antiberlusconismo. Poche settimane fa, il Fatto quotidiano lo ha interpellava come fosse un aruspice; persino Repubblica, di recente, lo ha richiamato dalle catacombali rubriche sull'Espresso e il Venerdì, dov'era confinato a mo' di reliquia, per scucirgli un paio di editoriali.

Per tutta risposta, il faraone Boccan-khamon incenerisce l'Italia intera, anche quella che lo idolatra in virtù del suo odio per il Cavaliere. Nella sua insofferenza per la modernità, egli è l'ultimo discepolo di Julius Evola, convinto di abitare nell'età del Kali Yuga, l'era oscura che precede la fine dei tempi.

Nella nostalgia feroce per un arcadico passato potrebbe ricordare Pasolini, se non fosse che lui PPP proprio non lo tollera. «Avevo paura di Pasolini, della sua violenza», racconta. «Pasolini è morto perché, la rigirino pure come vogliono, era di una violenza spaventosa nei confronti di questi suoi amici puttaneschi».

A infastidirlo più di tutto, però, c'è il fatto che lo scrittore era omosessuale: «Poi mi dava noia questo: ho un po' di omofobia, che poi è una cosa militare, come i bei fioeu va a fer il solda' e i macachi resta a ca', i macachi restano a casa. Il mio concetto piemontese è che gli uomini veri vanno a fare il soldato. Quindi anche questa faccenda dei suoi rapporti con questi poveretti che manipolava...». Il gay macaco gli resta sul gozzo.

SCALFARI, FEDE E FALLACI
Non che vada meglio ad altri venerati maestri progressisti. Chissà che pensano a Repubblica della posizione di Bocca su Natalia Ginzburg: «Secondo me sopravvalutata in maniera incredibile. Io leggevo i suoi libri e non riuscivo a capire perché era una scrittrice famosa. Lessico famigliare lo trovavo una cosa elementare (...). Si sentiva che anche lei era una di razza, ma era anche una furbona, una che sapeva come coltivare il suo orto». Cesare Pavese, invece? «Come scrittore a me sembrava pessimo».

EMILIO FEDE
Ai giornalisti va peggio. Eugenio Scalfari resta un direttore inarrivabile, ma già quando si conobbero era «uno molto pieno di sé, che recita il potere». Gianni Brera era «un fetente, una carogna paracadutista. Sai, uno nasce carogna. Lui, come giornalista, ha fatto carriera facendo la carogna». Emilio Fede? Bocca lo ha presentato a Berlusconi. Dice di aver chiamato Confalonieri e avergli raccomandato il suo ex collega della Gazzetta del popolo. Gli disse di avere «un amico un po' scemo, era stato processato come baro e condannato. Questo disoccupato, prendilo...».

La Fallaci, da lui soprannominata «Oliala Fallaci», era «una tutta letteratura e niente cronaca. Tutta la cronaca era inventata». Un giorno le ha prestato cinquanta dollari «e non li ho mai più visti». Le signore della penna, poi, avevano l'aggravante di essere femmine, uterine. Camilla Cederna? «Era la correttezza in persona. Purtroppo, nella vita ognuno può attraversare un periodo in cui perde la testa, cioè per le donne specialmente. (...) Di politica non sapeva niente, ma quando l'ha assaggiata se n'è invaghita follemente e ha dato veramente i numeri».

CESARE PAVESE
In particolare, Camilla è impazzita per il caso Pinelli. Il quale «a un certo punto, ha perso la testa perché era spaventato dalle domande, da quegli interrogatori e si è buttato dalla finestra lui, non l'hanno buttato». Sarebbe dunque logico che l'Uomo di Cuneo rivedesse la sua posizione sul commissario Calabresi, quella che gli fece firmare lo sciagurato appello promosso contro di lui. Col cavolo.

«Pansa adesso mi ha rimproverato, ha fatto l'articolo su Libero, dicendo: caro Calabresi, stati attento, quel Bocca ha firmato quell'ignobile appello... Per niente ignobile, perché il signor Calabresi era un poliziotto, reazionario estremo, un nemico del movimento. Perché devo chiedere scusa? Ho firmato quell'appello perché Calabresi era parte delle trame nere, era d'accordo con il prefetto che ha sviato le indagini e ha fatto arrestare gli anarchici, quindi era un nemico».

E sebbene sul suo giornale faccia intervistare il vecchio Giorgio a ripetizione, viene fulminato anche Marco Travaglio: «C'è stato un periodo in cui ero l'unico che facesse libri d'inchiesta. Oggi, invece, ogni giorno me ne arriva uno. Questi qui poi sono arrivati alla vergogna, fanno libri ignobili pur di uscire con un libro, hanno una squadra di persone che copia dai giornali e ne fanno un libro. Travaglio, ogni due mesi fa un libro. Ma come fai? Sono libri fatti coi ritagli della questura, dei tribunali, libri pessimi».

PIER PAOLO PASOLINI
A Bocca fa schifo pure il retroterra culturale dei suoi lettori, quelli della sinistra radical venuta dal '68. Meglio le Brigate rosse di questi ultimi . «Erano più simpatici di quelli del movimento. Andavi a parlare con quelli del movimento studentesco: dei professorini, dei saputelli...». Quelli delle Br, invece, «li sentivo più vicini a me».

«NAPOLI CIMICIAIO» Il culmine del disgusto, però, lo raggiunge quando si parla del Sud. Sin dalle prime volte in cui è stato nel Meridione, Giorgio ne è rimasto disgustato: «C'era sempre il contrasto fra paesaggi meravigliosi e questa gente orrenda (...). Insomma, la gente del Sud è orrenda (...). C'era questo contrasto incredibile fra alcune cose meravigliose e un'umanità spesso repellente». Una volta, per dire, si è trovato in una viuzza vicino al palazzo di giustizia di Palermo: «C'era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie».

Non a caso, Bocca ha dedicato uno dei suoi libri più famosi al Sud: si intitola Inferno ed è a tutti gli effetti un precursore di Gomorra. Ma il suo pensiero non cambia col passare del tempo: «Vai a Napoli ed è un cimiciaio, ancora adesso». L'intervistatrice, disperata, cerca di fargli dire qualcosa di gentile sui meridionali, gli chiede se non veda «poesia, saggezza» nel modo di vivere di quelle parti. E il faraone, implacabile: «Poesia? Per me è il terrore, è il cancro». Sono «zone urbane marce, inguaribili».

Unica consolazione: il Sud fa talmente schifo che se vai lì ne cavi di sicuro qualche bell'articolo. Quando lo dice, l'intervistatrice s'illumina: «Quindi sei grato, se non altro...» Ma Giorgio: «Grato, insomma... Come dire: sono grato perché va- do a caccia grossa di belve. Insomma, non sei grato alle belve, fai la caccia grossa, ma non è che fraternizzi con le belve». Eppure, nei suoi libri, qualche parola consolante sul Meridione si trova... Beh, presto spiegato il mistero: «È necessaria un po' di ipocrisia. Sapevo sempre che dovevo tener buoni i miei lettori meridionali, quindi davo un contentino».

Di più schifoso, dunque, c'è solo Berlusconi: «Mi stupisce che Berlusconi non mi ami. Io scrivo sui giornali che è un maiale e dentro di me penso che lui dica: beh, in fondo ha ragione». Sorte ingrata del faraone Bocca: gli tocca odiare l'unico che abbia mai amato, proprio perché questi non lo ama più.

 

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