1. IL RIEMPITIVO
Pietrangelo Buttafuoco per ''Il Foglio''
clb15 scalfari mario calabresi
Senza più Ezio Mauro alla direzione di Repubblica – e senza più Eugenio Scalfari, a quanto pare di capire – non sarà più “una certa idea dell’Italia” quel giornale. Sarà, verosimilmente, una “sola idea dell’Italia”, quella che avrà in testa il Matteo Renzi di turno e l’informazione diventerà tutto un senso unico visto che sul carro dell’happy regime ci sono già tutti.
Repubblica, con Scalfari e poi con Mauro, è stata la Cambridge del giornalismo (o la Qom, a seconda della prospettiva), e dunque il posto più ambito da chiunque abbia amato questo mestiere. Adesso – passati i quaranta dalla fondazione – quel giornale rischia di diventare il bastone da maresciallo del caporale di turno.
2. ECCO CALABRESI: SCALFARI DIVENTA «AFFONDATORE»
Nino Sunseri per ''Libero Quotidiano''
Domenica 17 gennaio 2016 sarà una giornata da ricordare nella piccola storia della carta stampata in Italia. Se non ci saranno sorprese, offerte magari all' ultimo momento dalla Befana, accadrà l' impensabile. Per la prima volta dalla nascita "Repubblica" non pubblicherà l' articolo di fondo di Eugenio Scalfari.
Al giornale l' avevano chiamata l' omelia per dare un senso compiuto alla messa cantata: il rito laico della riunione di redazione che il direttore ha officiato tutte le mattine per vent' anni. Invariabilmente alle 10.30 con l' annuncio che dal bar era arrivato il caffè.
Scalfari ha lasciato nel 1996 la sua poltrona ma, in tutti questi anni, l' omelia non è mai venuta meno.
Mai una volta che l' appuntamento sia saltato. Paginate intere per un rito che, nonostante i 90 anni suonati sembrava proprio che il Fondatore non avesse nessuna voglia di abbandonare. Fosse stata l' ultima cosa della sua vita. Per anni quelle righe di piombo hanno costruito l' agenda politica ed economica della settimana che stava per aprirsi. Non c' era parlamentare, segretario di partito o semplice parlamentare di complemento che potesse saltarne la lettura.
carlo de benedetti saluta eugenio scalfari
Ma nemmeno in banca o in azienda si poteva fare a meno. Erano gli anni della assoluta centralità Mediobanca e di Enrico Cuccia. Ma anche dei salotti buoni e della galassia del nord. Ma soprattutto c' era la Prima Repubblica. Craxi era il cinghialone da abbattere ed Enrico Berlinguer lo scarno profeta della questione morale. Andreotti, invece, la dimostrazione vivente che il diavolo esiste e Ciraco De Mita il simbolo del nuovo che avanza all' interno del corpaccione della "balena bianca" secondo la definzione che Giampaolo Pansa aveva dato della Dc.
carlo de benedetti eugenio scalfari
Che l' omelia, in certi casi, potesse anche essere una lettura tossica è dimostrato da diversi elementi. Come simbolo eterno l' appoggio incondizionato all' uomo di Nusco. Pensare che l' intellettuale della Magna Grecia (copyright Gianni Agnelli) potesse combinare qualcosa di buono nella politica e nelle istituzioni è solo frutto di una perversione.
Perchè diciamoci anche la verità: Scalfari è un grande giornalista. Non sempre, però il fiuto politico l' ha accompagnato. Più bravo come polemista che come sponsor verrà ricordato per il suo "bacio della morte": non una delle carriere politiche che ha accompagnato ha avuto successo. Attorno ad un giornale ha costruito un partito e l' omelia domenicale rappresentava l' aggiornamento settimanale del programma e delle linee d' azione.
Meno incisiva con il passare del tempo e il progressivo distacco dell' autore dalla prima linea. L' avanzata del misticismo in conflitto con lo spirito laico e libertino della fondazione.
Ma anche distante dagli anni in cui non pochi governi della Repubblica Italiana venivano confezionati nella stanza della Repubblica di Scalfari.
L' omelia domenicale per diffondere la parola. Un rito irrinunciabile per il popolo dei fedeli. Almeno fino a due giorni fa. Fino all' annuncio della nomina di Mario Calabresi alla direzione del giornale al posto di Ezio Mauro. Una scelta su cui il Fondatore non ha messo bocca, e che, certamente non ha gradito.
SCALFARI E LA MOGLIE SERENA ROSSETTI
Scrive «Il Foglio» che Scalfari non avrebbe mai perdonato al nuovo direttore «dentro, ma anche fuori» di non appartenere al fronte che per anni si è opposto a Berlusconi.
«Dentro» perchè comunque da Repubblica era partita la carriera del neo direttore. Ma anche «fuori», per quei rapporti, scrive «Il Foglio», comunque amichevoli fra Calabresi e il Cavaliere.
Anche negli anni di più acceso conflitto tra la sinistra e Silvio Berlusconi , c' è sempre stato un rapporto di stima personale più volte ravvivato da telefonate cordiali, incontri, colloqui persino affettuosi, con il Cavaliere che gli confessava: «Ma lo sa che io conoscevo il suo papà».
Per non parlare di Renzi. Apprezzato da Calabresi che, negli anni trascorsi a "La Stampa" non ha mai fatto mancare l' appoggio al premier. Antipatico a Scalfari che lo considera più furbo che intelligente: «Vende meravigliosamente bene il suo prodotto, è il figlio buono di Berlusconi». Insomma una coabitazione fra il giovane direttore e l' anziano Fondatore che non condivide più la realtà.
IL COMMISSARIO LUIGI CALABRESI
Si ritira corrucciato nella villa di Velletri a meditare sulle miserie di una politica popolata di ex e di post , Ma anche di assolute incompiute da parte di una sinistra in frantumi.
Ha perso il Nemico. Non c' è più Berlusconi a riunificare le anime disperse ai quattro angoli dello schieramento parlamentare. La realtà è troppo volatile Ma forse la rottura fra il giovane direttore e l' anziano Fondatore non è solo pubblica. Non c' è solo la differente opinione sulla legge elettorale e sul jobs act. Sugli 80 euro e la riforma delle pensioni. C' è qualcosa di diverso, di più intimo, di lontano. Di personale. Non diversamente da Adriano Sofri che, all' annuncio della nomina di Calabresi, ha lasciato Repubblica.
È stato condannato per essere il mandante dell' assassinio del commissario Calabresi, il papà di Mario, ucciso sulle vie di Milano da Lotta Continua. Era il 17 maggio 1972. Dieci mesi prima sull'«Espresso» era comparso uno scellerato appello firmato da 757 intellettuali che, senza giri di parole, accusavano Luigi Calabresi di essere uno dei colpevoli della morte dell' anarchico Giuseppe Pinelli caduto da una finestra della Questura di Milano. Fra le firme c' era anche quella di Eugenio Scalfari.
MONTEZEMOLO MARIO CALABRESI JOHN ELKANN ANDREA AGNELLI