Leonardo Coen per “il Fatto Quotidiano”
Aucun journaliste”, insomma, giornalisti fuori dai piedi. Il foglio bianco appiccicato sul vetro esterno della porta più che un ordine è una preghiera: abbiamo poco tempo, dobbiamo chiudere il nuovo numero di Charlie Hebdo, il primo dopo l’eccidio, lasciateci lavorare, ora non è più il momento delle interviste.
Dietro la porta c’è il locale che i generosi amici di Libération hanno messo a disposizione della decimata ma indomita bande à Charlie, all’ottavo piano del palazzo che ospita il quotidiano parigino di rue Béranger numero 11, due passi da place de la République dove domenica è partita l’eccezionale e ormai storica marche républicaine. La solidarietà dei confrères (i colleghi, ndr) di Libé non è stata soltanto a parole, come non lo sarà quella del Fatto Quotidiano.
In strada, gendarmi in assetto antiterrorismo sorvegliano la sede del giornale come fosse un ministero: scrutano i passanti, vigilano sui movimenti dei fornitori e di chi vorrebbe entrare. Un primo controllo, infatti, avviene all’ingresso del parcheggio che sta sotto l’edificio del giornale. Non si passa se non si ha un appuntamento: la prevenzione è giustamente severa. Il secondo “filtro” è in portineria, dove si verifica chi può salire e chi no. Una guardia privata ti accompagna in ascensore: per raggiungere la redazione provvisoria di Charlie Hebdo bisogna arrivare al settimo piano e poi continuare a piedi lungo il corridoio che unisce i livelli del palazzo come una sorta di spirale.
Una parete separa i Charlie dalla redazione Esteri di cui è capo Marc Semo (ci conosciamo da una vita). Il via vai sembra quello di una stazione del metrò. Mi intrufolo assieme al correttore di bozze di Charlie che fa la spola con la tipografia. Approfitto della concitazione. Chiedo di Gérard Biard, il caporedattore, che da 22 anni lavora qui. La confusione è quella tipica dei giornali in ritardo di chiusura, accentuata dal disagio di doversi muovere in spazi non abituali.
Ma la verve non è cambiata: “Abbiamo diritto alla blasfemia”, rivendicano i sopravvissuti. Biard si è salvato dalla carneficina di mercoledì 7 gennaio perché si trovava in vacanza a Londra: “Ho impiegato meno tempo a tornare che De Gaulle”. “Arrivato in redazione ero frastornato, non sapevo più che era vivo e chi era morto. Ma loro sapevano tutto di noi: sapevano che il mercoledì era il giorno della riunione di redazione, e i nomi di chi vi partecipa”.
Ma se gli si ipotizza l’esistenza di una talpa Gérard non risponde. Biard si è trovato sulle spalle la responsabilità di rimettere in corsa il settimanale satirico: “Sarà un giornale, per fatalità, diverso da quello di prima. Ma sarà comunque lo stesso giornale: sedici pagine. La differenza è la tiratura: un milione di copie (in serata i media francesi lanceranno la cifra-monstre di 3 milioni, ndr).
La più importante, la più dolorosamente importante della nostra storia. Toccammo le 400 mila copie una volta, quando pubblicammo nel 2006 la serie delle caricature di Maometto apparse sul giornale danese Jyllands-Posten”. (Nel 2011la sede di Charlie Hebdo venne distruttada un attentato incendiario perché in occasione delle elezioni tunisine vinte dal partito fondamentalista islamico avevano aggiunto la testatina Charia Hebdo (Sharia, la legge islamica, ndr) e un Maometto ghignante che diceva: “100 frustate se non muori dalle risate”: pure in quell’occasione la tiratura fu molto alta, rispetto a quella media di 140 mila copie, ndr).
Il disegno della copertina richiamerà alla memoria del lettore ciò che è successo quel maledetto 7 gennaio?
Certo. Ma non ci sarà sangue. Né sarà un numero necrologico. Però i nostri morti saranno ricordati con i loro lavori. Abbiamo trovato disegni inediti. Abbiamo deciso di ricordarli mantenendo le stesse abitudini redazionali. Sveleremo oggi il disegno alla vigilia della diffusione di mercoledì, come abbiamo sempre fatto, tramite Libération. Oggi, più che mai, glielo dobbiamo. È un disegno che speriamo faccia ridere. L’ha creato Luz” (il quale ha dichiarato domenica: “Charlie non cerca un’unità nazionale, ma la lotta contro l’imbecillità”, ndr).
Qualcuno dice che ci saranno vignette su Maometto. È vero?
Se ci sono, non ci ho fatto caso... so che tutto il nuovo numero avrà un senso.
Cioè?
Il senso è che Charlie Hebdo è un giornale ateo e che Dio non esiste. Non c’è nessuna prova: se Dio esiste spero abbia una scusa buona.
parigi manifestazione per charlie hebdo e la liberta' di espressione 7
Continuons le combat, dunque?
Il nostro stato di spirito è profondamente segnato dalla tragedia che ci ha colpito. Siamo contenti di tutto questo sostegno mondiale. Il che mi fa un po’ sorridere... ma il nostro è un riso amaro. In questi ultimi anni siamo stati molto soli a difendere la laicità. Speriamo che adesso tutti i dirigenti politici, tutte le istituzioni democratiche, tutti gli intellettuali capiscano che senza laicità non c’è libertà e non c’è libertà neanche per i credenti.
parigi manifestazione per charlie hebdo e la liberta' di espressione 64
Il vostro cavallo di battaglia?
Nella Francia laica tutti possono credere quello che vogliono, invece nei Paesi dove governano le religioni, c’è una religione di Stato e basta e lì o devono tacere o vanno in galera o vengono ammazzati. Orribilmente.
Nella redazione del giornale russo Novaja gazeta l’ufficio della povera Anna Politkovskaja è rimasto esattamente come era il giorno in cui lei venne ammazzata. Farete lo stesso con gli uffici dei vostri colleghi uccisi dai fratelli Kouachi?
La redazione è ora una scena criminale. Comunque, non ci ritorneremo più. Ora devo andare a scrivere l’editoriale: dove dirò più o meno quel che ti ho detto.