1. I NUOVI ESTRATTI DELL’AUTOBIOGRAFIA DI LOREDANA, SCRITTA CON MALCOM PAGANI: LA VIOLENZA SESSUALE, LEI ANCORA VERGINE, DI UN MILIARDARIO IN FERRARI. POI I FIDANZATI CAMBIATI COME FAZZOLETTI, L’AMORE CON PANATTA, “TERRORIZZATO DAI MIEI AMICI FROCI”
2. BJORN BORG, IL BRAVO RAGAZZO SVEDESE CHE FINì TRA ORGE, “BAMBA” E SADOMASO
3. “AVREI VOLUTO ESSERE ORFANA”. QUANDO LA MADRE SI VENDE LA SUA CASA, CANI COMPRESI
4. L'APPARTAMENTO AFFITTATO DALLA MOGLIE DI MIKE BONGIORNO, LA FESTA CON CRAXI CHE LASCIA LA PISTOLA IN FORNO, L’ARRESTO E IL MANICOMIO: “A CASA NON AVEVO L’ACQUA DA GIORNI, IN MANICOMIO C’ERA. HO PENSATO: CHE CULO. E MI SONO FATTA UNA DOCCIA”
5. “CON RENATO NON PARLO DA SEI ANNI, MI HA PRODOTTO UN DISCO COI CORI DELLE SUORE”
6. ORA L’ALBUM CON MANNOIA E PRAVO. IL FUTURO? “EQUITALIA, MI HANNO PIGNORATO TUTTO”

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1. LOREDANA BERTÈ, ERA MEGLIO ESSERE ORFANA

Teresa Ciabatti per “La Lettura - Corriere della Sera

 

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Loredana Bertè torna con un nuovo singolo scritto da Luciano Ligabue Amici non ne ho... ma amiche sì , titolo anche del disco in uscita a gennaio. Intanto, ha da poco pubblicato la straordinaria autobiografia scritta con Malcom Pagani: Traslocando (Rizzoli), dove racconta la sua vita, che no, non spiega come si diventa Loredana Bertè, come nessuno può spiegare come si diventa Marilyn Monroe, Janis Joplin, Jimi Hendrix. Nascita, arte e vita che coincidono, destino forse, o forse no, nemmeno l’infanzia buia che accomuna molti di questi miti pop. «La nostra infanzia è fatta di tutte stelle mancanti» dice Loredana, riferendosi a se stessa e a Mimì, la sorella.

 

Mai un regalo?

«Il padre e la madre erano due statali, prendevano lo stipendio il 27, noi siamo nate il 20».

 

Come festeggiavate i compleanni?

«Non li festeggiavamo. Verso i dieci anni con un pasticcino e una candelina. Io e Mimì da sole. Oppure con Clito».

 

Clito?

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«Il cane che il padre comunista aveva addestrato ad addentare le tonache. Appena vedeva un prete o una suora quello partiva e azzannava il polpaccio».

 

Aveva ragione il padre?

«Per me non ha ragione nessuno. Non ho mai creduto in niente, non mi bevo una parola della Bibbia . Non so se in alto c’è qualcuno».

 

Perché nel libro i suoi genitori vengono chiamati la madre e il padre, mai mamma e papà?

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«Io e Mimì ci guardavamo e dicevamo: che c’entriamo noi con questi? Non c’entravamo davvero niente. Tante volte sognavamo: che bello sarebbe essere orfane. Il padre era il peggiore, violento, una bestia feroce. Io sono sopravvissuta per caso».

 

E la madre?

«La madre era una ragazza bellissima che si è sposata troppo presto, a quindici anni, non sapeva niente della vita. Si è ritrovata un uomo che la menava, ha avuto quattro figlie, e quando è riuscita a liberarsi del marito non ha capito più niente».

 

Per esempio?

«Dopo i primi successi, con i soldi guadagnati, Io e Mimì ci siamo comprate un terreno, via Flaminia, chilometro ventitré, lì abbiamo costruito la villa dei nostri sogni. Cucina, salotto, cinque camere da letto, dove abbiamo messo anche la madre e una sorella. I mobili li avevo disegnati io: azzurro psichedelico».

 

berte zero berte zero

Il tentativo di ricostruire una famiglia?

«In realtà era già tutto perduto».

 

E voi non l’avevate capito?

«Stavamo lì, insieme, i cani, avevamo nove cani. Il dubbio ci doveva venire con la piscina. La madre ci chiedeva i soldi per costruire la piscina, ogni volta che una di noi partiva: “Mi lasceresti un assegno per la piscina?”. Noi glieli davamo, ma nessuno è mai arrivato a scavare la buca».

 

Che faceva la madre con i soldi?

«Ritocchi estetici e borse, aveva l’ossessione delle borse firmate. Per le borse si è venduta anche le pellicce mie e di Mimì. Due pellicce spelacchiate per la verità. Ma il peggio è venuto dopo».

 

LOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIA LOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIA

Cioè?

«Io vado in America per un periodo. Quando torno rientro, direttamente a Riano, alla villa: i nostri nove cani in giardino, le Cinquecento, quella mia e quella di Mimì, ogni cosa come l’avevo lasciata, solo che c’era un cameriere nero in livrea che annaffiava i fiori».

 

Chi era?

«Gli dico: questa è casa mia. E lui: ancora? È la terza sorella che viene, lo volete capire che questa è l’Ambasciata del Venezuela? La signora ha venduto tutto».

 

La signora era sua madre?

BJORN BORG LOREDANA BERTE BJORN BORG LOREDANA BERTE

«La madre si era venduta la casa con le nostre cose dentro, pure i cani».

 

Come è riuscita a venderla?

«Ma scusa: se nella vita riesci a costruirti una casa, la prima casa, a chi la intesti?».

 

Le manca una famiglia?

«Se non hai avuto una famiglia, non ti manca. Mi manca mia sorella. Eravamo noi la nostra famiglia».

 

I regali che non ha avuto nell’infanzia se li è fatti dopo da sola?

«Tutto quello che non mi hanno regalato il padre e la madre, anche i giocattoli».

 

BJORN BORG LOREDANA BERTE BJORN BORG LOREDANA BERTE

Come l’orsacchiotto con cui andò alla Casa Bianca?

«Era una borsa, l’avevo presa a Ibiza quando ancora non ci andavano i dentisti».

 

Il presidente gradì?

«Al tempo in Parlamento c’era Cicciolina con l’orsacchiotto. Alla Casa Bianca mi si avvicina Bush padre e dice: “Sto dalla tua parte”, mentre la sicurezza mi seguiva a ogni passo. Io non capivo».

 

Poi ha capito?

«Pensavano mi volessi spogliare come Cicciolina, credevano che in Italia ci fosse una specie di partito di donne che di colpo si spogliano con ’sto cavolo di orso di peluche».

 

Alla Casa Bianca lei andò con Björn Borg?

«Bush padre aveva regalato a Bush figlio una partita con Borg. Poi iniziò a piovere. Uomini della Cia e dell’Fbi asciugavano con il phon il campo da tennis».

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Riuscirono ad asciugarlo?

«Gli americani pensano che tutto sia possibile. Non lo è».

 

Come si è comportata alla Casa Bianca?

«Giravo per le stanze, lo Studio Ovale, mi sono distesa sul mappamondo gigante. C’erano i Bin Laden, padre e figlio, amici di famiglia, avevano affari petroliferi con i Bush».

 

Björn Borg apprezzava la sua eccentricità?

«All’inizio sembrava di sì, ma all’inizio ogni cosa sembrava diversa. L’ho sposato perché si era presentato in un modo: I love you , honey , poi è diventato un altro».

 

loredana berte warhol loredana berte warhol

È stato un grande amore?

«Ci sposò Pillitteri. Io in rosa, Borg in azzurro».

 

Una favola?

«Niente di più lontano. Con Borg ho perso sentimenti e conti in banca. Pagavo sempre io, i miliardari non hanno mai soldi in tasca. Anche oggi, se ci ripenso, non lo so se è stato amore vero, sono stata trascinata dall’idea che potesse essere per sempre, e io non avevo mai avuto niente per sempre».

 

Rimpianti?

«L’ho lasciato troppo tardi, nel 1992, dovevo farlo prima».

 

La vita dopo Borg?

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«Torno in Italia, a Milano. Daniela Zuccoli, la moglie di Mike Bongiorno, mi affitta casa sua. Fa schifo, gliela ristrutturo completamente, faccio la cucina all’ingresso, entravi in casa e c’era il frigo».

 

È stata felice in quella casa?

«Ricordo la festa di inaugurazione. Venne anche Craxi che lasciò la pistola nel forno».

 

Perché nel forno?

«Era un Frost, mai capito come funzionasse, lo usavo come cassetto».

 

Inizia un periodo di pace?

«Macché. Un giorno Daniela Zuccoli vede la casa e dice: voglio trasformarla nel mio showroom. E grazie! Gliel’avevo messa benissimo. Siamo finite in Tribunale con gli avvocati che ci dividevano nei corridoi».

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Chi ha vinto?

«Ha perso lei».

 

Finalmente la serenità?

«Siccome nel condominio stavano sempre a ristrutturare, primo piano, secondo piano, terzo piano, e a me scoppiava la testa, un giorno esco fuori con una mazza da baseball e spacco la portineria. Chiamano la polizia, ma io riesco a fuggire».

 

Dove va?

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«All’albergo di fronte. Rimango quattro giorni all’hotel Ariosto. Dalla finestra guardavo se c’erano ancora i poliziotti. Il giorno che se ne vanno, torno. Quelli arrivano subito, quattro volanti, sfondano la porta, m’immobilizzano, mi prendono come Brusca. Mi legano. C’era la Croce Rossa, questa gente con le tute fosforescenti. Mi portano in manicomio».

 

Si è spaventata?

«A casa non avevo l’acqua da giorni, in manicomio c’era. Ho pensato: che culo. E mi sono fatta una doccia».

 

Quanto è rimasta là dentro?

«Da fuori è venuta Aida, la mia corista, a portarmi lo stereo Sony. Abbiamo fatto uno showcase. Le pazienti cantavano con noi Sei bellissima . Il giorno dopo arriva un infermiere del reparto maschile: di là stanno impazzendo, non è che puoi cantare anche per loro?».

 

E ha cantato anche per gli uomini?

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«Sì. Poi la dottoressa mi ha detto: lei non è matta per niente, meglio che se ne torna a casa sua».

 

Loredana Bertè non è matta?

«Non lo so. Che poi tra quelli dentro e quelli fuori non c’è tanta differenza».

 

Si è rialzata da tutto?

«No. La morte di Mimì è come se fosse successa ieri».

 

Non passa?

«Risuccede ogni giorno. Vedo alla televisione Mara Venier che piange, poi la foto di Mimì. Mi chiama Renato: spegni la televisione, sto arrivando. Andiamo all’obitorio. Appena entro vedo la bara con Mimì dentro. Mimì è piena di lividi. Allora capisco. L’hai ammazzata, grido al padre. Lui mi si avventa contro, botte, calci, mi strappa i capelli. E io cado nella bara, sopra a mia sorella».

 

Il padre è ancora vivo?

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«Purtroppo. Aspetto che muoia per riprendermi le ceneri di Mimì. Ho saputo che l’aveva cremata dalla televisione».

 

Perché vuole le ceneri?

«Per spargerle a Bagnara Calabra».

 

Lei spesso parla al plurale.

«Io e Mimì».

 

Se ci fosse ancora Mimì?

«Vorrei che fosse fiera di me. Di questo nuovo disco».

 

Prodotto da Fiorella Mannoia...

patti pravo loredana berte patti pravo loredana berte

«Nella vita mai pensavo di poter duettare con Fiorella Mannoia e Patty Pravo».

 

Scusi, ma lei è Loredana Bertè, lo sa?

«E chi é?».

 

Come è nata la collaborazione con la Mannoia?

«Devo ringraziare Renato Zero. Se non avesse tirato una sòla sia a me che a lei, non ci saremmo mai incontrate».

 

Da quanto tempo non parla con Zero?

«Sei anni».

loredana berte alessia marcuzzi fiorella mannoia loredana berte alessia marcuzzi fiorella mannoia

 

Motivo?

«Mi ha prodotto un disco, ma come voleva lui, ci ha messo pure i cori delle suore, gli ho detto: questo è un disco per suor Cristina, tienitelo».

 

Non pensa che potreste far pace?

«Io ho perso due persone: Mimì e Renato».

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Lui l’ha più cercata?

«Io non ho telefonino, ho solo il fisso, un Sirio, mai cambiato, mi sono letta trecento pagine di istruzioni, non posso leggermene altre. Chi vuole mi chiama lì, zero due, e mi lascia un messaggio in segreteria».

 

Messaggi di Renato Zero?

«Nessuno».

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Il futuro per Loredana Bertè?

«Equitalia. Mi hanno pignorato tutto».

 

Le mancano dei figli?

«Avrei voluto un figlio per dirgli: non credere a quello che ti dicono gli altri di tua madre, ora te la racconto io la storia vera».

 

 

 

2. BORG, VIZI, COCA E ORGE - LA VIOLENZA SESSUALE, GLI UOMINI COME FAZZOLETTI E ADRIANO PANATTA

loredana berte ad amici loredana berte ad amici

Estratti dall’autobiografia di Loredana Berté, scritta con Malcom Pagani, “Traslocando - E’ andata così” - Rizzoli

 

Borg, vizi, Coca e orge

 

loredana berte loredana berte

Agli inizi degli anni Novanta, l’ossessione per la coca, da vizio personale irrimediabile, si tramutò in pericolo sociale. A Milano Björn scendeva in mezzo alla strada e chiedeva la bamba a chiunque. Voleva farsi. Della reputazione e delle conseguenze non gli importava più nulla. Un giorno, in condizioni precarie, per evitare uno scandalo lo mollai in balia dei miei amici trans: «Beccatevelo per due giorni, pago tutto io, ma portatevelo via».

 

Me lo riconsegnarono a pezzi. Una marionetta con gli occhiali da sole, un uomo perso, un relitto. Mi chiesero cinque milioni di lire in contanti e mi informarono che il signor Borg aveva assunto, in una sola soluzione, un’intera scatola di Roipnol. Non era cambiato niente e mai sarebbe potuto cambiare lui. Era sempre lo stesso. Era l’uomo che nel 1989 aveva tentato il suicidio ed era stato salvato per il rotto della cuffia da una lavanda gastrica.

loredana berte ad amici loredana berte ad amici

 

 In Svezia lo avevano dato per morto e forse era la bugia più vera che si potesse dire. Borg era sempre più depresso. Sempre più assente. Sempre più lontano. Avevamo messo in piedi una storia che in piedi non stava più. «Che faccio qui? La tua badante?» Ero gelosa della cocaina. Lui insisteva: «Sballiamoci insieme». Per capire cosa provasse e sentirmi più vicina a lui, accettai. Fui debole, perché non servì: me la preferiva costantemente.

mia martini loredana berte mia martini loredana berte

 

Tentai di assumerla ai suoi ritmi, ma provai disgusto. Facevamo giochi strani. Estremi. Sfide tra due pazzi. Sfide del cazzo. Una volta mi mise la pistola in bocca per giocare alla roulette russa e un’altra, nel 1991, per provocarlo e fargli vedere che di buttare tutto per aria ero capace anch’io, ingoiai cento barbiturici. Mimì mi venne a trovare. Mi vergognavo di farmi vedere da lei in quelle condizioni. Mi investì come un treno: «Scema, deficiente, che cazzo ci fai qui?».

 

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Aveva ragione. Con Borg non c’entravo più niente. Non avevamo più nulla da dirci, niente da scoprire, era finita. Per ritrovare una pulsione erotica, Björn mi legava con le manette alla spalliera del letto e mi diceva che avrei dovuto provare a scopare con lui e con altre persone. Voleva l’orgia e a me l’ipotesi faceva schifo. Per l’ultimo fotogramma in comune scelse Palm Springs.

 

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Aveva affittato l’intero secondo piano per riempirlo di troie. Aveva telefonato personal- mente in reception per assicurarsi che le mandassero «very bitch». Faceva schifo. E presentandomi un paio di zoccole con le borchie di pelle e la frusta in mano, tornò ancora sul tema dell’orgia, proponendo di finire tutti sul lettone: «Devi fare un balzo in avanti, Loredana. Un salto mentale» suggerì mieloso.

 

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Io fui secca: «Tu sei scemo, io la testa te la spacco». Dormii per conto mio e la mattina dopo scesi di corsa in reception e trattai i portieri d’albergo come meritavano: «Visto che avete massacrato il mio matrimonio con gli ospiti del signor Borg, io massacro voi. Voglio immediatamente una limousine per andare via».

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Me la concessero. Ci saltai sopra e mi rifugiai a Los Angeles, al Beverly Hills Hotel. Buttai la televisione per terra, staccai il telefono e mi misi sul letto con gli occhi sbarrati. Era finita. Finita per sempre. (…) Assistevo a uno spettacolo che non mi riguardava più. E mi ero fatta male. La nostra era stata una parabola di merda e, alla fine della curva, non sapevo più chi avevo accanto. Non gli avevo fatto le domande giuste e avrei comunque ricevuto sempre le risposte sbagliate. Senza saperlo, Björn Borg, il bravo ragazzo svedese che avevo sognato per sublimare l’amore perfetto, si era perso molto tempo prima.

 

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Al limitare di un torneo. Nell’angolo di una riga di fondo. In uno spogliatoio. In un bordello. La sera stessa in cui, invece di andare in albergo, recuperare le forze e continuare la vita dell’atleta, si era fatto portare in giro dai suoi amici tennisti che, vedendolo smarrito dietro i troppi allenamenti, lo trascinarono a donne per la prima volta gridando: «Lo dobbiamo svezzare».

 

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In un solo giorno conobbe troie, cocaina e perdizione. Al primo sbandamento. Al primo istante di autoindulgenza. Non era neanche tutta colpa sua. Da adolescente, il padre e la madre lo avevano messo davanti al muro con una racchetta. E il muro, se scalfito, un colpo basso lo restituisce sempre (…)

 

 

La violenza e l’amore

 

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A Torino, dove a fine anni Sessanta ero andata qualche settimana con le collettine di Rita Pavone per esibirmi in pubblico, ero stata violentata da un figlio di puttana. Un miliardario che commerciava in formaggi e andava in giro in Ferrari. Ero ancora vergine. Lui mi corteggiava, mi portava fiori tutte le sere. Le mie amiche mi spingevano fra le sue braccia: «Ma perché non gli dai retta? Loredana, guarda che questo qui è quello giusto».

 

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Ero dubbiosa, ma alla fine mi feci trascinare dall’entusiasmo e ci uscii. Mi portò in un posto del cazzo, un orrendo scannatoio dove evidentemente finivano tutte le altre conquiste di una sera. Appena entrammo, chiuse la porta a doppia mandata. Provai a uscire, ma lui mi riempì di cazzotti e calci e poi fece quello che si sentì di fare.

 

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Mi violentò, mi strappò i capelli, mi ridusse a un cencio. Riuscii ad afferrare un vassoio, glielo spaccai in testa e, quando fui all’aria aperta, tutta insanguinata fermai per miracolo un tassista e lo pregai di portarmi in ospedale. Le amiche deficienti non smettevano di scusarsi: «Loredana, ci dispiace, non potevamo immaginare».

 

patty pravo e loredana berte' patty pravo e loredana berte'

Le mandai affanculo e, per il timore che mia madre mi desse il resto, neanche denunciai il pezzo di merda. Quell’episodio mi segnò. Non volli più guardare gli uomini, non ne volli più sapere niente. Per quattro lunghi anni. Solo dopo molto tempo riuscii a dimenticare e ad avere le prime storie d’amore. Sempre uomini, non sono mai stata con una donna. Forse con un passato diverso avrei fatto altre scelte, e chissà, forse mi sarebbe anche piaciuto. Ma non ho avuto tempo.

loredana berte 4 foto andrea arriga loredana berte 4 foto andrea arriga

 

Non è capitato. Così cominciò il periodo dei fidanzati cambiati come fazzoletti. Relazioni usa e getta, senza nessuna importanza. Io e Mimì ce li scambiavamo senza concedere a nessuno orizzonti a lunga scadenza. Gli uomini li cacciavo. Me li scopavo, ma solo se volevo. Ero io la predatrice e li usavo soprattutto come autisti per me e per i miei amici. Potevo chiedere al maschio di turno di accompagnarmi a recuperare Renato bloccato nell’hinterland napoletano da quattro impresari che non volevano pagargli la serata o semplicemente usare il corteggiatore come tassista.

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Facevo come mi pareva e risolvevo i miei problemi e anche quelli delle persone a cui volevo bene. Quando Renato era nei guai chiamava sempre me. Se c’era un casino arrivavo e prendevo tutti a cazzotti. Ero stata ferita dall’amore e dall’amore mi difendevo con cinismo.

 

 

Panatta, Loredana e Mita Medici 

 

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Il primo uomo a scuotermi e a essere davvero importante è stato Adriano Panatta. L’ho incontrato all’inizio degli anni Settanta, al tempo di Ciao Rudy. Venivo da tre anni di teatro senza sosta. All’epoca Panatta era fidanzato con Mita Medici, che ogni sera riceveva da lui in camerino splendidi mazzi di rose rosse. In realtà sapevo che tra i due c’era maretta e che Mita gli metteva già le corna con un altro sportivo, il calciatore del Cagliari Gigi Riva, detto «Rombo di tuono».

 

panatta loredana berte panatta loredana berte

Il temporale non tardò a scatenarsi e, quando il bouquet di fiori che Adriano spediva quotidianamente, e che Mita andava stancamente a ritirare, arrivò a me invece che a lei, «Mita Mita», come l’avevano ironicamente soprannominata Le Ombre in una canzone, capì una volta per tutte e tornò sulla terra. La vidi chiedere spiegazioni alla segreteria del teatro: «I fiori del signor Panatta non sono arrivati in camerino, li avete voi?».

 

«I fiori ci sono, ma sono per la signora Bertè.» La sorpresi un po’ stupita e un po’ delusa: «Benissimo, vi prego di farglieli avere» disse gelida Mita, che in realtà si chiamava Patrizia. Aveva capito quel che c’era da capire. Adriano era stufo di lei. Girava pagina. La salutava. (…)

Loredana berte Renato zero Loredana berte Renato zero

 

Panatta e i froci.

 

Suona beffardo, ma Panatta me l’aveva presentato proprio Mita su richiesta di Adriano: «Senti, ma perché non portiamo a cena anche la tua amica?». A tavola, il grande tennista, l’atleta celebrato come l’uomo che con la racchetta avrebbe risollevato le sorti del Paese, mi aveva squadrata per due ore, aveva soppesato il mio vestitino, il fiocco sulla gonna, le cosce, gli occhi, i capelli e le spalle e infine, dopo aver guardato un po’ tutto, aveva deciso di buttarsi (…) Panatta era simpatico, un po’ borghese, terrorizzato da stranezze, froci, apparenze ed esibizionismo.

 

renato zero e loredana berte renato zero e loredana berte

Dopo qualche uscita solitaria, gli presentai i miei amici, a iniziare da Renato. Fissammo l’appuntamento a piazza Venezia, sotto il balcone del Duce. Renato si era vestito come se dovesse en- trare allo Studio 54 di lì a cinque minuti. Piume bianche, cappelli, la collana con i denti di cavallo, la tutina aderente.

 

Loredana Berte e Gigi D Alessio o gdo Loredana Berte e Gigi D Alessio o gdo

La sua normalità. Vidi Adriano rallentare e poi accelerare all’improvviso. Mi misi a urlare: «Che cazzo fai? L’amico mio ci aspetta lì». Adriano era indignato: «Chi dovrei carica’ io? Dovrei carica’ quello? Ma tu sei matta! Io non mi fermo e soprattutto non torno indietro». «Allora scendo io.»

 

 

 

 

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