Jenny Kutner per “Salon”
Ceara Lynch si definisce una “humiliatrix”. Ha iniziato a guadagnare soldi vendendo la sua urina ai clienti, poi ha continuato realizzando video fetish in cui non solo domina gli uomini, ma li umilia, li denigra, li distrugge.
In cosa consiste esattamente il suo lavoro?
«Ho iniziato a frequentare le chat a 17 anni, niente di scandaloso, finché un pervertito non ha avanzato delle proposte strane. La cosa mi intrigava. Più lo trattavo male, più voleva parlarmi. Voleva che gli urinassi addosso. Un giorno mi propose di fare pipì in una bottiglia e di vendergliela. Pensavo scherzasse, invece era serissimo. Accettai, tanto prima o poi sarei dovuta andare in bagno, in più lui mi avrebbe pagato. Due settimane dopo infatti mi arrivarono 250 dollari. Ero scioccata. Mi aveva trovata sul web per caso, cosa poteva succedere se avessi cercato io gente come lui? Ho cercato su internet e ho trovato il sito
“Ebanned”, dove le donne mettevano all’asta mutandine e calzini usati, peli pubici, assorbenti, insomma tutto quello che era stato a contatto con il loro corpo. Ho venduto mutandine per 70 dollari al paio»
Ha copiato le altre o è stata particolarmente creativa?
«Ho fatto quello che facevano tutte. La maggior parte cucinava torte e biscotti e dentro ci sputava, ci metteva la pipì o le unghie dei piedi. Roba folle».
Questo mercato esisterebbe senza internet?
«No, non sarebbe possibile. Ma queste fantasie non sono esplose con internet, c’erano da prima e si trovavano chissà quali altri modi per soddisfarle. Io ora guadagno facendo video. Sono io e la telecamera, i clienti vogliono vedermi dominare. Faccio umiliazione del pene, “foot fetish”, “toilet slavery” e “giantess”, ovvero gli uomini immaginano di essere schiacciati e ingoiati da una donna gigante. Mi mandano le loro fantasie via mail e io le realizzo in video. Oppure mi pagano al minuto per sentirle al telefono. E vendo ancora cara la mia lingerie».
Sono dunque i clienti a dire cosa vogliono?
«Ho parlato con migliaia di loro. Si sentono liberi di dire cosa li eccita nei dettagli, e per me non è un peso, anzi è affascinante. Rivelano i loro segreti solo a me. Lo trovano catartico e liberatorio. Molti sono consumati dal fetish, hanno una sorta di dipendenza, sono compulsivi e perdono il controllo. E spendono oltre quello che si possono permettere. Alcuni mi chiedono di aiutarli a smettere, ma non è il mio lavoro, non sono una terapeuta. Non chiedi al barman di ripulirti dall’alcol».
A lei piace l’umiliazione?
«No. Mi piace il mio lavoro ma non per gli stessi motivi dei miei clienti».
Come reagisce la gente quando viene a sapere del lavoro che fa?
«La reazione è positiva, ma vengo da Portland, dove c’è una grande apertura mentale sul sesso. All’inizio l’ho nascosto ai miei genitori, ma poi, con tutti i soldi che mi vedevano guadagnare, era meglio dire la verità, altrimenti pensavano che mi ero messa in chissà quale giro pericoloso. Mia madre non ama parlarne, mio padre invece ha detto che sono un genio. Con i miei partner sono onesta, lo dico subito. Faccio questo mestiere da 10 anni, e ho avuto tre relazioni serie. Riesco a separare il sesso dal lavoro».
Quante linee “hot” gestisce?
«Diverse. Una telefonica, una video, nella stanza ho lo studio per il “live cam”, nell’armadio la mia lingerie usata da vendere. Faccio quattro film a settimana. Ogni video dura dai 10 ai 30 minuti. Costano un dollaro per minuto. Gli affezionati pagano una retta mensile per vederli in streaming. Quando ho perdite vaginali faccio le foto alle mutandine...i clienti ci vanno pazzi. E’ un sogno. A volte penso sia troppo bello per essere vero».