PIKETTY PIKKIA IL CAPITALISMO (E LA COMPAGNA) – IN AMERICA VA A RUBA IL SAGGIO DELL'ECONOMISTA FRANCESE (IN PASSATO DENUNCIATO PER VIOLENZA DA AURÉLIE FILIPPETTI, OGGI MINISTRO DELLA CULTURA) CHE PROPONE DI COMBATTERE LA DISUGUAGLIANZA CON IMPOSTE PATRIMONIALI

1. ‘SE IL CAPITALE FA DANNI PER NATURA, ALLORA IO CAPITALISTA NON HO COLPE?' I RICCHI LIBERAL AMERICANI LEGGONO PIKETTY E SI DANNO DI GOMITO
Marco Valerio Lo Prete per ‘Il Foglio'

"Iniquitas radix malorum", la diseguaglianza è la radice dei mali sociali, ha scritto ieri su Twitter Papa Francesco. "Anche il Papa legge Piketty", hanno prontamente risposto al Pontefice - soprattutto in inglese - centinaia di follower. Come se l'anno zero della lotta alla diseguaglianza fosse davvero il 2014, come se l'uso del latino antico da parte del vicario di Cristo in terra fosse un dettaglio, perché quel che conta è invece la data di pubblicazione in lingua inglese di "Capital in the Twenty-First Century".

Il saggio dell'economista francese Thomas Piketty in pochi giorni ha venduto oltre 80 mila copie negli Stati Uniti e ha ottenuto il primo posto per vendite su Amazon. Non male per un saggio economico di stampo accademico, lungo 700 pagine e che, dopo mesi dalla pubblicazione originale in lingua francese, era praticamente passato inosservato. Tutto merito di uno dei traduttori prediletti di Harvard, Arthur Goldhammer? Non proprio. Negli Stati Uniti, piuttosto, c'era un pubblico che non attendeva altro che Piketty.

Il saggio in questione per esempio certifica, ricorrendo a dati statistici finora inesplorati (come i registri fiscali dei nostri paesi), che la diseguaglianza in occidente aumenta; e propone come rimedio un regime globale di imposte patrimoniali. Contenuti che si sposano con una certa temperie degli Stati Uniti al tempo del presidente democratico Barack Obama, che vuole "distribuire la ricchezza" ("spread the wealth", disse con scorno di molti), o dei manifestanti di Occupy Wall Street che tanto hanno fatto parlare di sé sui giornali, o più seriamente degli studi scientifici sempre più numerosi - da Robert Reich a Paul Krugman, passando per il meno scontato Raghuram Rajan - su redditi e opportunità che si divaricano. Non solo.

Piketty formula e popolarizza quella che ritiene una legge immutabile del capitalismo: la ricchezza (il Capitale, la chiama lui) si accumula più rapidamente, e rende di più, di quanto non faccia il comune reddito da lavoro. Ecco un'altra strada, oltre a quella già battuta dei "superstipendi", su cui marcia inesorabile la diseguaglianza in occidente. Il problema - secondo Piketty - non sono tanto i supermanager, il problema è nel capitalismo, se si fa eccezione per un periodo - quello a cavallo e subito dopo le due guerre mondiali - in cui distruzione materiale e fortissima ripresa riequilibrarono i rapporti tra capitale e reddito.

Dunque una colpa in meno per banksters e Gordon Gekko vari, e così altri lettori di Piketty s'assiepano: "E' il libro che ogni plutocrate dovrebbe leggere", ha scritto benevola su Politico la giornalista e parlamentare canadese Chrystia Freeland, perché "il nuovo tomo di Piketty potrebbe salvare i super ricchi da loro stessi". 700 pagine per redimersi. Non sarà un caso allora se Piketty si porta in palmo di mano ai seminari finanziati da George Soros, che prima di foraggiare ragionamenti innovativi e anti finanza, si arricchì un poco con la sana e antica speculazione.

Sono gli stessi seminari e gli stessi think tank - ecco altri lettori in arrivo per Piketty - in cui spopola la tesi della "stagnazione secolare" di Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro americano, anch'egli a suo agio con la finanza e anch'egli organizzatore di incontri quasi segreti a Harvard con l'Autore.

Se un capitale privato impaurito e inerte condanna l'occidente a ritmi di crescita blandi, infatti, quale miglior ricostruzione storica c'è di quella fornita dall'economista francese? Quale miglior metafora se non quella della Belle Epoque europea nella quale l'eredità, non il sudore della fronte, la faceva da padrone?

Che poi il predominio della rendita sul reddito tocca corde profonde dell'ethos americano, mette in discussione la mobilità sociale che anche i conservatori apprezzano in quel continente (vedi Michele Salvati qui sotto). E allora Piketty si legge anche quando vacilla, come accade sotto i colpi di Tyler Cowen (George Mason University) e David Brooks (New York Times) che gli imputano tra l'altro di atteggiarsi a indovino senza fare i conti con rivoluzioni tecnologiche e balzi di produttività spesso imprevedibili.

I critici sono in buona compagnia del settimanale Economist, secondo cui la mobilità sociale negli Stati Uniti c'è e lotta insieme a noi, mentre povertà e diseguaglianza arretrano in maniera spettacolare nel mondo. Perché Piketty, perlopiù, è lettura che si addice a élite deluse e pessimiste, ma di paesi comunque in crescita. Per gli europei, ancora intenti a decifrare la luce in fondo al tunnel, verrà solo poi il momento.


2. QUANDO PIKETTY PIKKIAVA LA FIDANZATA, ORA MINISTRA ALLA CULTURADA ‘Da Il Foglio'

Da un commissariato di Parigi per un lungo interrogatorio dopo una denuncia per "violenza coniugale" contro la compagna, alla Casa Bianca per essere ricevuto con tutti gli onori come nuovo eroe dei liberal americani. Il percorso di Thomas Piketty, l'economista francese diventato una star negli Stati Uniti grazie al suo libro su - o meglio contro - "Il Capitale nel XXI secolo", potrebbe ispirare gli sceneggiatori delle migliori serie televisive americane.

Figlio di borghesi sessantottini passati da Lutte Ouvrièr all'allevamento di capre nell'Aude. Primo della classe alla Scuola normale superiore. Dottorato preparato alla London School of Economics. Professore al Mit. Fondatore della Scuola di economia di Parigi. Consigliere economico di Ségolène Royal nel 2007. Ora anche numero uno delle vendite su Amazon Us e tra i bestseller del New York Times, per un libro che Paul Krugman ha definito "il più importante dell'anno e forse del decennio".

Dalla biografia di Wikipedia del "Frenchie" più trendy che c'è manca solo un premio Nobel che presto o tardi potrebbe arrivare. Ma un piccolo episodio dell'uomo che picchia contro le rendite da capitale è solo accennato.
Il 6 febbraio del 2009 Aurélie Filippetti, oggi ministro della Cultura, presentava una denuncia per "violenza coniugale" contro il suo compagno Thomas Piketty.

Le botte nella coppia più brillante della sinistra - lei era la bellissima portavoce del gruppo socialista all'Assemblea nazionale, lui l'economista in dissenso con l'ortodossia del Partito ma sufficientemente fighetto da piacere alla gauche - facevano discutere nelle cene mondane della capitale. In un interrogatorio di sette ore, comprensivo di fermo giudiziario, Piketty aveva raccontato la sua versione alla polizia.

Nel settembre successivo l'inchiesta era stata archiviata perché "Piketty ha riconosciuto i fatti della violenza contro Filippetti e se ne è scusato" e "Filippetti, nell'interesse della famiglia e dei figli, non ha dato seguito alla procedura", come aveva spiegato all'epoca l'entourage della ministra della Cultura.

Da allora, e fino alla scoperta da parte di Krugman&Co, Piketty è scomparso dal radar delle celebrità in Francia. Perché perfino nel paese del presidente che è arrivato al potere con lo slogan "non mi piacciono i ricchi" il suo libro di mille pagine contro il capitale è stato ampiamente ignorato. Colpa anche di François Hollande, che non ha mai veramente apprezzato Piketty, considerato non omogeneo al pensiero unico socialista.

Troppo vicino a Dominique Strauss-Kahn e Michel Rocard, con le sue proposte di abbassare le imposte sui redditi per concentrarle su capitale e patrimoni al fine di ridurre le disuguaglianze del paese. Le disuguaglianze sono la grande ossessione di Piketty.

L'aspirazione di trasformare lo stato in Robin Hood moderno è la parte più originale del suo pensiero: non si tratta - come per i socialisti francesi - di togliere ai ricchi per ridistribuire ai poveri alimentando l'enorme Leviatano, ma di tassare gli ereditieri che non creano ricchezza per tagliare le tasse sui poveri. Peccato che il suo lavoro sia stato macchiato da qualche dato manipolato e da un difetto di fondo: è "marxismo provinciale", ha scritto un anno fa sul Point l'economista liberale Nicolas Baverez.

"In Piketty come in Marx, le dimostrazioni del saggio sono spesso eclissate dalle passioni dell'ideologo". Per ora, l'economista concede interviste nel lussuoso St. Regis Hotel di Washington. L'entusiasmo provocato tra i neo-keynesiani, invece, lascia intravedere il vacuum della loro dottrina, nel momento in cui l'austerità intelligente - meno tasse e più tagli allo stato - e le riforme - sempre ispirate dalla scuola di Chicago - stanno facendo uscire l'Europa dalla sua crisi, mettendo in discussione le loro certezze.

 

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