VIVA PAOLO POLI! - “MATRIMONI OMOSESSUALI? CHE ROTTURA DI COGLIONI! PREFERISCO LA GIOIA CHE MI HA PROCURATO L’AVERE GLI ORMONI UN PO’ SCOMBINATI. SE ALLA VITA TOGLI LO SFIZIO DEL PECCATO, CHE COSA RIMANE A UN UOMO? QUASI NULLA”
Enzo Ciaccio per Lettera43 - pubblicato da "il Foglio"
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Sul tira e molla tra i vescovi in relazione ai diritti delle coppie gay e sui tentativi di alcun sindaci di regolarizzare le relazioni di fatto si limita a borbottare che «è giusto che ciascuno faccia un po’ come crede, secondo il proprio mestiere e quel che gli suggerisce la coscienza».
A lui, però, che a 85 anni guarda il mondo con gli occhi di chi è considerato uno tra i più prestigiosi attori italiani, tutto quel che riguarda «il chiacchiericcio sul matrimonio tra coppie gay e sulla battaglia per la tutela dei diritti» appare «una solenne rottura di coglioni». Paolo Poli, fiorentino di eloquio colto, forbito e schietto, è convinto che in Italia comandi il pontefice. E che sia lui «il vero e unico sovrano riconosciuto».
Poli racconta che cosa ha significato per lui vivere da omosessuale in Italia negli anni del fascismo e del Secondo Dopoguerra, ma anche le amicizie, gli amori, i rimpianti, le paure. Una condizione, la sua, «da ormoni scombinati». Che gli ha procurato «una aristocratica solitudine, come a Pier Paolo Pasolini», ma anche «tanta gioia e autentica serenità».
Il Sinodo dei vescovi si è spaccato sui diritti delle coppie omosessuali. Che ne pensa?
«Se posso esser sincero, mi è sembrata una solenne rottura di coglioni».
Addirittura?
«Si tratta di discussioni eterne, che ricordo da sempre e mai giunte a conclusione. La verità è che in Italia esiste un solo sovrano: il pontefice».
E dunque?
«Sui diritti degli omosessuali facciano un po’ quel che vogliono».
A lei non interessa?
«Ho vissuto in un’epoca in cui quelli come me e Pier Paolo Pasolini vivevano in una sorta di condizione aristocratica. Cioè, di totale solitudine».
Appunto. Non le pesava?
«Non sopporto le storie stile romanzo di Delly, in cui tutto finisce bene e cioè nel matrimonio con la marcia nuziale».
Ce l’ha con chi si batte per l’uguaglianza dei diritti?
«Certo che no. Ma non mi interessa molto quel che fanno. Gli uomini vogliono sposarsi tra di loro? Per me va bene. Punto».
Ne sembra quasi infastidito.
«No, però che barba: mi dà noia il matrimonio normale, figuriamoci il resto. Preferisco la gioia che mi ha sempre procurato l’avere gli ormoni un po’ scombinati ».
È bello avere «gli ormoni scombinati», come dice lei?
«Un capolavoro come Madame Bovary comincia col matrimonio e finisce con il veleno. Bellissimo. È il contrario dei Promessi sposi».
Da omosessuale non ha mai avuto problemi?
«Beata solitudo, vera beatitudo. Tutti siamo un po’ scombinati. Chi possiede un po’ di cervello sta benissimo anche da solo».
Può darsi. Ma lei non ha mai desiderato un figlio?
«Se uno vuole un figlio, può adottarlo. Il resto, bah… I cardinali, i vescovi e il papa facciano il loro mestiere».
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Dicono che famiglia vuol dire un papà e una mamma.
«Sì, ma Gesù è nato da una madre vergine e da un padre putativo. Come famiglia, più disastrata di così non si poteva immaginare».
Che ne pensa dei sindaci che stanno forzando le norme pur di garantire diritti alle coppie omosessuali?
«Non ci credo. Molti sindaci cercano solo pubblicità e voti. Mica è vero che la gente ama così tanto i propri simili: noi gente di teatro sappiamo bene quanto ciò non sia quasi mai vero».
Quando ha scoperto di essere gay?
«Da piccolo mi vestivano con divisa da balilla, libro e moschetto. Era un’Italia militarizzata, in cui filosofi come Giovanni Gentile giustificavano tutto grazie all’abilità con cui usavano le parole. Forse perciò odio tanto chi fa troppe chiacchiere, compreso il premier Matteo Renzi che per i miei gusti parla davvero troppo».
E la sua famiglia?
«Mio padre faceva il carabiniere e ha sempre accettato la mia condizione. Mia madre insegnava a scuola secondo il metodo di Maria Montessori. Eravamo sei fratelli».
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E i suoi fratelli hanno avuto figli?
«Tutti. Sono circondato da splendidi nipoti. La verità è che solo io, tra i sei, ero finocchio: è stata la Natura che, come al solito, ha saputo regolarsi».
In che senso?
«Invece di far sì che morissero in guerra o in qualche altro modo, ha usato me per contenere lo sviluppo demografico e il numero dei discendenti».
Solitudine. Tormenti, forse. Lei che vita ha vissuto?
«Una vita serena, lo ripeto. Ho fatto un lavoro che adoro, ho amato e sono stato amato. La piacevolezza fisica aiuta: da giovane ero molto cercato da uomini e donne».
E il rapporto con i suoi genitori?
«Mio papà mi adorava così com’ero. Quando sei in difficoltà, mi suggeriva, parla in latino. Lui sapeva che in Italia era il papa a comandare. E che nel 1929, con i patti Lateranensi, perfino Benito Mussolini fu costretto ad abbassare la testa in segno di resa».
Che cosa pensa dei preti?
«Non ne penso un gran bene. Però, ho conosciuto don Lorenzo Milani, il priore che viveva tra i ragazzi di Barbiana con cui scrisse il libro Lettera a una professoressa. E ho capito che esistono anche sacerdoti straordinari».
Che cosa vuol dire essere omosessuale oggi?
«Bisogna vivere alla luce del sole. Sarebbe opportuno evitare di nascondersi o inventarsi pseudonimi stupidi e inutili. Come Platinette. O Vladimir Luxuria, per esempio».
Che cosa ha contro l’ex deputata di Rifondazione comunista?
«Nulla, ma travisare i propri dati anagrafici mi sembra una roba da rimbecilliti».
Che vuol dire, per lei, essere spregiudicati?
«Mantenere intatta la propria identità, qualunque essa sia. Spregiudicata era la grande Paola Borboni, che fu tra le prime a spogliarsi sul palcoscenico. Si divertiva a spiegarmi come faceva a eccitare gli uomini».
E come faceva?
«Per carità, mica si può dire in un’intervista».
Chi altri è stato spregiudicato, tra i grandi del teatro italiano?
«Tino Buazzelli mi prendeva sempre in giro dicendo che ero troppo secco e che mangiavo poco. Erano gli anni del Dopoguerra e della fame, la sera a Torino mi portava al ristorante Il Cambio a divorare un uovo fritto».
Ricordi belli, ma perché Tino Buazzelli era spregiudicato?
«Conobbi Buazzelli che ero giovanissimo, insieme con Laura Betti. Lui allora era magro ma già viveva allo scopo di gustarsi due sole gioie esistenziali, oltre al teatro: il cibo e le partite di calcio, che seguiva anche durante gli spettacoli. Si appartava in camerino, urlava e sbraitava parolacce ascoltando le cronache sportive alla radio. Poi, d’incanto, si precipitava in scena e si confermava un grandissimo».
E oggi? Come guarda il mondo il giovanotto ottuagenario Paolo Poli?
«Di anni ne conto quasi 90. Ho visto l’altra sera Giorgio Albertazzi a Ballando con le stelle...».
Che ne pensa?
«Agghiacciante. Se ha partecipato per soldi, avrebbe fatto meglio a mettersi fuori a una chiesa e a chiedere l’elemosina. È bravo attore, ma non è mai stato un uomo troppo intelligente. La mente, per lui, è sempre stata Anna Proclemer che era stata sposata col grande scrittore Vitaliano Brancati».
Quali ricadute ha avuto nel suo teatro l’essere un omosessuale?
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«Da bambino, mi facevano recitare sempre la parte del principe azzurro. È la più prevedibile, la più stupida e priva di emozioni. Le mie sorelle, invece, si divertivano a fare le streghe e i personaggi malvagi che a me piacevano da morire».
Che vuol dire?
«Che i brutti sono sempre straordinari. La bellezza della favola di Biancaneve è nei sette nani».
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Sta giocando con i paradossi?
«No. Se alla vita togli lo sfizio del peccato, che cosa rimane a un uomo? Quasi nulla. Non a caso il Paradiso di Dante è molto più noioso dell’Inferno. E senza il peccato commesso da Eva col serpente, vivere nell’Eden sarebbe stato insopportabile».