VUOI MORIRE DI FAME? SCRIVI! - ANTICIPI SEMPRE MENO CONSISTENTI, BOOM DI AUTORI DILETTANTI GRAZIE AL SELF PUBLISHING, TIRATURE RIDOTTE ALL'OSSO: IL ROMANZIERE OGGI SI SALVA SOLO SE È MULTITASKING (E SE RIESCE - COME BARICCO - A TRASFORMARE LA SCRITTURA IN UN BUSINESS)

Non si tratta di diventare personaggi tv ma di fare come Pamuk, che fa diventare reale lo spazio virtuale del suo romanzo "Il museo dell'innocenza" o come Dave Eggers, con la scuola di creative writing per bambini: ‘Neanche l'ha sfiorato l'idea che fare lo scrittore potesse bastare’ (parola di Baricco, che con la scuola Holden ha capito tutto da tempo)…

Condividi questo articolo


SALONE DEL LIBRO DI TORINOSALONE DEL LIBRO DI TORINO Salone Internazionale del Libro di TorinoSalone Internazionale del Libro di Torino SALONE DEL LIBRO DI TORINOSALONE DEL LIBRO DI TORINOi giudici di masterpiecei giudici di masterpiece Paolo GiordanoPaolo GiordanoSilvia AvalloneSilvia Avallone

Paolo Di Paolo per ‘L'Espresso'
Nella Parigi del 1750, un "ispettore del commercio librario" era stato incaricato di censire, allo scopo di tenerli d'occhio, gli scrittori presenti in città. Risultavano essere, secondo il suo conteggio, 359. Età media: trentotto anni. Il più vecchio aveva novantatré anni, il più giovane sedici; Rousseau e Diderot andavano verso i quaranta. Un ispettore che volesse avventurarsi oggi nell'indagine, ne uscirebbe sgomento: solo sulla piattaforma di self-publishing Ilmiolibro.it gli scrittori sono oltre ventimila. Niente di nuovo: l'incremento del numero degli autori è fra gli effetti più naturali di quella che è stata battezzata come l'era dell'accesso.
Se tutto sommato basta un iPhone per diventare cineasti, per diventare scrittori serve anche meno. Una storia, e un minimo di competenza linguistica per raccontarla. Lo scrittore cresciuto nell'epoca pre-digitale può avere la sensazione di un assedio: abituato al confronto con una élite culturale molto definita, alle sue liturgie, a un radicamento e quindi a un "posto" preciso nel panorama letterario, sente il proprio lavoro condannato a sparire nel caos e nell'indifferenza.
Si tratta tuttavia di un'impressione emotiva, più che razionale: i lettori "forti", negli anni Sessanta, non erano certo più numerosi di quelli odierni. Il loro mondo era però più riconoscibile e quindi più protetto. La recensione di un critico sulla terza pagina di un quotidiano aveva interlocutori meno distratti e più fidelizzati; l'annuale romanzo mediocre di uno scrittore affermato poteva confidare in una rassegna stampa comunque corposa e in uno zoccolo duro di acquirenti. Così, la "carriera" di uno scrittore veleggiava nei decenni con relativa serenità e, nel più dei casi, saldata allo stesso editore.
Il paesaggio è cambiato: gli scrittori, più che mai inquieti e insoddisfatti, cambiano casa editrice con facilità. Sperando che il nuovo editore faccia più e meglio del precedente. A Sebastiano Vassalli, storico autore Einaudi, è andata bene: il suo ultimo romanzo, "Terre selvagge", pubblicato da Rizzoli,che annuncia ulteriori "acquisti" illustri, ha dato subito segni incoraggianti e si è affacciato in classifica. Ma non sempre va così.
In ogni caso, i passaggi - spesso sotto l'ala di accigliati agenti letterari - sono numerosi: Paolo Giordano da Mondadori a Einaudi, Melania Mazzucco e Gianrico Carofiglio da Rizzoli a Einaudi, Giorgio Montefoschi da Rizzoli a Bompiani, e sempre a Bompiani è arrivato anche l'ex einaudiano Aldo Nove. Elisabetta Rasy ha lasciato Rizzoli per Mondadori, Chiara Gamberale ha preso una pausa da Mondadori per Feltrinelli. C'è chi dalle grandi case editrici scivola verso le piccole: magari ottiene più recensioni, ma poi è difficile che da lì venga risollevato.
In ogni caso, l'usato sicuro non funziona più, ogni libro va pensato e lanciato come un progetto a sé. Con risultati sempre meno prevedibili, eco mediatica sempre più esile, e anticipi sempre meno consistenti. Ma se un'inchiesta del "Guardian" lanciava il grido d'allarme "Non si vive più di scrittura", da noi non è una novità: a vivere solo di letteratura sono sempre stati in pochi. Gli altri sopravvivevano e sopravvivono con altri mestieri: insegnando, scrivendo per la televisione e per il cinema, lavorando nell'editoria.
La novità è un'altra: in cinque anni la crisi ha spazzato via l'illusione dell'esordiente d'oro. Se "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano (Mondadori, 2008) e "Acciaio" di Silvia Avallone (Rizzoli, 2010) sembravano avere inaugurato una stagione di nuovi e redditizi scrittori, anche gli editori più ottimisti si sono ricreduti in fretta e oggi lanciano esordienti in sordina, praticamente senza lancio stampa e con tirature da piccola editoria: duemila copie, anche nel caso di Mondadori e Rizzoli.
Il quotidiano "El País" parlava qualche settimana fa di tirature medie, in Catalogna, di 2.292 copie nel 2013 contro le oltre 8mila del 2012. Risultato? Arrivare alla pubblicazione con il grande editore - il sogno di qualunque aspirante - non garantisce più niente. Meglio farsi notare su una piattaforma di self-publishing, conquistarsi attenzione e pubblico in rete e poi arrivare al cartaceo? Forse. Così, l'aggressiva Newton Compton ha pescato online i maggiori successi degli ultimi anni e anche Mondadori ha chiuso diversi contratti con autori che si erano autoprodotti.
Lo scouting editoriale cambia e si fa più cauto: prima che di sé stesso, l'editore si fida del gusto di un pubblico concreto, pre-esistente all'oggetto libro. Oppure - come nel caso della neonata community Bookabook - chiede al pubblico stesso di farsi investitore. Crowdfunding letterario, insomma: scarichi gratis un'anteprima, ti fai un'idea, e se hai voglia di leggere il seguito fai un'offerta, quota minima 3 euro. Se in un mese si arriva a 4mila, il libro esisterà, altrimenti i soldi vengono restituiti. Anche una scrittrice navigata come Lidia Ravera ha scommesso sull'impresa proponendo ai lettori-investitori il romanzo inedito "Gli scaduti".
Il punto è questo: a un pubblico distratto e più cauto nelle spese vanno fornite molte ragioni in più per acquistare narrativa. Un saggio si autogiustifica quasi sempre, un romanzo no. E gli editori, così come parecchi scrittori, si sono fidati troppo di un pilota automatico inserito distrattamente anni fa. Il pilota è diventato un po' ottuso e l'effetto è che le major editoriali chiudono rendiconti disastrosi. I primi posti delle classifiche valgono ormai poche migliaia di copie, e ben oltre la metà dei romanzi pubblicati in Italia vendono sotto o poco sopra le mille copie in un anno.
L'alibi collettivo? In Italia si legge poco, e dati costanti lo confermano. Ma - come ha notato una pungente blogger, La Leggivendola - l'editoria è l'unica "industria" che accusi i consumatori del proprio fallimento. Nel tempo in cui ognuno è scrittore e ha il suo microscopico pubblico fatto di gente che scrive, la differenza la fa chi si sottrae a quella che ancora "El País" ha definito un'«inerzia storica»: anziché mettere al centro del sistema il lettore, si è offerto in questi anni un ruolo da protagonisti agli editori e agli scrittori.
Perché mai continuare a pubblicare circa 60mila novità all'anno, se una gran parte tornano in resa senza avere avuto un solo lettore? Ha senso pubblicare automaticamente «il nuovo romanzo di», come si è fatto per anni, senza che nemmeno l'autore si sia interrogato sulla necessità di questo nuovo romanzo? Molti vecchi ma anche molti giovani scrittori pensano che interrogarsi sulla destinazione del proprio lavoro creativo (a chi può interessare ciò che racconto? Che differenza c'è tra questo e milioni di altri libri?) sia una compromissione con le logiche del mercato. Farebbero invece bene a scrollarsi di dosso un po' di narcisismo, a ragionare sul fatto che senza un destinatario, dunque un pubblico, piccolo o no che sia, un'opera creativa non ha senso.
«Scrivo quello che mi pare, quello che va a me, non accetto compromessi», sembra lo slogan di questi titani della letteratura depotenziata. Ma poi sarebbero i primi a non spendere 17 euro per acquistare il proprio libro, o a capire perché qualcuno dovrebbe farlo. D'altra parte è cosa nota: gli scrittori italiani non leggono scrittori italiani, salvo i soliti tre o quattro amichetti. Così, al di là della narrativa di genere, di Camilleri e di una dozzina di grandi nomi quasi sicuri (ma con risultati sempre più alterni), si salva chi prova a offrire al lettore un'esperienza: non un oggetto simile a una scatola chiusa, non una storia fra infinite storie, ma un contenuto più riconoscibile, più esplicito. Un nucleo saggistico, un tema, qualcosa che faccia dell'oggetto non identificato "romanzo" un'occasione culturale, emotiva, un'esperienza che tra milioni di esperienze valga la pena scegliere.
Troppi scrittori continuano a pensare che leggere romanzi sia di per sé un valore. Non lo è. E vedo che sempre più persone colte rivendicano il diritto a non leggere narrativa: leggiamo saggistica, dicono, articoli su riviste, ci informiamo e nutriamo per altre vie.
Quell'espressione un po' idiota su cui per anni si è imperniata ogni campagna di promozione della lettura - "il piacere di leggere" - non ha fatto che evidenziare l'autoreferenzialità del mondo editoriale. I veri piaceri non hanno bisogno di pubblicità.
Leggere può essere un piacere, certo (per me lo è), ma non convincerò mai nessuno a seguirmi solo su questa base. Chi scrive e chi pubblica è tenuto a farsi più domande, a dare più risposte, ad avere più idee. E uno scrittore di questi nuovi anni Dieci deve essere più duttile e più attrezzato: no, non è questione di diventare personaggi televisivi (neanche questo funziona più, e "Masterpiece" l'ha dimostrato ampiamente).
Occorre proiettare il proprio libro su un orizzonte narrativo più ampio, dove appunto non c'è solo il libro ma altro, che lo prepara e lo integra: un discorso, una serie di suggestioni pronte a essere capitalizzate nel web o in un'idea diversa di tv. Penso, per fare un solo esempio, a Gianluigi Ricuperati, classe 1977 come Gamberale, che dirige la Domus Academy a Milano, scuola di moda e design, si occupa di arte contemporanea e architettura, ha pubblicato per Mondadori un romanzo dal titolo programmatico: "La produzione di meraviglia".
«Uno scrittore», dice, «non può più stare chiuso nella propria stanza, deve essere più persone in una, aprirsi a una prospettiva diversa da quella umanistica più tradizionale. Il dialogo con discipline diverse, con le tecnologie, la sperimentazione di linguaggi, è essenziale in quest'epoca ‘post-letteraria'».
Penso al lavoro di Aleksandar Hemon, bosniaco statunitense, al suo Progetto Lazarus, "progetto" a tutti gli effetti, dal romanzo al sorprendente sito internet. Penso a Orhan Pamuk che fa diventare lo spazio virtuale del suo romanzo "Il museo dell'innocenza" uno spazio reale e attraversabile fisicamente come un vero museo. Penso a Dave Eggers, alle sue riviste, alla scuola di creative writing per bambini: «Neanche l'ha sfiorato l'idea che fare lo scrittore potesse bastare». Parole di Alessandro Baricco, che con la Scuola Holden e le altre iniziative di imprenditoria culturale, tutto questo lo ha capito per tempo.

 

Condividi questo articolo

ultimi Dagoreport

PIER SILVIO L’HA CACCIATA E HA FATTO SBARRARE LE PORTE DI MAMMA RAI: COSA RIMANEVA A BARBARA D’URSO, SE NON DI TENTARE LA PROVA DEL NOVE? DISCOVERY CON CROZZA E FAZIO È IL TERZO PIÙ VISTO IN ITALIA NELL'ARCO DI 24 ORE DURANTE IL 2023. E ADESSO ARRIVA AMADEUS - L’ARRUOLAMENTO DI CARMELITA COSTA POCO (SONO LONTANISSIME LE CIFRE DELL’ERA DI SILVIO BERLUSCONI) ANDREBBE A PRESIDIARE UNA FASCIA RICCA DI PUBBLICITA' COME È QUELLA DEL POMERIGGIO. LA SUA SOSTITUZIONE IN MEDIASET CON MYRTA MERLINO SI È RISOLTA IN UN MEZZO FLOP, MENTRE SU RAI1 “LA VITA IN DIRETTA” DI MATANO NON HA NULLA DI IRRESISTIBILE - LE TRATTATIVE CON DISCOVERY SONO IN CORSO E UN OSTACOLO SAREBBE LA PRESENZA DI... 

FLASH! – CARLE', MA CHE STAI A DI’? - CORREVA L’ANNO 1959 QUANDO L’AVVOCATO AGNELLI SI SBATTEVA ANITONA EKBERG. IERI A “100 MINUTI” (LA7) CARLO DE BENEDETTI RACCONTA DI AVERLO INCROCIATO CON LA DIVA DE “LA DOLCE VITA” QUANDO ERA “UN RAGAZZINO” (“LUI MI HA DETTO: VAI A FARTI UNA SEGA”) – FATTI I CONTI DELLA SERVA, ESSENDO NATO NEL 1934, CDB AVEVA NON SOLO 25 ANNI MA NEL 1959 ERA GIA’ SPOSATO CON MITA CROSETTI (NEL 1961, NASCE IL PRIMO FIGLIO RODOLFO) – INSOMMA, L'ERA DELLA SEGA L'AVEVA GIA' SUPERATA DA UN PEZZO...

PRESTA, CHE “BRUCIO”! - L’INTERVISTA AL “GIORNALE” DAL TELE-AGENTE HA SCATENATO IL PANICO NEGLI UFFICI LEGALI RAI - SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO DELL’AGCOM, SE NON ARRIVA PRIMA LA PROCURA, POTREBBE FINIRE LA DETTAGLIATA RICOSTRUZIONE DELL’OSPITATA A SANREMO DI JOHN TRAVOLTA SQUADERNATA DA LUCIO PRESTA: “MI CHIESERO SE ERAVAMO INTERESSATI ALLA PRESENZA DELL'ARTISTA AD UNA CIFRA MOLTO BASSA PERCHÉ LO SPONSOR DELLE SCARPE ERA DISPOSTO A PAGARE LA DIFFERENZA DEL SUO CACHET” - AMADEUS AVREBBE CHIESTO E OTTENUTO 90 MILA EURO NON DOVUTI SUL FORMAT “ARENA SUZUKI”: SAREBBE UNA VIOLAZIONE DI UNA DELIBERA DELLA VIGILANZA - I DIRIGENTI MELONIANI GODONO PER IL CALCIONE AL “TRADITORE” AMADEUS E IL FUTURO (NERO) PER I TELE-AGENTI…

MELANIA, INSTA-CAFONAL!  - IL PROFILO INSTAGRAM DI MELANIA RIZZOLI CONTINUA AD ESSERE LA BUSSOLA (IMPAZZITA) DELLA MILANO DA RI-BERE - TRA I NAVIGLI E VIA MONTENAPOLEONE, TRA IL BARETTO E IL CAFFÈ CIPRIANI, A SUON DI PARTY-BOOKS, SERATE CHARITY E COMPLEANNI, MELANIA E' PEGGIO DELLA DIGOS, LI SCHEDA TUTTI: PAOLINO BERLUSCONI, MINIMO BOLDI, AL BANO CHE SI GOLA, CHIARA BONI, CANDIDA MORVILLO CHE APPARECCHIA IL LIBRO, GUIDO BERTOLASO, ATTILIO FONTANA, FRANCESCO SPECCHIA, PIERO MARANGHI E... - VIDEO