costa concordia

CHE INGEGNO GLI INGEGNERI - NELL’OPERAZIONE CONCORDIA NON C’È SOLO NICK SLOANE. UN POOL DI GRANDI TECNICI ITALIANI HA DATO LE IDEE: DAI CASSONI AL SISTEMA DI CAVI PER LA ROTAZIONE - “ADESSO POSSO DIRLO AL GIGLIO HO TEMUTO CHE SI CAPOVOLGESSE”

Marco Imarisio per “Il Corriere della Sera

 

la concordia a genova 8la concordia a genova 8

Nell’ultimo viaggio della Costa Concordia contava più la partenza dell’arrivo. L’attracco del più grande relitto del mondo all’interno della diga foranea del porto di Genova è accompagnato da un comitato d’accoglienza pubblico e dovuto, in fondo si tratta della miglior fine possibile di una storia cominciata come peggio non si poteva immaginare.

 

La manovra di ieri e i quattro giorni di navigazione avevano un esito scontato oltre misura. Il margine di sicurezza era ampio, quell’enorme catafalco poteva sopportare uno «stato di mare limite» che prevedeva onde alte cinque metri, improbabili anche in questa strana estate.

 

Mentre telecamere e macchine fotografiche cercavano di riprendere cosa accadeva sul relitto in navigazione, Nick Sloane, il master sudafricano diventato volto e spirito di questa operazione, giocava a golf usando la pozza del comignolo come buca. La fine era nota. Non c’era tensione, non ci sarebbero state brutte sorprese.

la concordia a genova 6la concordia a genova 6


Le emozioni vanno cercate nei ricordi di questi due anni e tre mesi. «Mario, ci sarebbe questa opportunità...». L’ingegner Scaglioni ricorda bene la prima telefonata arrivata da Silvio Bartolotti, il presidente della Micoperi, l’azienda di Ravenna che ha nel suo atto fondativo il recupero dei relitti. Era il gennaio del 2012, e dopo il «sì» dall’altro capo del telefono restava un mese di tempo per mettere a punto un progetto.

 

Scaglioni, socio della Spline di Venezia, società specializzata nell’ideazione nel design navale, ci ha messo l’idea dei cassoni alti come palazzi. Si è rivelata meno suggestiva delle palline da ping pong o dell’aria compressa stipate all’interno del relitto, ipotesi presa in considerazione, ma ha dato la spinta e la stabilità necessarie al relitto per stare a galla. «Abbiamo pensato che una carena esterna fosse più controllabile».
 

la concordia a genova 7la concordia a genova 7

Ci sono tutti, sulla banchina del molo di fronte alla diga foranea. Lo spirito di quest’ultima giornata avrebbe dovuto essere quello di una riunione privata tra colleghi, che a cose fatte si concedono una birra con la cravatta allentata. Ognuno con il suo ricordo, ognuno con il compiacimento per un lavoro fatto bene, definizione che potrebbe anche essere riduttiva per un’opera mai tentata prima nell’ingegneria navale.

 

«Il mio problema è sempre stato quello di non sformare la nave e di poterne controllare le reazioni. L’ancoraggio con gli argani mi sembrava troppo rischioso. Meglio tentare qualcosa di nuovo». L’ingegner Tullio Balestra della Tecon di Assago è il titolare dell’idea dei cavi, chiamiamoli così per semplicità, che hanno permesso la rotazione dello scafo, il cosiddetto parbuckling, che per tutti gli addetti ai lavori è stato il momento più delicato. C’è molta Italia, oggi, e non potrebbe essere altrimenti.

NICK SLOANE CHE COORDINA IL RECUPERO DELLA COSTA CONCORDIA NICK SLOANE CHE COORDINA IL RECUPERO DELLA COSTA CONCORDIA

 
Nel flusso dei ricordi collettivi spunta la cena a Santa Margherita ligure con Richard Habib, il patron della Titan, che fece un disegno su un tovagliolo, immaginando però una nave cementiera da affondare sotto la Concordia al posto delle piattaforme, soluzione che avrebbe incontrato qualche legittima resistenza ambientalista.

 

Da allora, nello spazio di poche settimane, ci sono stati molti altri disegni. Il più importante è quello fatto da un ingegnere di Ravenna, Giovanni Ceccarelli, titolare dell’omonima ditta di yacht design, su un taccuino, in viaggio su un treno da Bologna fermo nel nulla a causa di una abbondante nevicata. Su quello schizzo c’era più di una nave avvolta da ganci, fili e torrette. «C’era l’azzardo del raddrizzamento» riconosce oggi quello che i suoi colleghi italiani considerano come il padre putativo del progetto. «Il parbuckling è una vecchia tecnica, ma certe volte nulla è più nuovo dell’usato...».


In questa storia collettiva c’era da superare un esame. Nell’aprile del 2102 il compito dell’alunno davanti ai professori del committente Carnival e delle assicurazione londinesi chiamate a metterci i soldi toccò al milanese Sergio Girotto, responsabile del progetto per conto di Micoperi, il versante italiano del nascituro consorzio, una delle poche aziende ad avere i recuperi marittimi nella ragione sociale, nata nel 1946, quando in Italia c’era purtroppo molto da recuperare.

 

tullio balestra (a destra)tullio balestra (a destra)

«Noi eravamo gli outsider, guardati anche con un certo sospetto nell’ambiente, per via di un progetto avveniristico che l’ambiente dei recuperi navali faticava ad accettare». L’aiuto che non ti aspetti arrivò proprio dalla Carnival. I loro esaminatori non dissero nulla. «Ma il loro apprezzamento tecnico era evidente». Nel maggio 2012 venne assegnato il contratto.
 

«Ci vorrà molto tempo prima che il mondo capisca quanto complessa e ben gestita sia stata questa faccenda». I titoli di coda sono per lui, il signor Nick, una di quelle persone di cui piacerebbe scrivere la biografia. «Io sono la parte operativa, ho eseguito quel che i miei colleghi italiani avevano messo sulla carta. Io sono un tecnico, loro dei visionari».

 

C’è molta generosità nelle parole di quest’uomo che si appresta a tornare a casa dopo un’assenza durata due anni e tre mesi. Sua figlia si aggrappa al braccio, vuole papà tutto per sé. «All’inizio ero spaventato, non mi ero mai trovato dentro un’impresa del genere. Poi ho pensato che si vive per la sfida. Bene, questa era bella grossa». Se è finita con una partita a golf sulla Costa Concordia, il merito è dei suoi colleghi italiani, che adesso si salutano come fossero alla fine di un convegno. Per il pathos bisogna rivolgersi altrove. Cosa volete farci, sono ingegneri.

 

2. E CAPITAN NICK SALUTA “ADESSO POSSO DIRLO AL GIGLIO HO TEMUTO CHE SI CAPOVOLGESSE”

Wanda Valli per “La Repubblica

 

Nick Sloane, 52 anni, sudafricano, il salvage master che ha coordinato tutta l’operazione Concordia, aspetta fino alle sette di ieri sera, per realizzare una promessa fatta a se stesso: se tutto va bene, una birra fresca. Gliela portano nell’hotel del centro di Genova dove lo accompagna il console onorario del Sudafrica, Enrico De Barbieri. Con lui la moglie Sandra e Julia, 11 anni, la più piccola dei suoi tre figli. Lei lo ha aspettato in porto all’arrivo della nave, ora festeggia con spiedini di melone. Intanto captain Sloane, racconta a “Repubblica”, la sua lunga sfida. Con il mare e con gli uomini.

mario scaglionimario scaglioni

 

Mister Nick Sloane, che cos’è per lei la Concordia? A vederla in porto, assomigliava a un animale morente.

«Concordia è una lady orgogliosa, che rifiuta ammiccamenti, vuole essere trattata molto bene. È una signora esigente, dispendiosa, che nella rotta di ritorno è stata molto gentile, comprensiva con noi, con tutto il team».

 

Agli inizi, non è andata così, purtroppo.

«Lei era la stessa, una signora gentile. È stata trattata male».

 

Dicono di lei: Nick Sloane è sempre calmo, paziente, sorridente. Verità o un po’ di leggenda?

«Mi hanno insegnato, e ora so per esperienza, che alla tua squadra devi comunicare calma. Se qualcosa non va, prima trovi una soluzione, subito dopo tornerà la quiete».

 

Ha mai pensato di perdere la sfida di Concordia?

«In realtà erano due, le sfide. C’era lo squarcio dentro la nave, molto grande, la prima sfida è stata trovare l’esatta posizione per la piattaforma che avrebbe dovuto mettere Concordia nella giusta posizione. E poi nessuno era contento, il morale era molto basso. Ho dovuto trovare immediatamente una soluzione».

 

giovanni ceccarelligiovanni ceccarelli

Che cosa ha fatto?

«Ho convocato esperti internazionali, abbiamo ragionato, valutato e in due mesi il problema si è risolto».

 

La seconda sfida?

«Per posizionare i galleggianti, abbiamo creato una specie di guscio, che lasciava la prua della nave libera, ma gli scogli erano lì a pochissima distanza e tutti pensavano non fosse possibile farcela. E poi, l’inverno scorso, ero preoccupato per i temporali, temevo che la nave si girasse, sarebbe stato un grosso guaio».

 

Nel viaggio, quando ha capito che ormai era fatta?

«Avevamo vento forte, poi sono arrivati i rimorchiatori e il vento è calato, ecco, lì ho capito che era andata».

 

È vero che lavora quasi 24 ore al giorno?

«In realtà dormo cinque ore per notte».

 

Anche nell’ultimo viaggio della Concordia?

«Sì, anche tra sabato e domenica».

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Siete andati più veloci del previsto?

«È vero, ma poi per il vento mi hanno chiesto di rallentare».


Ha conosciuto Matteo Renzi, il premier italiano?

«No, mister Renzi mi ha chiamato al telefono, era molto soddisfatto, non pensava quasi fosse possibile un’impresa del genere».

 

Mister Sloane, sua moglie al Giglio le ha portato una bandiera del Sudafrica, porterà a casa anche una bandiera italiana?

«In realtà l’ho già messa via».

 

Birra e vacanze. Dove?

«In Sudafrica, a casa, Julia ha appena festeggiato il suo terzo compleanno al Giglio, l’11 luglio, ora si torna a casa e, per Julia a scuola».

 

La ritroveremo da turista in Italia?

«Forse, ma non sul mare».

 

 

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