''LE MIE SCAPPATELLE? SEMPRE SUPERFICIALI''. LA CHIRURGIA MATRIMONIALE DEL PROFESSOR VERONESI - QUANDO L'ONCOLOGO SI CONFESSAVA SULLA SUA AFFOLLATA VITA SENTIMENTALE: UNA MOGLIE GELOSA, TANTE AMANTI E "IL SETTIMO FIGLIO, NATO DA UNA STORIA CLANDESTINA”

Esce oggi il libro, scritto a quattro mani da Umberto Veronesi e Annalisa Chirico: “Il mio settimo figlio, Francesco, è nato quando avevo sessant’anni ed è stato il frutto di una passione profonda: Emanuela, con la quale ho lavorato per la costituzione dell’Associazione italiana di ricerca sul cancro. Aveva una ventina d’anni meno di me, era molto bella e single…”

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ANNALISA CHIRICO - LIBRO SU UMBERTO VERONESI ANNALISA CHIRICO - LIBRO SU UMBERTO VERONESI

1 - VERONESI

Da “il Giornale”

 

Esce oggi il libro, scritto a quattro mani da Umberto Veronesi e Annalisa Chirico, Confessioni di un anticonformista. Storia della mia vita (Marsilio, pagg. 236, euro 18,50). Per i suoi 90 anni Veronesi ci consegna una biografia privata in cui tocca molti aspetti: dall’infanzia povera nella campagna milanese all’emancipazione in città, dall’apprendistato sessuale con le prostitute al primo amore.

 

annalisa chirico annalisa chirico

La famiglia, i figli, i tradimenti, i dolori di Sultana (la moglie), il figlio avuto dall’amante. C’è la Milano di Enrico Cuccia, c’è la politica (fu ministro con Amato), c’è la Milano da bere, Craxi, Montanelli e la giustizia (Veronesi sostiene che le carceri debbano essere trasformate in scuole per riabilitare i colpevoli e che le intercettazioni andrebbero abolite) e ci sono posizioni forti a favore del vegetarianesimo e dell’utero in affitto. Per gentile concessione dell’editore, anticipiamo due stralci del libro.

annalisa chirico chicco testa nozze carrai annalisa chirico chicco testa nozze carrai

 

2 - ESTRATTO DAL LIBRO DI ANNALISA CHIRICO “CONFESSIONI DI UN ANTICONFORMISTA”

 

[…]

LA MOGLIE E L’AMANTE

Nei primi anni settanta – ero ancora all’Istituto nazionale tumori – mi venne affidato un paziente sulla sessantina colpito da un melanoma, un tipo di tumore cui ho dedicato diversi studi. Giorgio – questo il suo nome – era assistito giorno e notte da una moglie devota che si prendeva cura di lui come fosse un bambino. Non era più autosufficiente, le sue condizioni di salute erano seriamente compromesse. Lo operai, asportai tutti i linfonodi dell’inguine per contrastare il rischio che le cellule tumorali potessero risalire verso organi vitali come fegato e polmoni.

Umberto Veronesi Umberto Veronesi

 

Purtroppo non bastò. Le metastasi continuarono a espandersi. Una domenica pomeriggio ero di turno e per caso, vedendolo da solo, andai a sedermi al suo letto. «Dottore, so che mi resta poco da vivere», mi disse. «Me ne rendo conto perché vedo mia moglie sempre più dilaniata dal dolore. Io però ho una questione che mi tormenta. Mia moglie non sa nulla, le provocherei un inutile dolore. Né posso rivelarglielo in questo momento. Ho un figlio in Germania, avuto da una donna con cui ho vissuto una relazione breve ma intensa. Adoro quel bambino, ha poco più di dieci anni e prima di morire vorrei poterlo rivedere. Devo sistemare alcune cose in Germania per il suo bene».

emma bonino umberto VERONESI emma bonino umberto VERONESI

 

Avevo incontrato Giorgio non più di cinque o sei volte, ma ugualmente mi aveva confidato un segreto così importante. Tornai a casa turbato e senza speranza di riuscire a dormire. Non sapevo cosa fare. L’insonnia mi portò consiglio. L’indomani organizzai un trasferimento in Germania per tentare una cura sperimentale. Comunicai alla moglie che il paziente sarebbe stato accompagnato da un mio assistente fidato.

 

Lui capì al volo e mi guardò con aria complice. La moglie per un attimo ventilò l’ipotesi di partire con lui. La dissuasi in un baleno, dicendo con voce stentorea che non potevamo permetterci inutili complicazioni. Tutto si svolse come previsto, nel giro di pochi giorni. In Germania, alla presenza di un notaio, fu disposta una generosa donazione affinché il bambino con cognome italiano ricevesse un sostegno economico fino alla fine degli studi. Risolta la questione, Giorgio tornò all’istituto di via Venezian dove si spense nel giro di qualche settimana, tenendo stretta la mano dell’adorata, e ignara, moglie.

Umberto Veronesi e Susy Umberto Veronesi e Susy

 

A te è capitato qualcosa di simile.

In che senso?

 

Tua moglie Sultana Razon, detta Susy,  al tuo fianco da una  vita intera, racconta di quando, una domenica mattina del 1989, in automobile le hai confessato: «Ho un figlio di quattro anni da un’altra donna».

I due episodi non si somigliano. Io ho scelto di parlarne in famiglia, anche se solo a distanza di qualche anno. Ricordo quel giorno. Era primavera e io guidavo con le mani contratte sul volante. Avevo rimandato tante volte quella confessione. Il mio settimo figlio, Francesco, è nato quando avevo sessant’anni ed è stato il frutto di una passione profonda: Emanuela, con la quale ho lavorato per la costituzione dell’Associazione italiana di ricerca sul cancro. Aveva una ventina d’anni meno di me, era molto bella e single.

 

UMBERTO VERONESI UMBERTO VERONESI

È rimasta single per tutta la vita, anche perché  si è presa cura costantemente di un fratello non vedente. Avevamo una grande affinità intellettuale. Mi amava molto e voleva  a  tutti i costi un figlio da me. Sapeva che non avrei lasciato la mia famiglia, ma non le importava. Oggi Francesco è un architetto di trent’anni, lavora a Milano e dovresti vederlo… è un giovane uomo alto un metro e novanta, di una bellezza straordinaria. La domenica viene a pranzo a casa nostra, è legato ai suoi sei fratelli e mia moglie lo adora.

 

Francesco è cresciuto senza poter vivere con te.

Avrò sempre il rimorso di averlo trascurato in termini di quantità di tempo. È stato un ragazzo difficile fino alla pubertà. Poi, però, ha avuto la fortuna di andare a studiare prima in Svizzera e poi in Germania, e queste esperienze lo hanno fatto maturare.

 

Come reagì tua moglie alla notizia di un figlio al di fuori del matrimonio?

UMBERTO VERONESI E MOGLIEe UMBERTO VERONESI E MOGLIEe

Fu un momento terribile. Quando glielo dissi, in macchina, Susy ebbe una reazione disperata. Mi guardò raggelata e mi chiese di ripetere quello che avevo detto. Mi disse che credeva di morire, e io sapevo di averla ferita. Sulle prime fu categorica: non avrebbe mai potuto perdonarmi; dovevo andarmene di casa. Quando le dissi con tono definitivo: «Allora vuoi che vada via?», mi rispose che, nonostante tutto, non voleva che abbandonassi il tetto coniugale.

 

I tuoi figli come l’hanno presa?

UMBERTO VERONESI UMBERTO VERONESI

Qualche giorno  dopo  aver  informato  Susy,  lo  dissi  anche a loro. Una sera, seduti attorno al tavolo. Dapprima rimasero spiazzati, ma con me non sono mai stati aggressivi o negativi. Forse un po’ se l’aspettavano, o quantomeno una cosa simile da parte mia non destava in loro stupore. Ricordo, in particolare, Silvia che in privato si mise una mano sulla fronte e mi disse con l’aria di un genitore che redarguisce il figlio pur non riuscendo  a essere davvero severo con lui: «Papà, che hai combinato? Povera mamma, povera Emanuela e… povero bambino». È sempre stata la figlia più severa con me. Mi ama molto e mi bacchetta altrettanto. Oggi è avvocato, sui diritti civili a volte mi rintuzza, è più cauta di me. Anche se nemmeno lei è credente. Nessuno dei miei figli lo è.

 

UMBERTO VERONESI GIANNI LETTA UMBERTO VERONESI GIANNI LETTA

In un libro autobiografico, uscito nel 2013, tua moglie si è tolta qualche sassolino dalla scarpa. Racconta di non averti mandato via di casa perché non voleva privare i figli della presenza del padre. La cosa sbalorditiva è che non avete mai smesso di dormire ogni notte nello stesso letto. «Ci rincantucciavamo ai due lati opposti, voltandoci le spalle», racconta.

Avrei evitato i dettagli. Ma ammetto che è uno splendido libro, perché racchiude l’essenza del nostro rapporto.

 

Un pomeriggio prima di Natale ti vide per strada sorridente sottobraccio alla tua amante, mentre in tanti anni di matrimonio non avevi mai voluto accompagnarla a fare acquisti perché, dicevi, andare in giro sottobraccio è un atteggiamento «piccolo borghese».

Non ricordo l’episodio. Comunque non ho mai amato andare per negozi.

 

UMBERTO VERONESI BACIA ALMA MANERA UMBERTO VERONESI BACIA ALMA MANERA

«Per ogni assenza», scrive Sultana, «mio marito aveva sempre pronta una scusa, spesso una bugia. Rimanevo costantemente con il tarlo del dubbio che mi rodeva l’anima, l’esistenza, i sogni notturni. Con il passare degli anni, la mia solitudine divenne implacabile, malgrado i figli e il lavoro.

 

Le attese del suo rientro a casa la sera erano spasmodiche. Mi accorgevo che stavo cambiando carattere, diventavo aggressiva, cupa, triste, pessimista e cattiva. Stavo attraversando anni di angoscia e sofferenza per questo amore che non mi lasciava tregua, mi consumava dentro, mi alienava il piacere delle amicizie e di nuove conoscenze».

SUSY RAZON UMBERTO VERONESI SUSY RAZON UMBERTO VERONESI

Susy è stata una moglie molto gelosa. Il che non poteva che darle dispiaceri infiniti, avendo un marito che trascorreva gran parte della settimana lontano da casa, tra impegni di lavoro e studio. Le mie scappatelle sono sempre state faccende superficiali che si risolvevano in una notte o poco più. Non mi sono mai innamorato di un’altra donna.

 

Tua moglie ricorda anche i bei momenti, il fuoco di una passione incontrollabile, il primo bacio nel laboratorio dell’Istituto nazionale tumori dove lavoravate fianco a fianco. «Era passata l’ora di chiusura. Mi alzai dalla sedia stanca morta, con gli occhi che bruciavano per le tante ore trascorse al microscopio e alla macchina da scrivere, passai dietro alla sua sedia per prendere il mio cappotto. Mi sentii afferrare in uno stretto abbraccio. Umberto si chinò e mi baciò rabbiosamente. Rimasi incollata alle sue labbra per un tempo che mi parve infinito».

UMBERTO VERONESI E SIGNORA UMBERTO VERONESI E SIGNORA

[Ride imbarazzato.] Che dovrei dire?

 

Ti sei mai chiesto perché sia rimasta al tuo fianco nonostante tutto? Non so se basti l’amore a  spiegarlo.

Mia moglie è una donna speciale. E ha avuto una vita più difficile della mia. Ebrea, a nove anni è stata deportata con l’intera famiglia in un campo di concentramento, prima a Ferramonti di Tarsia e poi a Bergen-Belsen. È stata un’esperienza terribile, cinque anni che l’hanno profondamente segnata. Nonostante questo, in una Milano in rovina, Susy si è rimboccata le maniche e ha fatto diversi mestieri per mantenersi agli studi di medicina.

 

UMBERTO VERONESI E SIGNORA UMBERTO VERONESI E SIGNORA

È diventata pediatra e ha lavorato prima al Fatebenefratelli, poi all’ospedale San Carlo. Pur avendo partorito  sei figli, non ha mai preso un giorno di maternità. Ha partorito nostro figlio Marco tra una visita e l’altra. Del resto, per una donna che è sopravvissuta ai campi di concentramento che vuoi che sia un travaglio?

 

È riuscita anche a sconfiggere il tumore alla mammella. Tu l’hai operata e guarita.

Agli inizi degli anni ottanta, dopo aver scoperto per caso un nodulo al seno, sono intervenuto con la chirurgia conservativa per eliminare la massa tumorale senza asportare il seno. Ero sicuro che sarebbe guarita. Le sono stato accanto come meglio ho potuto.

 

Tua moglie è certamente una donna caparbia, si è tenuta accanto l’uomo che desiderava pagandone il prezzo.

UMBERTO VERONESI UMBERTO VERONESI

Oggi che siamo vecchietti e siamo rimasti in due in casa, ogni tanto alla sera mi guarda e mi sussurra: «Ho sperato una vita intera di averti tutto per me».

 

Certamente lo è stata la tua. Quando ho incontrato tua moglie, mi è sembrata una donna austera e molto protettiva.

Susy è una roccia. L’unica cosa che si rifiuta di fare riguarda la fine della mia esistenza. Le ho chiesto di praticarmi un’iniezione il giorno in cui questa vita diventasse per me insostenibile. Il che potrebbe accadere in un tempo non lontano, perché ho quasi novant’anni e il decadimento fisico è inevitabile e rapido. Una volta, quando mi guardavo allo specchio, vedevo riflessa l’immagine di un bell’uomo. Ora, be’… vedi come sono.

 

Sprigioni ancora un fascino non comune, lo sai.

VERONESI VERONESI

Ma il mio corpo, la mia fisicità è quella di un  vecchio.

 

Di un vecchio che fa mille cose: scrive, legge, rilascia interviste, incontra decine di persone ogni giorno.

È vero, per il momento le mie condizioni di vita sono ancora accettabili. A ogni modo, Susy è stata categorica e in questi casi non c’è verso di farle cambiare idea. Se volessi farla finita, lei non mi aiuterebbe.

 

E allora non sarà coinvolta.

Esatto.

 

 

 

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