L’ETERNA FUGA DEL KILLER DEL CATAMARANO – EVADE DI NUOVO IL BALLERINO SVALVOLATO CHE NEL 1988 MASSACRÒ A COLPI DI MACHETE UNA SKIPPER PER FUGGIRE CON LA SUA AMANTE MINORENNE – LA FAMIGLIA DELLA VITTIMA: ‘I GIUDICI DANNO I PERMESSI COME BUONI DI BENZINA’

1. IL KILLER DEL CATAMARANO EVADE DI NUOVO
Marco Gasperetti per ‘Il Corriere della Sera'

Lo avevano giudicato affidabile. Tanto da concedergli i primi permessi a dicembre: poche ore, con l'obbligo di rientrare in carcere. Poi, per Pasqua, il premio per la buona condotta si era trasformato in una «tre giorni» da trascorrere nei locali dell'associazione di volontari Dialogo di Portoferraio ma con il divieto di abbandonare l'isola d'Elba.

Perché anche per Filippo De Cristofaro, 60 anni, l'istruttore di danza condannato all'ergastolo per aver massacrato nel 1988 a colpi di machete la skipper Annarita Curina, 34 anni, per rubarle il catamarano e fuggire con la minorenne olandese di cui era innamorato, il recupero sociale non doveva essere un'utopia.

De Cristofaro era già evaso, dal carcere milanese di Opera, nel 2007. Ma i regolamenti non impediscono, dopo sette anni, di bloccare i benefici della legge Gozzini. Così è uscito dal carcere di Porto Azzurro e al terzo giorno di permesso ha scelto di tornare «il killer in fuga» raccontato da tv e giornali nel 1988, quando era scappato verso la Tunisia in barca insieme alla fidanzata, la 17enne Diana Beyer, che oggi ha 42 anni e tre figli, ma allora fu la prima a pugnalare la vittima dopo averla narcotizzata con il valium nel caffè. E nel 2007, durante la prima evasione, Filippo era stato arrestato proprio a Utrecht, non lontano dalla casa dell'ex compagna.

Lo stanno cercando dal 21 aprile, quando avrebbe dovuto rientrare in cella. L'allarme è scattato con un gravissimo ritardo: De Cristofaro avrebbe dovuto firmare il registro di presenza la mattina alle 10 al comando dei carabinieri di Portoferraio. Non l'ha fatto, ma la notizia del non rientro è arrivata all'ufficio del giudice di sorveglianza soltanto alle 22. «Il reato d'evasione scatta dopo 12 ore dall'irreperibilità - dicono fonti investigative - ma in questo caso c'era un'allarmante violazione di legge e le ricerche sarebbero scattate immediatamente. Forse si poteva bloccare».

A firmare il permesso, il giudice di sorveglianza Silvia Sguerzo. Considerata uno dei magistrati migliori del suo ufficio. «Il problema - spiega Antonietta Fiorillo, presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze che sovrintende alla Toscana - è che a Porto Azzurro un giudice, tre educatori e un assistente sociale presente una volta al mese devono far fronte alle esigenze di 500 detenuti, valutarli, decidere. Manca anche il direttore del carcere, in malattia da due anni e i sostituti vanno sull'isola due o tre giorni al mese. È una situazione pesante, spesso insostenibile».

Fotocopia di altre realtà carcerarie dove in appena quattro mesi sono evasi sei detenuti, tre dei quali pericolosi killer. Stefano Tornimbene, l'avvocato della famiglia Curina, ieri ha espresso tutta la sua indignazione citando il caso di Angelo Izzo, il mostro del Circeo, che il 28 aprile 2005, mentre era in semilibertà, uccise due donne: Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano.

2. QUEL BALLERINO ALLUCINATO CHE UCCISE COL IL MACHETE
Goffredo Buccini per ‘Il Corriere della Sera'

E una sera Pippo le disse: «Vieni nella mia stanza, dai, aiutami a cucinare qualcosa». Aveva trentadue anni, lei nemmeno quindici: praticamente un pedofilo. «Mi ci avevano portato i miei, alla scuola di danza dove lui insegnava... mi innamorai». Alto, bello, immigrato dall'Italia fin lassù a Rotterdam, matto come un cavallo; lei lo chiamava «Philip», più in tono col personaggio del seduttore. In capo a un paio d'anni ancora, Pippo-Philip la strappò due volte alla famiglia, poi la trascinò nella storia più agghiacciante dell'estate 1988: il giallo del catamarano.

Il ballerino milanese e la bionda olandesina massacrarono il 10 giugno una skipper di Ancona, Annarita Curina, e scapparono per il Mediterraneo con il suo dieci metri, l'Arx, braccati dalle polizie di mezza dozzina di Stati: volevano arrivare in Polinesia e «viversela alla grande», sbausciava lui; furono acciuffati quaranta giorni più tardi, su una spiaggia della Tunisia, stremati e senza un soldo, perché assieme non sommavano due neuroni funzionanti. L'Italia che sotto gli ombrelloni non s'era persa una puntata della caccia sui quotidiani (c'erano ancora poche tv e niente Internet) tirò il fiato, un po' ingenua com'era allora: i mostri infine stavano in gabbia.

Adesso che Pippo-Philip, al secolo Filippo De Cristofaro, è evaso dall'ergastolo e da una settimana vaga inseguendo le proprie allucinazioni da balordo fuori tempo massimo, lei, l'olandesina Diana Beyer, ha la voce tremante al telefono della sua rispettabile casa borghese di Utrecht: «Quello là mi fa ancora paura, molta paura! Non voglio vederlo! Non lo vedo da ventisei anni, ma solo l'idea che sbuchi da qualche parte mi fa rabbrividire».

Si è sposata, ha tre bambini, una vita che ha girato pagina chissà a che prezzo, zero voglia di ricascare nel passato. Marina Magistrelli, l'avvocato che allora le fece da sorella maggiore e la salvò - rovesciando su Pippo tutta la responsabilità del delitto e facendole prendere soltanto sei anni e mezzo, risolti poi in quindici mesi di galera e in un lungo affidamento alla comunità Nomadelfia - prova a tranquillizzarla.

Spiega che Diana «ha rielaborato tutto», ha esorcizzato sangue, colpa e orrore con l'aiuto degli psicologi, e che però il ritorno di De Cristofaro potrebbe riaprire le cicatrici. «Quando lui ha colpito Annarita ho chiuso gli occhi, mi sono tappata le orecchie, ma sentivo lo stesso: sembrava il rumore di una pallina da ping pong», fu il racconto dei fendenti sferrati col machete sulla testa della skipper quella mattina di giugno: buttarono il corpo a mare, zavorrato. Stefano Tornimbene, legale dei Curina e amico di Annarita, a fatica manda giù la rabbia: «Speriamo che si diano da fare per prenderlo, i giudici danno i permessi come buoni di benzina».

Già, perché questa, per quanto incredibile appaia, è la seconda fuga di Pippo-Philip, ormai alla boa dei sessant'anni. Era scappato nel 2007, grazie a un primo permesso, e l'avevano acchiappato proprio a Utrecht, a due passi dal suo amore. Nonostante l'evasione, gli è stato concesso adesso, per Pasqua, un nuovo permesso di tre giorni, da trascorrere nella comunità Il Dialogo di Portoferraio. Lo aspettavano fiduciosi nel carcere di Porto Azzurro per le dieci del 21 aprile, Pasquetta.

La prima volta, Diana chiese alla Magistrelli: «Ma è vero che è scappato?». Adesso semplicemente non riesce a crederci: «Di nuovo? Ma come può succedere? È così assurdo». In verità l'ex biondina del delitto non è l'unica a stupirsi. L'avvocato della famiglia Curina cita con ironia al vetriolo il precedente dell'«amico Izzo», tornato assassino in semilibertà nel 2005. E l'idea che il carnefice di Annarita potesse usufruire di tanta clemenza persino dopo una prima evasione non resterà forse senza conseguenze.

De Cristofaro ha sempre raccontato la storia alla rovescia: lui un po' bamba vittima di una lolita astuta e manipolatrice. Non gli hanno creduto. Al tempo del delitto, lo chiamavano Rambo dei Mari e i giornali inseguivano la pista della droga, perché ancora pareva impossibile a quell'Italia che si ammazzasse una donna così, per niente, come lui e Diana fecero invece con Annarita, giusto per non averla di peso mentre rincorrevano la «vita alla grande».

Erano già scappati insieme una volta, l'anno prima, sotto il naso della famiglia Beyer. «Lui era bravo, creava balletti come Michael Jackson, mio padre gli chiedeva di riaccompagnarmi a casa dalle lezioni di danza, aveva paura che rientrassi col buio: lo invitava a cena».

I soldi della prima fuitina d'amore De Cristofaro se li era fatti dare dalla sorella Marisa: era sempre rimasto un po' bamboccione. Quando poi s'era messa male, aveva riconsegnato Diana a Milano, al consolato olandese, scansando i guai. Ma non gli bastava, si sognava Corto Maltese, la biondina accanto, nei mari esotici. Mentire ad Annarita, una generosa, che si fidava, non era stato difficile: «Andiamo a Ibiza», il vento gonfiava le vele, devono aver creduto fosse per sempre.

Una foto della cattura in Tunisia li coglie per come erano allora: lei appoggiata alla spalla di lui, stretta nella maglietta nera con la scritta italians do it better , gli italiani lo fanno meglio. Arenato il catamarano, l'ultima fuga l'avevano tentata a cavallo, sulla spiaggia: sì, da idioti, ma con un superuomo come Pippo-Philip pure così potevano arrivarci, in Polinesia.

 

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