DAGOREPORT
TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA
Follow the money! Quando si parla di Silvio Berlusconi e del suo ruolo nella politica italiana, si torna sempre lì: i danè. In questi giorni è in atto un cambiamento geopolitico simile al terremoto che negli anni '92-‘93 accompagnò la discesa in campo del Cavaliere.
L'obiettivo è lo stesso: tutelare le sue aziende. Ma se ieri erano minacciate dall'azione dei magistrati e dal temuto arrivo degli ex comunisti al potere, oggi i pericoli vengono dai concorrenti internazionali e dalla gestione dei suoi eredi, non sempre all'altezza delle capacità paterne. Proprio da una scommessa scellerata di Pier Silvio, l'acquisto per 700 milioni di euro dei diritti triennali della Champions League, nasce l'accelerazione di questi giorni.
Mediaset Premium è arrivata a perdere decine di milioni l'anno, visto che i nuovi abbonamenti non valgono affatto l'investimento (che corrisponde a 3/4 del valore dell'intera società, valutata circa 900 milioni). Premium va ceduta, e in fretta, a un gruppo che possa assorbire una simile emorragia di cassa, nascosta nel bilancio consolidato Mediaset.
CONFALONIERI, RENZI E IL PATTO DEL NAZARENO PIÙ VIVO CHE MAI
La faccia moderata del Biscione, Fedele Confalonieri, resta il consigliere più fidato per le strategie politico-economiche di Silvio. E' lui ad aver segnalato che Premium è diventata ingestibile: un buco nero che potrebbe affondare il gruppo. Allontanata l'idea di un'incorporazione da parte di Sky (rogne Antitrust, malumori di Murdoch ecc.), svanito l'interesse di Al Jazeera, tramontate le speranze di un allargamento di Telefonica, l'unica alternativa resta Vincent Bolloré. E qui arriva il primo intreccio politico.
RENZI SALUTA CONFALONIERI DOPO LA D URSO
Il finanziere bretone è infatti nel pieno di una ''campagna d'Italia'', lanciata dopo anni da spettatore dentro Mediobanca-Generali. Nel giro di pochi giorni, è arrivato al 24,9% di Telecom, ha piazzato un suo uomo (Philippe Donnet) al vertice delle assicurazioni triestine, e attraverso il fidato Nagel controlla piazzetta Cuccia senza ostacoli, visto che Unicredit, prima azionista di Mediobanca, è in tutt'altre faccende affaccendata.
Per portare avanti una simile conquista in terra straniera, serviva il disco verde del governo Renzi. Fin da subito, il premier gli ha fatto capire che la strada, soprattutto in Telecom, non era spianata. Inizialmente ha minacciato di appioppare alla Cdp la vecchia rete nazionale (scorporandola dalla società principale), o di schierare la Cassa in prima fila nel piano della fibra ottica (attraverso Metroweb). Certo, ora questa minaccia appare spuntata: dopo il bagno di sangue della ricapitalizzazione di Saipem, la Cdp non può digerire un altro macigno in un lasso di tempo così breve.
In seconda battuta, il premier non ha ostacolato (anzi) l'investimento in Telecom del francese Xavier Niel, fondatore di Iliad (ma che ha agito con capitali propri), come "bastoncino" tra le ruote di Bolloré.
Messi sul tavolo questi ostacoli, Renzi ha potuto sfruttare l'espansione di Bolloré a proprio vantaggio politico. Come? La risposta è sempre nel Patto del Nazareno, stele di Rosetta dell'era Renziana, attraverso cui è possibile decifrare le strategie del bullo fiorentino. Ufficialmente morto dopo l'elezione di Mattarella, il Patto è in realtà più vivo che mai, ma si muove nei sotterranei della politica per non far imbizzarrire le rispettive fronde ostili (Brunetta da una parte, minoranza dem dall'altra).
Due sono le prove più evidenti: la resa berlusconiana alle comunali di Roma e Milano, con lo schieramento di candidati deboli e/o osteggiati dai compagni di coalizione; e l'ingresso de facto di Verdini nella maggioranza, diventato la stampella che tiene in piedi il Pd.
Ecco che dalla ritrovata merchant bank di Palazzo Chigi (che dai tempi dalemiani si era rivista solo con il duo Prodi-Rovati...) si dipana il triplice accordo: Renzi in cambio della sopravvivenza del suo governicchio e del via libera su Roma e Milano, garantisce a Berlusconi l'intervento di Bolloré in Mediaset Premium (e, in prospettiva, su tutta Mediaset), mentre al boss di Vivendi è permesso di mangiarsi il resto del capitalismo italiano: Mediobanca, Telecom, Generali. Uno scambio di favori e convenienze che cambierà gli equilibri del potere economico del nostro Paese, per mantenere stabili gli equilibri politici.
I PASSAGGI: OGGI EI TOWERS, DOMANI MEDIASET PREMIUM, DOPODOMANI MEDIASET
La road-map è sotto gli occhi di tutti: si è partiti in questi giorni con l'operazione Ei Towers. Un bel po' di antenne del gruppo Mediaset – dopo lo smacco dell'Opa bloccata su RaiWay - stanno per essere acquisite da Inwit, società che Telecom intende cedere per alleggerire il debito. Se il deal andrà in porto, Ei Towers si troverà con il 25% di Inwit.
Il secondo passaggio riguarda Premium. Confalonieri spera di smollare la pay-tv a Bolloré entro marzo. Non è un caso che il titolo Mediaset abbia guadagnato il 20% nell'ultimo mese, pompato dalle ''indiscrezioni'' sull'ingresso di Vivendi.
Lo step finale comprende tutto il cucuzzaro: Mediaset. Non sarà oggi, né domani. L'orizzonte temporale è di un paio d'anni. Silvio deve ancora giocarsi qualche carta, e cedere l'impero vuol dire perdere ogni potere e influenza. Ma il destino è segnato.
E non solo per un problema nella successione, lo stesso che si nota dalle parti di altri magnati dell'editoria (De Benedetti, un nome a caso), ma anche per un oggettivo deficit di scala. In un panorama che vede l'inarrestabile concentrazione dei grandi gruppi delle telecomunicazioni, il Biscione non potrebbe comunque restare indipendente.
TUTTI GLI UOMINI DI BOLLORÉ: BEN AMMAR, NAGEL, PUYFONTAINE
Il finanziere che possiede il 14,3% di Vivendi non arriva dal nulla, e ha avuto un importante maestro di faccende italiane: Antoine Bernheim, il banchiere di Lazard che per 30 anni ha mosso i fili delle Assicurazioni Generali. Pensionato Bernheim, il suo Virgilio al momento è un altro straniero con molti interessi e contatti in Italia: Tarak Ben Ammar.
Il cinematografaro tunisino è da anni nel consiglio d'amministrazione di Telecom Italia, è grande amico e socio sia di Silvio che di Bolloré (fu lui a farlo entrare in Mediobanca nel 2003, insieme a Groupama e Dassault). Oggi lo consiglia e fa da tramite con i Berlusconi nell'operazione Mediaset.
In Mediobanca, come più volte sottolineato da Dagospia, il suo uomo di fiducia è diventato Alberto Nagel. E' attraverso l'amministratore delegato (con l'appoggio fondamentale di Pellicioli-De Agostini) che è stata orchestrata la sostituzione di Mario Greco al vertice delle Generali. Con un manager, Philippe Donnet, nato, cresciuto e pasciuto in Axa, alla corte di Claude Bebéar, altro sodale di Bolloré. Donnet naturalmente siede (ma è in uscita, per salvare almeno la faccia davanti al conflitto d'interessi) nel consiglio di sorveglianza di Vivendi.
de puyfontaine mediaset vivendi
L'ultimo tassello, Telecom, vede protagonista il solito Ben Ammar, ma anche l'amministratore delegato Marco Patuano, che il 1 marzo si è recato a Parigi a negoziare la sua uscita dalla società. Chi prenderà il suo posto? Al momento, i nomi restano coperti.
Telecom è in mani straniere dai tempi dell'ingresso della spagnola Telefonica, ma almeno all'epoca erano rimasti soci forti (Intesa, Generali, Mediobanca) e manager italiani. Come italiani sono gli attuali vertici, nonostante la maggioranza dell'azionariato si sia trasferito Oltralpe. Dopo un inizio in sordina, sono però partite le bordate francesi. La prima è stata data con l'ingresso (forzato) di quattro consiglieri in quota Vivendi, guidati da Arnaud de Puyfontaine, e con il rigetto del piano di conversione delle azioni risparmio in azioni ordinarie.
Ora Bolloré è arrivato indisturbato alla soglia dell'Opa obbligatoria (25%). Il prossimo e naturale passo è l'imposizione di un manager a lui caro. Di sicuro, non potrà essere francese: sarebbe davvero troppo, anche per il nostro sgangherato sistema industriale. Il motto di Palazzo Chigi è: prendetevi tutto, ma salvate le apparenze. Almeno fino al 2018, quando Renzi spera di andare al voto e di essere finalmente eletto.
P.S.: Nella sua cavalcata trionfante e indisturbata, Bolloré qualche problemino ce l'ha. In casa. Un durissimo articolo di Libération (http://www.liberation.fr/futurs/2016/03/09/bollore-prend-ses-ponctions-chez-vivendi_1438620 ) racconta le tattiche spregiudicate con cui il finanziere sta gestendo Vivendi. Molto criticata è stata la sua scelta di vendere le controllate nelle telecomunicazioni (SFR, GVT, Maroc Telecom) e nei videogiochi (Activision) per poi comprarne in questi stessi settori (Telecom Italia e Ubisoft), sebbene avesse detto che la strategia del gruppo era di abbandonarli in modo graduale ma definitivo.
MATTHIEU PIGASSE PIERRE BERGE E XAVIER NIEL
Nell'articolo viene messa in evidenza la gestione della liquidità generata da queste operazioni, con 8 miliardi destinati alla distribuzione di dividendi e al riacquisto di azioni proprie. E si racconta il piano per accrescere la quota di Bolloré dal 14 al 17-18% senza che il furbo finanziere debba mettere altri soldi.
Occhio: Libé è controllata dal gruppo Altice Media, che rappresenta uno dei rivali più ostili all'espansione fuori controllo di Bolloré, soprattutto da quando ha cementato il suo controllo nel gigante della comunicazione Havas.
L'altro "nemico" di rilievo, che definisce Bolloré un ''predone'', è il banchiere Matthieu Pigasse, nume tutelare di Le Monde e Nouvel Observateur, nonché socio di Xavier Niel, che intende riunire altri tycoon francesi in un nuovo gruppo in chiave anti-Vivendi (http://www.gqmagazine.fr/pop-culture/interview/articles/matthieu-pigasse-bollore-est-un-predateur/29856 ).