1. ECCO COME ANDO’ LO SCONTRO TRA ROBLEDO E BRUTI LIBERATI SUL SAN RAFFAELE 2. CHE CI FOSSERO DI MEZZO TANGENTI E CORRUZIONE (DACCÒ E FORMIGONI) EMERSE SUBITO, TANT’È VERO CHE ROBLEDO CHIESE IL FASCICOLO. BRUTI LIBERATI E FRANCESCO GRECO DICONO DI SÌ, MA POI IL CAPO DELLA PROCURA DI MILANO CAMBIA IDEA, PREOCCUPATO DI NON INTRALCIARE LA TRATTATIVA TRA SAN RAFFAELE E IOR-MALACALZA-BERTONE

Francesco Bonazzi per Dagospia

Per provare a capire che è successo veramente al quinto piano del Palazzo di Giustizia milanese, gioiello di architettura razionalista del Ventennio, bisogna andare in ordine cronologico e incrociare la deposizione di Robledo al Csm con quello che le cronache finanziarie spesso non dicono, ma sanno ugualmente.

Il crac del San Raffaele di don Verzè, nel 2011, precede di poco il collasso del berlusconismo di governo, al pari della frana del sistema Ligresti. Il prete della Sanità e il finanziere siciliano erano chiacchierati da anni, per le precarie condizioni economiche dei loro rispettivi imperi, ma le banche li tenevano su in qualche modo.

A novembre, quando il Cavaliere perde Palazzo Chigi ed è chiaro che non vi tornerà mai più, don Verzè e don Salvatore sono come segnati.

Il primo muore il 31 dicembre lasciando il San Raffaele nel caos. Il secondo muore finanziariamente sei mesi dopo, a giugno del 2012, quando il Tribunale di Milano decreta il fallimento delle holding di famiglia che controllano Premafin-Sai, sotto il peso di 400 milioni di debiti. La "colpa" è di un magistrato dalla pazienza certosina, il pm Luigi Orsi, che all'epoca dipendeva da Francesco Greco e poi chiederà di passare al dipartimento diretto da Robledo, e che di Ligresti conosce tutto (ha indagato su di lui per vent'anni).

Il 25 luglio 2012, Mario Gerevini scrive sul Corriere che nell'inchiesta sul San Raffaele che sta conducendo il dipartimento di Greco, quello che si occupa di reati finanziari, spuntano presunte tangenti a politici. Sette giorni prima, Mario Cal, braccio destro di don Verzè, si era sparato. Era appena stato interrogato da Orsi, che voleva sapere come avevano fatto ad accumulare un miliardo di buco. E lui non sapeva molto rispondere.

Dalla deposizione di Robledo al Csm in cui accusa il sistema Bruti, si scopre che il giorno stesso in cui il Corriere parla di tangenti, l'aggiunto chiede a Greco, napoletano come lui, se sia vero o falso che stanno spuntando possibili tangenti. Se fosse vero, il fascicolo sarebbe del suo dipartimento, che si occupa dei reati contro la Pubblica amministrazione.

Greco gli dice di sì e poi guarda il calendario: "Siamo a fine luglio... a settembre ti giro tutto". Di fronte a Bruti Liberati, Robledo commette "l'errore" di obiettare così: "Ma no, mica possiamo dargli un mese di vantaggio...a settembre i soldi che si sono inguattati son già tutti in Svizzera". Bruti gli dà ragione e si lascia solo scappar detto, secondo il racconto di Robledo, di essere "molto preoccupato per le trattative del San Raffaele".

Bruti, dei tre alti magistrati, è il più "politico". Non vive sulla luna. A differenza di Robledo, che non legge i giornali neppure se parlano di lui, si tiene informato anche sulle cronache finanziarie. Sa che al San Raffaele si rischiano migliaia di posti di lavoro, un danno enorme ai malati, polemiche a non finire contro i magistrati se solo si sbaglia un passo e salta il banco.

Ma sa anche che intorno alle sue spoglie ci sono interessi finanziari non da poco: ci sono primari che tifano per lo spezzatino, c'è il Vaticano che è pronto a schierare il Bambin Gesù e fondere tutto, ci sono il gruppo privato Humanitas con i fratelli Rocca e c'è Giuseppe Rotelli, entrambi "salotto buono" di Rcs e dintorni.

Dev'essere per questo, che a Bruti scappa quella battuta sulla sua preoccupazione per le trattative. Robledo, che non gliene fa passare una, risponde così: "Noi siamo la Procura della Repubblica, facciamo un altro lavoro...". Bruti gli dà ragione e si salutano. Sono le 13 e 30 del 25 luglio 2012. E sta per arrivare il primo vero colpo di scena.

Alle 13 e 55, sul tavolo di Robledo arriva un provvedimento di Bruti che gli intima di "non procedere a nuove iscrizioni sul registro degli indagati" e di "astenersi dal fare indagini" sul San Raffaele. E' l'inizio della guerra a Palazzo di Giustizia. Che cosa sia successo in quei 25 minuti è un mistero. Forse, ma è una supposizione giornalistica, il fatto che Robledo voglia partire subito, e non a settembre, gli costa il fascicolo.

Passano 4 giorni e Robledo, il 29 luglio, si mette al computer per riepilogare tutta la faccenda e scrivere al suo capo che ritiene illegittimo il provvedimento sul San Raffaele. Da quel momento, i loro rapporti saranno poco più che epistolari. O meramente formali. Cosa che indubbiamente deve costare a entrambi, visto che non sono assolutamente due tipi litigiosi.

Anzi. Bruti ha modi di fare che tradiscono gli ascendenti nobili e sono anche un po' curiali. Robledo è un gentiluomo napoletano sempre sorridente e che passerebbe la vita tra le bancarelle dei libri antichi. Che stiano per farsi la pelle, professionalmente, è davvero incredibile. Eppure accade.

Robledo dunque "non capisce ma si adegua". Però è un elefante, e un mese e mezzo fa, quando avviene il deposito degli atti dell'inchiesta sul Raffaele, estrae copia dei fascicoli, com'è suo diritto. E li guarda per benino. Scopre che tra il 26 e il 30 luglio 2012 sono stati interrogati quattro indagati che parlano di presunte mazzette a Daccò, faccendiere vicino a Comunione e Liberazione, e di favori e regalie varie a Roberto Formigoni, presidente della Lombardia. Come se non bastasse, trova anche il provvedimento con il quale, il 27 luglio, il pm Laura Pedio (che dipende da Greco) chiede intercettazioni telefoniche per tangenti.

Che sia stato preso per il naso, gli sembra evidente. E' allora che decide, prove alla mano, di denunciare Bruti Liberati al Csm. Gli dicono che si muove a scoppio ritardato, con quasi tre anni di ritardo sui fatti, perché vuole fare un gran casino in piena campagna elettorale per il Csm, e a due mesi dalla decisione che dovrà essere presa sulla proroga di Bruti Liberati. Ma l'obiezione non tiene. Fino a un mese e mezzo fa, Robledo quel fascicolo non lo poteva guardare.

La linea difensiva di Bruti non è però assolutamente banale. Sostiene che prima ci si è imbattuti nei bilanci falsi e nei reati finanziari, e solo dopo nella corruzione e nelle tangenti. Robledo invece dice il contrario: prima sono spuntate le tangenti e poi i conti farlocchi del San Raffaele. Su questo punto, si esprimerà presto Palazzo dei Marescialli. 

E ora riprendiamo i fili della vicenda economica. Perché alla fine si intrecciano in un modo che potrebbe essere interessante per la guerra a Palazzo di Giustizia. Nell'estate del 2011, il Vaticano decide, abbastanza a sorpresa, di farsi carico del San Raffaele e mettere insieme una cordata che lo rilevi e metta ordine.

E' una decisione curiosa per almeno due motivi: don Verzè è stato sempre guardato con sospetto e imbarazzo per il suo stile di vita un po' fuori le righe; ma soprattutto il fiore all'occhiello del San Raffaele, il polo della ricerca, non segue i dettami vaticani sulla bioetica. Ha fatto un buco da un miliardo? Sarebbe l'occasione per costringere il prete veneto a una memorabile Canossa. Dopo di che, a salvarlo economicamente, ci pensino i suoi amici politici, come Silvio Berlusconi, o i privati come Rotelli e Rocca.

Invece no. Il segretario di Stato Tarcisio Bertone, ex arcivescovo di Genova, chiama a raccolta tre genovesi di assoluta fiducia e li mette in campo per rilevare la baracca. Si tratta di Vittorio Malacalza, all'epoca socio di Tronchetti in Pirelli e uomo di enorme liquidità, del manager sanitario del Bambin Gesù Giuseppe Profiti e dell'avvocato ed ex ministro Giovanni Maria Flick. Il primo mette sul piatto 250 milioni e gli altri due le loro competenze manageriali e giuridiche.

L'offerta di quella che viene subito chiamata "La cordata vaticana" viene ufficializzata il 14 settembre 2011. 

A fine anno, però, mentre il dipartimento di Greco conduce le sue indagini, spuntano anche i concorrenti del cardinal Bertone. Sono i Rocca, che poi si ritireranno, e il gruppo Rotelli, che nel 2012 vince a mani basse l'asta com'è logico che sia: ha un polo sanitario ben più grande del Bambin Gesù e una massa d'urto finanziaria che fa impallidire i 250 milioni offerti da Malacalza. Altro fatto di rilievo, il 31 dicembre 2011 muore don Verzè (mentre Rotelli morirà il 28 giugno 2013, dopo una lunga malattia) e al suo funerale Malacalza si comporta da presidente in tutto e per tutto, in piedi a fianco della bara con la moglie, contornato dalle mitiche "Pie donne" del prete-imprenditore.

Ma chi glielo fa fare, a un signore per bene e senza debiti come Malacalza, di infilarsi in un ginepraio del genere, con le inchieste penali in corso? Il suo ingresso nel cda della Fondazione Monte Tabor, che controlla gli ospedali, l'università e i centri di ricerca, a metà del 2011 è una di quelle cose che nessun avvocato o commercialista farebbe mai fare al proprio cliente. C'è il capo azienda che si è sparato, un buco da un miliardo, banche e fornitori con il coltello tra i denti, una magistratura che - a leggere i giornali - ogni giorno ne scopre una. E lui mette 250 milioni lì dentro per avere il privilegio di firmare un bilancio 2011 con pezze d'appoggio che neppure Sant'Antonio saprebbe trovare?

Questo interrogativo, tra Milano e il Vaticano, se lo fanno in molti. E però una risposta forse c'è. Anzi, due. Secondo quanto risulta a Dagospia, Malacalza viene chiamato a Roma dal cardinal Bertone poco prima dell'estate. Non sa perché, ma ovviamente risponde da fervente cattolico alla chiamata. Quando sta per entrare da Sua Eminenza, uno degli assistenti gli anticipa che gli verrà chiesto un grande favore. E con tatto squisito, gli viene fatto capire che se non se la sente, nel caso volesse tornare immediatamente a Genova, Sua Eminenza non si offenderà.

Del resto nell'anticamera della Segreteria di Stato ci sono tre porte d'uscite invisibili ai più che sono l'emblema del potere che vi si amministra. Malacalza però questo non lo sa e decide di entrare.

Malacalza si sente proporre da Bertone un affarone chiamato San Raffaele. Dà la propria disponibilità e chiede un aiuto tecnico-giuridico. Il cardinale è già pronto: Profiti e Flick penseranno a tutto quanto. Poi ovviamente c'è lui, il segretario di Stato vaticano.

Nei mesi a seguire, Flick farà spesso la spola con il quinto piano di Palazzo di Giustizia. Con Malacalza e Profiti, alla fine, usciranno sconfitti dalla forza del "laico" Rotelli, che oltre a tutto schierava dalla propria parte gran parte dei giornaloni. Tutto finisce come deve finire. Il San Raffaele è stato salvato e di questo va dato atto anche alla Procura di Milano, che ha salvato il bambino e buttato l'acqua sporca.

Ma la domanda è questa: la cordata messa insieme con urgenza dal cardinale tra luglio e settembre 2011, un anno prima che Robledo venisse brutalmente stoppato da Bruti Liberati, ha ottenuto da qualcuno la garanzia di non finire nei guai giudiziari? Malacalza in proposito dichiara che assunse la carica di consigliere della Fondazione San Raffaele con l’ovvio proposito, effettivamente rispettato finché ha rivestito la carica, di attenersi rigorosamente, come è suo costume, a regole di legalità e correttezza; nessuna assicurazione di protezione – che nessuno peraltro mai gli diede – lo avrebbe potuto indurre a derogarvi.

 

 

 

 

 

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