Massimo Malpica per “il Giornale”
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Cinquemila tra ristoranti e bar, dal locale di lusso alla trattoria fino alla catena in franchising, e un giro d'affari che sfiora i 16 miliardi di euro, con una crescita del 10 per cento rispetto allo scorso anno. Numeri lusinghieri, e proprio per questo preoccupanti.
Perché si riferiscono agli «investimenti» delle mafie nell'agroalimentare e nella ristorazione italiana, un business legale di copertura a cui le organizzazioni criminali guardando con sempre maggiore interesse, stando ai numeri snocciolati dal terzo rapporto agromafie di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e nel sistema agroalimentare presentato ieri.
La penetrazione di mafia, 'ndrangheta e camorra in una delle eccellenze del Paese è insomma un fenomeno in preoccupante crescita negli ultimi anni, anche «grazie» alla crisi economica. La criminalità organizzata può infatti contare su ingenti capitali provenienti dai suoi affari illeciti, giocando sul campo della ristorazione una partita truccata rispetto ai competitor «legali» alle prese con il difficile momento dell'economia.
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I 5mila ristoranti in odor di mafia, invece, possono prosperare anche in congiunture difficili, e addirittura espandersi per facilitare le attività di riciclaggio del denaro «sporco» guadagnato dalla struttura meramente criminale che li controlla. Tra gli ultimi trend, rilevati dal rapporto sulle Agromafie, c'è appunto l'apertura di franchising, con filiali sparse non solo in Italia ma anche in tutto il mondo.
Naturalmente c'è chi preferisce diversificare. Come Cosa Nostra, che sembra privilegiare l'acquisto o la creazione di aziende agricole e attività legate alla grande distribuzione alimentare, tra centri commerciali e supermercati, mentre la Camorra concentrerebbe i suoi investimenti soprattutto in bar e ristoranti.
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Insomma, le attività di copertura della criminalità coprono buona parte della filiera dell'agroalimentare, per un giro d'affari complessivo per l'Agromafia di circa 15,4 miliardi di euro. Tra i settori più a rischio, appunto, la ristorazione, con una stima di oltre cinquemila locali controllati dalle organizzazioni criminali che lo considerano «uno dei settori maggiormente appetibili».
Il livello di contaminazione ha anche altri aspetti critici. Come ricorda il rapporto sulle Agromafie, infatti, «la frequenza con cui si verificano questi fatti si accompagna a un cambiamento culturale: fare affari con esponenti delle organizzazioni mafiose viene spesso considerato “normale”, inevitabile se si vuole sopravvivere».
E «inevitabile» finisce per essere considerato anche «non rispettare regole percepite come ingiuste, soffocanti per chi gestisce un'azienda, a cominciare dalla pressione fiscale».
Sono dunque i tavoli dei ristoranti gli ultimi «schermi “legali” - spiega ancora lo studio - dietro i quali si cela un'espansione mafiosa sempre più aggressiva e sempre più integrata nell'economia regolare».
Integrata e capace, se è vero che le mafie italiane «si muovono ormai come articolate holding finanziarie, all'interno delle quali gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all'origine dei capitali».
Individuarne le attività è insomma difficile, anche perché l'intero mondo della ristorazione è a rischio. E nemmeno la dislocazione geografica è un discrimine per le organizzazioni criminali che intendono riciclare i propri soldi sporchi: le migliaia di ristoranti sotto controllo mafioso non sono solo al Sud, ma si trovano in tutte le regioni italiane, sia nelle grandi città che nei piccoli centri della provincia.