Alberto Mattioli per “la Stampa”
Tutti d' accordo: per Matteo Salvini, il 2015 è stato un anno d' oro. Certificato dai risultati elettorali, per cominciare. Alle regionali, trionfo di Zaia in Veneto (23%, compresa la sua lista ad personam e nonostante la scissione di Tosi), vittoria dell' alleato Toti in Liguria (con la Lega al 20%), risultati un tempo impensabili sotto la linea Gotica (Lega al 16% in Toscana, al 14 in Umbria, al 13 nelle Marche) che fanno il paio con il favoloso 19 e rotti conquistato nel 2014 nell' Emilia già rossissima.
Giusto per fare un paragone: alle ultime politiche, nel 2013, la Lega devastata dagli scandali del bossismo terminale si era fermata al 4%, e nessuno avrebbe scommesso sul suo futuro, a parte forse nelle valli più remote della Padania profonda.
La popolarità
E invece Salvini è riuscito a diventare uno dei politici più popolari (e anche più detestati, che è poi il rovescio della stessa medaglia). Spararle grosse paga, certo. Ma non è solo questo. La giovane squadra che guida la macchina da guerra mediatica del «Capitano» sa usare con spregiudicata efficienza i social (più di un milione e 200 mila «mi piace» su Facebook), mentre lui ci mette la faccia tracimando dal piccolo schermo a tutte le ore e da tutti i canali.
In tivù, oggettivamente, «il Matteo giusto» funziona: è diretto, aggressivo, per nulla diplomatico, popolare, populista, un po' rozzo. E piace appunto per questo. Sta all' eufemismo come Di Pietro al congiuntivo.
SALVINI DAVANTI ALLA SEDE DI BANCA ETRURIA
La popolarità è stata cementata da iniziative pop, discusse e discutibili finché si vuole, che però servono a raccontare un Salvini «diverso» dagli altri politici. Tipo la famigerata copertina di Oggi, con lui desnudo a letto, coperto solo da una cravatta verde: se n' è parlato molto, e più male che bene, ma l' importante è appunto che se ne sia parlato. O anche la relazione, prima negata poi ammessa e infine pare finita con la stellina tivù Elisa Isoardi. Tutto fa brodo, insomma.
Però i successi tattici non portano necessariamente a vittorie strategiche. Le prossime scadenze elettorali mostrano bene i punti deboli di Salvini. Il primo è che la Lega, nonostante i tentativi di trasformarla in un partito «nazionale» sul modello del Front francese, resta un movimento nordista o, al massimo, centrosettentrionale. Il 2,29% preso alle regionali pugliesi da «Noi con Salvini» è molto di più di quel che si poteva immaginare anche solo un anno fa, ma molto meno di quel che serve per contare davvero da Firenze in giù.
Il problema delle alleanze Poi c' è il problema delle alleanze. Da soli, è chiaro, non si vince. Per avere qualche possibilità alle incombenti amministrative, specie a Milano, occorre che il centro-destra si presenti unito. E qui siamo in alto mare.
Perché se i rapporti con la Meloni sono buoni, è difficilissimo trovare la quadra con un Berlusconi che cambia politica tre volte al dì e con una Forza Italia ormai implosa, dove si gioca al tutti contro tutti, e che in ogni caso non sembra disposta a seguire la Lega sul terreno dell' opposizione pura e dura a Renzi.
Senza contare il problema dell' Ncd: «Mai con il traditore Alfano», ripete Salvini un giorno sì e l' altro pure. Però, per esempio, l' Ncd fa parte della maggioranza che sostiene Maroni in Lombardia, quindi a Milano che si fa: ci si allea o lo si lascia fuori, scatenando prevedibili rappresaglie in Regione?
La Lega è in salute, ma il centro-destra non si sente troppo bene. E qui per Salvini si apre un altro dilemma, il più importante: l' estremismo porta visibilità e voti, ma per lanciare l' Opa sui moderati, provare davvero a vincere le elezioni e porsi l' obbiettivo di governare, misurare temi e toni è indispensabile. Così, per lui il 2016 sarà l' anno della sfida più difficile: moderarsi.