QUIRINAL-MAKER - MACCHÈ DELEGATI: IL NUOVO PRESIDENTE LO DECIDONO RENZI E BERLUSCONI, POI DRAGHI, OBAMA E MERKEL - PER CHI TIFANO IL VATICANO, LE TOGHE, I POTERI DEBOLI

Marco Damilano per “l’Espresso”

 

NAPOLITANO RENZI 
GENTILONI 
NAPOLITANO RENZI GENTILONI

Chi elegge il presidente della Repubblica italiana è chiaro. Il Parlamento in seduta comune dei suoi membri più tre delegati per ogni regione (la Valle d’Aosta ha un solo delegato), recita l’articolo 83 della Costituzione. I 1009 Grandi Elettori pronti a partecipare al conclave repubblicano dell’aula di Montecitorio, dopo che Giorgio Napolitano ha formalizzato le sue dimissioni il 14 gennaio. Un club esclusivo e molto ambito, è la prima volta nella storia che lo stesso Parlamento elegge due presidenti.

 

COSSIGA E NAPOLITANO COSSIGA E NAPOLITANO

Ma i veri kingmakers, a dispetto della Costituzione, vanno cercati fuori dalla platea di chi depositerà materialmente la scheda nell’urna (l’insalatiera) con il nome del candidato prescelto. Le cancellerie internazionali, le ambasciate che contano, il dirimpettaio del Colle più alto (il Vaticano), i gruppi di pressione finanziari, economici, sociali, di cui parlava il giornalista Vittorio Gorresio già nel 1971 nel suo classico “Il sesto Presidente”, cui vanno aggiunti quelli editoriali. Ma mai come in questo caso la scelta del nuovo presidente sarà affidata interamente (o quasi) a soggetti extraparlamentari. A partire dal leader più importante.

 

MATTEO DECIDE MA NON VOTA

napolitano andreotti cossiga prodi napolitano andreotti cossiga prodi

Il candidato, chiunque egli sia, sarà scelto dal segretario del partito di maggioranza, il Pd. È sempre stato così, anche se solo in un caso il capo del partito più forte è riuscito a far eleggere il suo nome: nel 1985 il segretario della Dc Ciriaco De Mita con Francesco Cossiga.

 

Tutti gli altri hanno mancato l’obiettivo e sono stati obbligati a trattare con le minoranze interne, qualche volta ci hanno rimesso il posto: Arnaldo Forlani nel 1992, Pier Luigi Bersani nel 2013. Matteo Renzi è il leader del Pd, è il presidente del Consiglio, vuole scrivere tramite l’elezione del successore di Napolitano una indiretta riforma istituzionale, togliere all’inquilino del Quirinale quel ruolo di «uomo-organo con essenziali funzioni di guida e di custodia e di intervento» (Gorresio) che ha ricoperto in modo particolare negli ultimi settennati. E restituirlo a Palazzo Chigi, al premier, cioè a lui.

Bersani_Bersani_

 

Per questo nelle liste sfornate dagli uomini del premier ci sono molti nomi di secondo piano. Uno vale uno, come recitava lo slogan di Beppe Grillo, purché non oscuri il premier. Renzi è il primo dei Grandi Elettori, ma dovrà seguire il voto in televisione. Non è deputato e non potrà votare. Nel 2013, quando era sindaco di Firenze, il Pd locale rifiutò di eleggerlo come delegato regionale della Toscana.

 

Adesso farebbero a gara per omaggiarlo, ma non si può. Renzi resterà fuori dal Conclave, è un king-maker extraparlamentare. E sarà il primo presidente del Consiglio in quasi settant’anni a non votare per il presidente della Repubblica. Come un allenatore costretto a restare in tribuna. Poco male, potrà contare su antenne robuste, il sottosegretario Luca Lotti che ha incaricato alcuni selezionatissimi giovani deputati di marcare stretto i colleghi, specie i più ribelli: l’aretino Marco Donati e il forlivese Marco Di Maio.

 

IL GARANTE DEL NAZARENO

bersani renzi bersani renzi

Il secondo Grande Elettore è, come Renzi, un extra-parlamentare. Suo malgrado; nel 2013 votò la rielezione di Napolitano, sette mesi dopo fu espulso dal Senato dopo la condanna giudiziaria. Silvio Berlusconi è il contraente debole del Patto del Nazareno che compie un anno giusto di questi tempi. Era il 18 gennaio quando l’ex premier accompagnato da Gianni Letta entrò nella sede del Pd di largo del Nazareno per stipulare il patto delle riforme con il neo-segretario. Le riforme sono ancora in corso, intanto Renzi si è trasferito a Palazzo Chigi. Per dodici mesi i due non hanno smesso di parlare della successione a Napolitano. Arrivando a un paio di punti fermi.

 

VELTRONI VERSIONE PRESENTATORE LA VERSILIANA VELTRONI VERSIONE PRESENTATORE LA VERSILIANA

«Silvio voterà il candidato che dico io», ha spiegato Renzi ai suoi interlocutori. «Chiunque gli dia la possibilità di ricandidarsi», aggiungono i berlusconiani, senza troppa convinzione. Due anni fa, nel 2013, il Cavaliere ancora leader del Pdl convocò alla vigilia del voto per il Quirinale una oceanica manifestazione a Bari. Pullman da ogni angolo della Puglia, torpedoni numerati, Mesagne, Maglie, Gallipoli, Lecce 25, Lecce 26, Lecce 27... L’escort Patrizia D’Addario nelle vie laterali. «Con Prodi presidente ci toccherebbe andare tutti all’estero», minacciò dal palco l’uomo di Arcore.

 

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A fare il resto ci pensarono sei giorni dopo i 101 franchi tiratori del Pd. A riempire di folla quella piazza era stata la macchina organizzativa del pugliese Raffaele Fitto che ora Berlusconi considera il suo principale nemico. E oggi l’ex Cavaliere ha un drammatico bisogno di restare nel gioco. A tenere i rapporti con i candidati del Pd per conto di Silvio ci pensa Gianni Letta che il Cavaliere vorrebbe come segretario generale del Quirinale accanto all’Eletto. Il presidente sarebbe il garante del Patto, Letta farebbe il garante del garante. Si troverebbe perfettamente a suo agio con l’amico Walter Veltroni.

 

SILVIO BERLUSCONI GIANMANCO E AUGUSTO MINZOLINI SILVIO BERLUSCONI GIANMANCO E AUGUSTO MINZOLINI

Ma anche con Anna Finocchiaro e con Sergio Mattarella. A sorpresa, negli ultimi mesi, c’è stata una ripresa di contatti anche con Romano Prodi. La commemorazione di Enrico Micheli a Terni, qualche telefonata cordiale. E per ora il veto di Berlusconi su Prodi non si è ripetuto. Anzi, alcuni forzisti, a partire da Augusto Minzolini, sono convinti che l’unico presidente in grado di riabilitare il condannato di Arcore sia proprio il super-nemico Prodi.

 

Come dimostra il processo di Napoli sulla compravendita dei senatori in cui è imputato Berlusconi. Prodi, presidente del Consiglio all’epoca e vittima dei passaggi di campo da sinistra a destra che fecero cadere il suo governo, ha depositato da testimone ma ha rinunciato a costituirsi parte civile, rifiutando di trasformare in contesa giudiziaria una questione politica. Mentre un altro papabile, il sindaco di Torino Piero Fassino, ha trascinato Berlusconi in tribunale per la pubblicazione sul “Giornale” della intercettazione non trascritta su Unipol in cui il segretario dei Ds esclamava: «Abbiamo una banca!». Ha chiesto in risarcimento un milione, ha ottenuto 80mila euro.

MARIO DRAGHI E SIGNORA MARIO DRAGHI E SIGNORA

 

VISTA DALL’EUROTOWER

C’era una volta il quarto partito, così lo chiamava Alcide De Gasperi agli albori della Repubblica, «il partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica». Ieri era la Banca d’Italia, Mediobanca, la Confindustria, oggi il potere di influenzare le scelte politiche si è trasferito a Francoforte dove regna il presidente della Banca centrale europea, l’italiano Mario Draghi. Considerato un possibile candidato, temuto da Renzi che lo aveva incontrato in estate a Città della Pieve, in privato ha sempre ammesso di non sentirsi adatto a un ruolo che richiede capacità di rapporto con la gente. In pubblico, con un’intervista al quotidiano tedesco “Handelsblatt”, si è ufficialmente tirato fuori dalla corsa, ma Draghi resta un Grande Elettore.

carlo fuortes pier carlo padoan e consortecarlo fuortes pier carlo padoan e consorte

 

Nel 2013 fu determinante per convincere Napolitano a non dimettersi prima del tempo e a favorire indirettamente la sua rielezione. Oggi guarda con simpatia i nomi che come lui provengono dalla filiera economica: il ministro Pier Carlo Padoan, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco. Con Prodi c’è una consuetudine che risale ai tempi in cui il Professore era presidente dell’Iri e Draghi nel cda. Tutto si gioca tra il 22 e il 25 gennaio: la riunione della Bce in cui il presidente proverà a forzare le resistenze tedesche sull’acquisto dei titoli di Stato e poi le elezioni greche. Un’eventuale nuova tempesta monetaria farebbe salire le quotazioni del candidato di Draghi, un presidente economicamente strutturato.

giovanni gronchi moglie fi maria cecilia 1955 lapgiovanni gronchi moglie fi maria cecilia 1955 lap

 

IL PRESIDENTE DI ANGELA

La Germania ha sostituito le altri grandi potenze nel potere di influenzare le scelte della politica italiana. Se la Merkel potesse scegliere metterebbe al Quirinale Draghi perché rimuoverebbe un interlocutore fastidioso a Francoforte, spiegano gli osservatori tedeschi in Italia. Gli altri candidati conosciuti in Germania sono Mario Monti, il più tedesco dei politici italiani, Prodi, amico personale di Helmut Kohl e feroce critico della cancelliera. Ma le preferenze vanno a Fassino, considerato quasi come un socialdemocratico amburghese.

 

QUANTO CONTA OBAMA

obama napolitano obama napolitano

Finiti i tempi in cui i presidenti della Repubblica si eleggevano nell’ambasciata americana di via Veneto o a Villa Taverna e l’ambasciatrice Claire Booth Luce litigava con Giovanni Gronchi. Gli Usa di Obama sono distanti dalla vecchia Europa, come dimostra l’assenza dalla manifestazione anti-terrorismo di Parigi. E il cambio della guardia è considerato un normale avvicendamento, se non fosse per il rapporto che lega Obama a Napolitano. «Il presidente Obama ha ringraziato Napolitano per la sua leadership di primissimo piano e ha sottolineato come abbia contribuito in maniera determinante alla politica e al benessere economico dell’Italia, a beneficio dell’Europa e della comunità transatlantica», si leggeva nel report della Casa Bianca dopo l’ultima telefonata tra i due presidenti.

NAPOLITANO OBAMA NAPOLITANO OBAMA

 

Agli americani, in questa stagione burrascosa, piacerebbe un politico di primo piano al Quirinale. Gli aspiranti sono di casa in via Veneto: il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il ministro della Difesa Roberta Pinotti, Fassino («il più intelligente di tutti», per l’ambasciatore Usa di George Bush Thomas Foglietta) che vanta ottimi rapporti con Israele. Più amico di tutti, l’americano della politica italiana, Walter Veltroni, che ha celebrato il matrimonio dell’anno George Clooney-Amal Alamuddin e ha una figlia che vive e lavora a New York.

 

A MOSCA! A MOSCA!

Nel 1971 Gorresio paragonò alle tre sorelle di Anton Cechov e al loro desiderio di trasferirsi nella capitale russa Amintore Fanfani e Aldo Moro, i candidati democristiani al Quirinale che volavano in Unione sovietica sperando di conquistare i voti del Pci. «Chi viaggia a Mosca per lusingarci non ha imparato nulla dall’esperienza», si sdegnò il capo della destra comunista Giorgio Amendola.

VLADIMIR PUTIN E ROMANO PRODIVLADIMIR PUTIN E ROMANO PRODI

 

Quarant’anni dopo, specularmente, è toccato a Vladimir Putin finire coinvolto tra i grandi elettori-ombra del Quirinale dopo il recente incontro di oltre un’ora al Cremlino con Prodi. I capi del Pcus mettevano una buona parola sui candidati italiani filo-sovietici con il partito fratello di Botteghe Oscure, l’ex agente del Kgb è stato chiamato in causa come sponsor del Professore presso Silvio Berlusconi. Già due anni fa l’uomo del Cremlino sondò Prodi: «Mi dicono che diventerai presidente della Repubblica». «No», rispose il Professore, «il tuo amico non vuole».

 

IL TEVERE PIÙ LARGO

NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE

Fino al 1846, il papa veniva eletto in conclave nel palazzo del Quirinale, residenza dei pontefici. E anche in era repubblicana l’intreccio tra i due colli, il Vaticano e il Quirinale, è rimasto molto stretto. Il papa italiano dedicava particolare cura alla scelta del nuovo Capo dello Stato. Nel 1964 Paolo VI intervenne personalmente per costringere Fanfani a ritirarsi dalla corsa. Con il messo papale, monsignor Franco Costa, il candidato sbottò inviperito: «Riferisca a chi la manda che se Lui continua a pretendere di insegnare a me come mi debbo regolare, io verrò a prendere la parola in Concilio per insegnare come si deve dire la messa».

 

NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE

Negli ultimi anni il presidente laico Napolitano ha trovato una straordinaria sintonia con i papi Ratzinger e Bergoglio. Oggi il Vaticano di papa Francesco appare totalmente disinteressato sulle cose italiane, ma continua a incidere e gli effetti si vedono. Fine del veto ecclesiastico contro Prodi, il “cattolico adulto” che aveva disubbidito al cardinale Camillo Ruini.

 

Solo nell’ultimo anno il Professore è stato intervistato dal quotidiano della Cei “Avvenire” almeno quattro volte, più di tutto il ventennio precedente, ha ricevuto una laurea honoris causa in Vaticano e ha partecipato a diversi convegni dei gesuiti. In crescita nel sacro collegio ci sono gli allievi del cardinale Achille Silvestrini, come il neo-porporato vescovo di Ancona Edoardo Menichelli. E un cattolico potrebbe tornare sul Colle: Mattarella o l’emiliano Pierluigi Castagnetti, bergogliano per stile informale. E per accortezza politica.

NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE NAPOLITANO RICEVE PAPA FRANCESCO IN QUIRINALE FOTO LAPRESSE

 

POTERI DEBOLI

Qualcuno lo vorrebbe direttamente al Quirinale: l’amministratore delegato di Fca (l’ex Fiat) Sergio Marchionne. Ma l’uomo con il maglioncino conferma la lontananza dalla politica italiana. «Normalmente non leggo il “Corriere”», rispose a chi gli chiedeva di commentare l’editoriale contro Renzi firmato dal direttore Ferruccio De Bortoli. Eppure quelle due colonne del 24 settembre sulla prima pagina del “Corriere” continuano a rappresentare il concentrato di tutte le diffidenze che suscita il premier nel salotto buono della borghesia del Nord: «Renzi non può pensare di fare tutto da solo», si leggeva.

 

«Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica? Sarebbe opportuno conoscerne i contenuti. Liberandolo da vari sospetti e dallo stantio odore di massoneria». De Bortoli citava l’unico ministro da salvare: «l’ottimo Padoan». Candidato al Quirinale, fino alla manina che ha inserito nel decreto fiscale la norma salva-Berlusconi. Del grande vecchio di Rcs e Intesa-San Paolo, Giovanni Bazoli, è nota l’amicizia con Prodi, ma anche con Castagnetti che nel 1999 provò a convincerlo a entrare in politica contro Berlusconi.

raffaele cantoneraffaele cantone

 

I magistrati? Tifano per una toga: Pietro Grasso o Raffaele Cantone. I militari e i carabinieri per una donna: il ministro Pinotti. I sindaci per il loro presidente (all’Anci), Fassino. Il vasto partito Rai e l’influente partito Sky per Veltroni (in arrivo il suo secondo film, recitato da bambini) così come il presidente del Coni Giovanni Malagò. Le banche per l’uomo della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini. E la massoneria? In sonno. All’apparenza.

 

PER CHI VOTA TWITTER

Nella Prima Repubblica i candidati si azzoppavano con una campagna stampa. Spettacolare quella del “Manifesto” nel 1971 contro Fanfani con la pubblicazione dei suoi scritti in epoca fascista, Antologia fanfaniana. Nel 2013 hanno fatto irruzione i social network. Le quirinarie del blog di Beppe Grillo, con in testa Milena Gabanelli e Stefano Rodotà. E il diluvio di tweet spinse i giovani deputati Pd a bocciare la candidatura di Franco Marini.

 

milena gabanelli blumilena gabanelli blu

Tra le più rapide a far rimbalzare i suoi 140 caratteri di dissenso Debora Seracchiani: «Marini sarebbe una scelta gravissima, la vittoria della conservazione». Chissà se da numero due del Pd la pensa ancora così. Anche nelle prossime settimane twitter sarà un grande elettore. Al punto che c’è già chi chiede ai parlamentari di spegnere i telefonini: «Dovrete resistere a twitter, il Capo dello Stato non si sceglie con i social network». Parola di uno che con i cinguettii, notoriamente, non ha nulla a che fare. Renzi.

 

IL RITORNO DI RE GIORGIO

CRAXI E GIULIANO AMATO 4CRAXI E GIULIANO AMATO 4

Tra tanti poteri extra-parlamentari c’è chi torna tra i mille grandi elettori dopo nove anni. È il senatore a vita Napolitano. Potrà entrare in aula, accanto ai grillini che lo hanno contestato, e votare per il suo successore, come nella storia ha fatto solo Giovanni Leone con Sandro Pertini (Cossiga non votò per Oscar Luigi Scalfaro). Le preferenze vanno a un uomo di esperienza internazionale (Padoan? Visco?), con «il senso della Costituzione» (Sabino Cassese? Mattarella?). E in continuità con la sua presidenza (Giuliano Amato?). Di certo il parere di Re Giorgio l’Emerito conterà molto. Più di tutti gli altri.

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