RENZI, TUTTO MARKETING E DISTINTIVO - IL PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DI FERROVIE, POSTE, ENI E COSI’ VIA AVVIATO DA LETTA E ORA IN MANO A RENZIE E’ UN FALLIMENTO: DEI 12 MILIARDI PREVISTI NON E' STATO INCASSATO ANCORA 1 EURO

Alessandro Barbera per ‘La Stampa

 

RENZI RENZI

La parte più difficile del lavoro è sempre quella che si nota meno. Le privatizzazioni, ad esempio, questione delicata agli occhi di chi sui mercati giudica il tentativo italiano di ridurre il debito pubblico.
 

Il governo ne ha promesse per 12 miliardi quest’anno, dodici nel 2015, ancora dodici nel 2016. Le più importanti sono la cessione di Enav (fino al 49 per cento) e di Poste (fino al 40), programmate l’anno scorso dal governo Letta e da attuare entro dicembre. Il decreto che le renderà possibili è dovuto passare dal consiglio dei ministri, dal parere delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato, ripassare una seconda volta da Palazzo Chigi.

MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN

 

Ora il Tesoro ha nominato gli advisor per la vendita della prima ma l’assemblea che dovrebbe nominare il nuovo consiglio di amministrazione è già stata rinviata tre volte. A Palazzo Chigi e al Tesoro finora hanno avuto altre priorità. Per Poste i tempi si annunciano ancora più lunghi, e benché al Tesoro promettano fatti concludenti entro l’autunno nessuno in azienda crede più che la prima tranche delle azioni possa essere collocata sul mercato in così poche settimane.
 

Il problema è che a Bruxelles c’è chi passa le giornate a verificare l’attuazione delle misure promesse via via dall’Italia. Alla voce privatizzazioni il cronoprogramma è a dir poco in ritardo: dei dodici miliardi promessi quest’anno non abbiamo incassato ancora un euro. Abbiamo promesso la cessione di una piccola quota (peraltro alla stessa società) di Eni, e poi StMicroelectronics, ma anche - attraverso la Cassa depositi e prestiti - un pezzo di Sace, di Cdp Reti, del metanodotto Tag, le quote in mano a Ferrovie delle due società che gestiscono gli spazi commerciali delle stazioni italiane. L’unica privatizzazione a buon punto è quella di Fincantieri.

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Ma persino in questo caso non c’è di che gioire: l’accoglienza tiepida degli investitori istituzionali ha convinto il Tesoro a ridurre di un terzo l’offerta di azioni per il mercato. Sono in grave ritardo - e non è la prima volta - le vendite degli immobili: la legge di Stabilità approvata alla fine dell’anno scorso prometteva entro fine febbraio un programma per la vendita di caserme per almeno 500 milioni di euro. Ebbene, di quel programma non c’è ancora traccia.
 

Al ministero spiegano che al lavoro c’è una task force di militari voluta dalla Pinotti, che i Comuni sono un pezzo del problema, ma fatto salvo l’accordo firmato con Firenze finora si è perso tempo. Non solo: al Tesoro non è ancora pienamente operativa Invimit, la società voluta dal governo Monti che dovrebbe rendere più agevole la vendita degli immobili dei Comuni.

 

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Sperano di rimuovere al più presto dall’incarico Vincenzo Fortunato, il potente ex capo di gabinetto al Tesoro che - a detta di alcuni - avrebbe contribuito a rallentare le procedure. Insomma, mentre l’Europa ci bacchetta sul rispetto del pareggio strutturale, il parametro decisivo ai fini di una valutazione per la discesa del debito, non riusciamo a dare un segnale tangibile di riduzione del perimetro dello Stato.
 

Padoan e i suoi vice ne sono consapevoli, per questo in settimana è programmata una riunione nella quale si discuterà di come accelerare. Del resto siamo già a luglio, ed è tempo di pensare a come impostare la legge di Stabilità da presentare a settembre. Nei cassetti ci sono già i progetti per la cessione di società più appetibili di quelle scelte finora. La prima è Trenitalia, che verrà scorporata dalla rete ferroviaria e privatizzata almeno per il 49 per cento.

 

VINCENZO FORTUNATO SCUOLA ECONOMIA VINCENZO FORTUNATO SCUOLA ECONOMIA

Poi c’è il progetto di vendere quote consistenti delle società energetiche finora considerate intoccabili: Eni, Enel e Terna. «Per tutelare gli interessi strategici del Paese non c’è bisogno di possedere quote rilevanti come quelle che abbiamo tuttora», spiega una fonte di governo che chiede di non essere citata. Lo Stato possiede ancora il 30 per cento di tutte e tre, direttamente o indirettamente attraverso la Cassa depositi e prestiti.
 

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