1.LO SFOGO E IL PRESSING LOTTI-GUERINI “LASCIA,IL PD HA GIÀ TROPPI FRONTI”
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
È vero che Matteo Renzi non ha chiesto le dimissioni di Francesca Barracciu. Nel senso che non ha chiamato lui la ex sottosegretaria ai Beni culturali subito dopo il rinvio a giudizio per peculato, una vicenda legata ai rimborsi spese regionali. Ma una telefonata è partita da Palazzo Chigi. E un’altra, poco dopo, è arrivata da Largo del Nazareno.
Insomma, Barracciu non ha opposto resistenza ma ha provato a esprimere le sue ragioni, a capire quali erano i margini per rimanere al suo posto nell’esecutivo. «Non c’entro niente e lo dimostrerò». Non è bastato perché il futuro è adesso, in questo caso. O meglio, non è bastato ai suoi due interlocutori.
La prima telefonata l’ha fatta Luca Lotti, braccio destro del premier. Il sottosegretario alla presidenza conosce benissimo il caso Barracciu. Anzi, si può dire che l’ha gestito lui. Fin dall’inizio. Toccò a Lotti, appena nominato responsabile organizzativo del Pd renziano, volare in Sardegna per disinnescare la mina di una candidata alle primarie per la presidenza della Regione indagata proprio per le spese regionali. Lotti si mise alla prova come uomo macchina (e di partito) e vinse la sfida.
Risolse la grana con un viaggio di due giorni a Cagliari. Barracciu rinunciò alla sua corsa, spianò la strada a Francesco Pigliaru che poi vinse il confronto con il centrodestra. Allora i due, Lotti e Barracciu, si lasciarono con la promessa di una “compensazione” futura che arrivò al momento della formazione del governo Renzi. Alla dirigente sarda fu assegnata una poltrona al ministero dei Beni culturali. Una nomina difesa pubblicamente, insieme con quella di altri tre sottosegretari indagati, sulla base del principio garantista.
Maria Elena Boschi si espose addirittura in aula, alla Camera, durante il question time difendendo i sottosegretari sotto inchiesta.
Il garantismo in questa occasione ha lasciato il passo ai “motivi di opportunità”, alla considerazione, come ha spiegato Lotti durante il colloquio telefonico, che «un rinvio a giudizio è diverso dall’avviso di garanzia ».
La Barracciu ha risposto di sentirsi «vittima di un’ingiustizia », che non era giusto lasciare il lavoro per una vicenda che non scalfirà la sua innocenza. Non era contenta delle parole del braccio destro di Renzi, non era contenta dell’esito processuale, ma ha capito che non poteva rimanere al suo posto.
L’altra telefonata è arrivata dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini. Un colloquio altrettanto lungo, lo sfogo della sottosegretaria, gli argomenti a sostegno delle sue dimissioni esposti da Guerini mentre i dem sono già alle prese con altri fronti aperti, da Ignazio Marino alle possibili conseguenze della sentenza della Consulta sulla legge Severino che investiranno il governatore De Luca (con tempi tutt’altro che brevi).
Non c’è mai stata una vera resistenza da parte della sottosegretaria. Mai un accenno a barricate in nome del garantismo e di precedenti prese di posizione di esponenti del governo, a partire da Renzi, sul fatto che la Costituzione considera colpevole solo un cittadino condannato in via definitiva. Perchè poi c’è la politica, ci sono i momenti particolari. Nè Lotti nè Guerini hanno dovuto fare la voce grossa o minacciare chissaché. Hanno illustrato la loro posizione, Barracciu ha capito.
Sono arrivati, dopo, gli attestati di stima, il riconoscimento «sincero» di una sensibilità istituzionale, le parole di elogio di Matteo Renzi in televisione. È stata alla fine, secondo il racconto dei protagonisti, una «presa d’atto» in una vicenda in cui, da subito, il governo aveva fatto sapere di poter difendere la posizione della dirigente dem fino all’avviso di garanzia. Non oltre. Così è stato.
2. I PM E I CONTI NON CHIARITI “CONTRADDIZIONI,BUGIE E 3.600 EURO AL FIDANZATO”
Mauro Lissia per “la Repubblica”
Solo una piccola quota degli 81 mila euro pubblici che Francesca Barracciu ha speso nell’arco dei due mandati da consigliere regionale, la somma che la Procura le contesta come peculato, ha un riscontro documentale: sono i 3600 euro che il primo febbraio 2010 escono dal conto del gruppo Pd in cui militava l’ex europarlamentare e finiscono in quello della Evolvere srl. Si tratta di una società con sede a Cagliari che fa capo all’imprenditore Mario Luigi Argentero, il compagno dell’ex sottosegretaria ai beni culturali.
Evolvere si dovrebbe occupare di formazione professionale ma quei 3000 euro più Iva risultano essere il saldo di un servizio di buffet organizzato a conclusione di un seminario politico. Peccato che a leggere le carte del procedimento il seminario non si sia mai svolto, quindi neppure il buffet.
Di quella società la stessa Barracciu era stata amministratore unico fino al 30 settembre 2004, per dimettersi non appena eletta alla massima assemblea dell’isola.
Solo sospetti invece sull’uso dei 77.293 euro richiamati nel capo d’imputazione firmato dal pm Marco Cocco che ha condotto il giudice Lucia Perra a disporre il giudizio con l’accusa di peculato aggravato e continuato. La somma va divisa in due parti, per i primi 33.085 euro incassati attraverso il gruppo Pd la Barracciu è stata interrogata dal magistrato e ha spiegato di averli spesi in carburante: «Era indispensabile – ha detto al pm – illustrare costantemente agli elettori sul territorio i provvedimenti in gestazione e io sentivo l’obbligo politico di far comprendere all’esterno le nostre iniziative».
Pur di realizzare l’obiettivo tra il 2006 e il 2008 la consigliera avrebbe percorso al volante della propria automobile 65.597 chilometri. Solo che al momento di indicare nel dettaglio a quali incontri e convegni avesse partecipato, il 14 marzo 2014 la Barracciu ha consegnato al magistrato una corposa memoria che ha finito per peggiorare la propria situazione giudiziaria: incrociando le date sulle presenze in consiglio regionale con quelle degli incontri politici la polizia giudiziaria ha scoperto che spesso coincidevano, come se l’onorevole si fosse sdoppiata.
Non solo: stando ai tabulati della sua carta di credito la Barracciu è risultata essere per due volte all’estero, in viaggio di piacere, anziché in Sardegna. Insomma, un pasticcio difensivo che l’ex onorevole ha provato a risolvere cercando testimoni. Agli atti del procedimento c’è una telefonata al regista sardo Gianfranco Cabiddu, in cui chiede all’artista di ricordare di averla vista al festival del cinema di Tavolara nell’estate del 2006 e in quella del 2007.
Per il pm Cocco nient’altro che un tentativo di costruire prove difensive false, abbastanza per giustificare la richiesta di sospensione dall’esercizio della funzione pubblica che sarebbe costata alla Barracciu la poltrona di sottosegretaria fin dall’aprile del 2014.
Ma non abbastanza per il gip Giovanni Massidda, malgrado nell’ordinanza con cui ha respinto l’istanza della Procura il giudice abbia liquidato con poche ma chiare parole le giustificazioni della consigliera Pd: un evidente mendacio. Travolta dall’ironia del web per il dichiarato quanto incredibile consumo di carburante, la Barracciu ha cambiato in corsa gli avvocati difensori e si è rifugiata nel silenzio, scelta confermata anche all’udienza preliminare di ieri mattina. Così è rimasta inspiegata la spesa degli altri 44.208 euro che la Procura le contesta.
Se vorrà evitare una condanna dovrà farlo a partire dal 2 febbraio 2016, davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale. Perché la legge, che ha già portato alla condanna di cinque consiglieri regionali sardi, altri ottanta sono indagati con la stessa accusa di peculato, è piuttosto chiara: la Corte di Cassazione ha stabilito che ogni spesa compiuta con soldi pubblici dev’essere giustificata in modo “puntuale e coevo” e le uscite dei consiglieri devono essere ancorate strettamente a ragioni istituzionali.