LA STRAGE DELLE MATITE SPEZZATE - LA VITA SOTTO SCORTA DEI “GIULLARI” DI ‘CHARLIE HEBDO’: ERANO MINACCIATI DA QUANDO AVEVANO INIZIATO AD IRONIZZARE SU MAOMETTO - HOLLANDE: “SONO EROI MORTI PER L’IDEA CHE AVEVANO DELLA FRANCIA, CIOÈ LA LIBERTÀ”

“Figlio del Sessantotto e dell’irriverenza”, il giornale sparava su tutti i poteri: la politica (più a destra che a sinistra), l’Armée, la Chiesa. E ultimamente l’Islam - Nel 2011, dopo il numero speciale “Sharia Hebdo”, una molotov distrusse la redazione, il direttore Charb disse: “Meglio vivere in piedi che morire in ginocchio” - Quell’ultima vignetta profetica...

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Alberto Mattioli per “la Stampa

 

stephane charbonnier charb stephane charbonnier charb

Ieri sera, in place de la République gremita da 35 mila persone che si erano autoconvocate su Twitter con l’hashtag #jesuischarlie, «io sono Charlie», a un certo punto della veglia una donna ha alzato una matita. E subito si sono viste decine, centinaia e poi migliaia di mani fare lo stesso.

 

Messaggio chiaro: le matite contro i kalashnikov sono la ragione contro il fanatismo, la libertà contro l’intolleranza. «Ma bisognava farlo vedere, se no sarebbero morti invano», mi ha detto una donna che portava il badge «Je suis Charlie» sul soprabito. Poi si è messa a singhiozzare. 
 

Assassinati in redazione
Quelle che tutti sperano non siano morte invano sono le dodici persone assassinate ieri nella redazione di Charlie Hebdo, dov’era il giorno della riunione per decidere i contenuti del prossimo numero. 

 

georges wolinski georges wolinski

È stato l’11 settembre della stampa. Con un paradosso: che sono morti da martiri i giullari, che oggi fanno piangere quelli che hanno sempre fatto ridere. Charlie Hebdo era un settimanale di satira a fumetti, un po’ Linus e un po’ Cuore, con qualche scivolata sul Vernacoliere: talvolta volgare, spesso divertente, sempre irrispettoso. 
 

Firme senza nomi
Era (ed è) difficile collegarlo con una tragedia. Castigava i costumi, ma ridendo. E infatti le sue firme non avevano nome, a parte quello d’arte che si erano scelte: i morti ammazzati al grido di «Allah è grande» sono i disegnatori Charb, Cabu, Wolinski, Tignous, più l’economista e azionista Bernard Maris, che per i lettori era «l’oncle Bernard», lo zio Bernardo. Come si poteva prendere sul serio questa banda di zuzzurelloni, che non prendeva sul serio niente, e nemmeno se stessa? Eppure, come ha detto Hollande, sono «eroi morti per l’idea che avevano della Francia, cioè la libertà».
 

charlie hebdo charlie hebdo

Contro tutti i poteri
«Figlio del Sessantotto e dell’irriverenza», il giornale sparava su tutti i poteri, purché fossero costituiti: la politica (più a destra che a sinistra), l’Armée, la Chiesa. E ultimamente l’Islam. E qui sono cominciati i guai. Perché nel 2006 Charlie Hebdo aveva ripubblicato le vignette su Maometto che erano uscite sul giornale danese «Jyllands-Posten» e avevano suscitato l’ira globale del mondo islamico.

 

Il numero vendette 400 mila copie, il quadruplo del consueto, ma non tutti gradirono. L’allora presidente Jacques Chirac parlò di «manifesta provocazione», le organizzazioni dei musulmani francesi fecero causa (e la persero). Allora a firmare la querela fu Mohammed Moussaoui, che ieri era dal Papa e che ha condannato inorridito una strage che farà molto male anche all’Islam francese.
 

charb direttore di charlie hebdo charb direttore di charlie hebdo

L’attacco con molotov
«Charlie» tirò dritto perché, spiegava il suo direttore Charb, se si esclude dalla satira qualche soggetto perché fa paura, in quel momento muore la satira e, con lei, la libertà. Così nel 2011 il giornale uscì con un numero speciale dal titolo «Sharia Hebdo» e, di nuovo, Maometto in copertina. La risposta, nella notte fra l’1 e il 2 novembre, fu una molotov che distrusse la redazione. Charb si fece intervistare con il giornale in mano fra i detriti ancora fumanti e «Libération» mise a disposizione la sua redazione perché «Charlie» potesse uscire ancora (idem ieri: i media hanno offerto ai giornalisti di «Charlie», almeno a quelli ancora vivi, tutti i loro mezzi «umani e tecnici» perché possano lavorare ancora).
 

charb direttore di charlie hebdo charb direttore di charlie hebdo

Di nuovo nel mirino
Passò un anno, e nel ’12 «Charlie» finì ancora nel mirino. Aveva pubblicato delle vignette ispirate al film-bufala «L’innocenza dei musulmani», una misteriosa pellicola semiamatoriale che ottenne l’unico risultato (forse voluto) di scatenare proteste e violenze in mezzo mondo.

 

CHARLIE HEBDO CHARLIE HEBDO

All’epoca, sui social circolò l’invito a decapitare Charb. E pochi mesi dopo «Inspire», il magazine di Al Qaeda, mise il direttore di «Charlie» in una lista di nove nomi da eliminare, aperta da quello di Salman Rushdie. Loro, quelli di «Charlie», andavano avanti come sempre: ridendo. Ma era un riso amaro. Le minacce continuavano, con mail e telefonate anonime. Qui le testimonianze divergono. C’è chi sostiene che le intimidazioni stessero aumentando, chi invece che fossero meno violente. Probabilmente, la verità è che quelli di «Charlie» ci si erano abituati, come a vivere scortati. 
 

La vignetta profetica
Nell’ultimo numero in edicola, una vignetta di Charb suona sinistramente profetica. Sotto il titolo «Sempre nessun attentato in Francia», un tagliagole islamico armato di kalashnikov dice: «Aspettate, per fare gli auguri c’è tempo fine alla fine di gennaio». È lo stesso Charb che, intervistato dopo la molotov, disse: «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio».

 

 

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