SUICIDATO AL MOMENTO GIUSTO – IL GIUDICE ARGENTINO TROVATO MORTO CON UNA PALLOTTOLA NELLA TESTA OGGI AVREBBE DOVUTO TESTIMONIARE CONTRO LA KIRCHNER AL CONGRESSO – AVEVA DETTO: “DA QUESTA STORIA POTREI USCIRE MORTO”. APPUNTO

Per il ministro degli Interni ci sono “segni evidenti di un suicidio”, ma nessuno ricorda Alberto Nisman depresso. Indagava sulle coperture del governo argentino a una strage del 1994 per la quale sono sospettati gli iraniani. In ballo, accordi miliardari sul petrolio…

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1. ARGENTINA, MORTE DI UN GIUDICE SCOMODO

Rocco Cotroneo per il “Corriere della Sera

 

attentato del 1994 alla comunita ebraica argentina su cui indagava nisman attentato del 1994 alla comunita ebraica argentina su cui indagava nisman

«Da questa storia potrei uscirne morto», aveva detto pochi giorni fa il magistrato Alberto Nisman. «Ho avvisato mia figlia, su di me ne sentirai di tutti i colori», confidava in una intervista. Stamani al Congresso di Buenos Aires, commissione Giustizia, Nisman avrebbe dovuto presentare una delle più dure accuse possibili contro un capo di Stato: appoggio al terrorismo internazionale. Ma non potrà più farlo. 
 

Alla vigilia dell’udienza Nisman è stato trovato morto nel bagno del suo appartamento, con un unico foro di proiettile alla tempia destra. Lo ha visto per primo la madre, che aveva chiesto di sfondare la porta insospettita dal suo silenzio. La notizia ha scosso l’Argentina: è un giallo in più nel grande mistero Amia, l’inchiesta alla quale Nisman lavorava da un decennio. Chi decise di far saltare in aria la sede della comunità ebraica di Buenos Aires, il 18 luglio 1994, uccidendo 85 persone? 
 

alberto nisman alberto nisman

Il giudice riteneva da tempo di aver la risposta in tasca, fu un complotto ordito da funzionari dell’ambasciata iraniana eseguito da un kamikaze hezbollah. Ma altrettanto scottante è ciò su cui Nisman stava indagando negli ultimi tempi. Il governo argentino, Cristina Kirchner in testa, avrebbe fatto un patto con il diavolo, un accordo segreto con l’Iran tre anni fa. 
 

In cambio di forniture puntuali di petrolio, si sarebbe impegnato ad occultare le responsabilità di quel Paese nella strage. L’Argentina avrebbe avuto anche un accesso privilegiato al mercato iraniano per le sue esportazioni di grano e carne. 
Nisman viveva, da solo, in un bilocale al 13esimo piano di un palazzo a Puerto Madero, l’ex zona portuale di Buenos Aires riconvertita in quartiere elegante. Nell’atrio del condominio, ma non al piano, ben dieci uomini di scorta.

 

Lo studio ricolmo di carte e appunti, gli ultimi ritocchi alla relazione al Parlamento. In bagno, come ha detto sbrigativamente il ministro dell’Interno Sergio Berni, assai vicino alla Kirchner, «i segni evidenti di un suicidio: un corpo, una pistola, una cartuccia di proiettile, la porta chiusa dall’interno». Ma ci credono in pochi, pochissimi.

ALBERTO NISMAN ALBERTO NISMAN

 

Nisman era stanco ma assai motivato per la sfida alla Kirchner, aveva parlato a lungo con colleghi, amici e giornalisti senza destare sospetti di un crollo psicofisico, aveva fissato un paio di interviste per questa settimana. L’ipotesi più probabile è che il magistrato sia stato «suicidato». Ma da chi, e perché? Davvero il governo pensa che con la sua morte l’Irangate argentino si possa fermare? Chi ricorda tre casi simili avvenuti durante il decennio di Carlos Menem, e sempre legati a casi giudiziari, sostiene che in Argentina non bisogna stupirsi di niente. 
 

Per tutta la giornata Cristina Kirchner non ha commentato la morte del giudice, e la tv pubblica ha trasmesso a lungo ricette di frittelle. Per il governo Nisman era una specie di appestato. Ma i suoi colleghi si sono mossi subito. Un magistrato è tornato dalle ferie per ereditare l’inchiesta. Pare che oltre 300 cd con testimonianze e intercettazioni, le prove del patto segreto con l’Iran, siano al sicuro, non erano nell’appartamento del giudice. Per la comunità ebraica in Argentina, la morte di Nisman è invece un colpo durissimo, «nessuno come lui sapeva tutto sull’attentato del 1994». In serata, per allontanare i sospetti, il governo Kirchner ha annunciato di voler togliere il segreto di Stato a tutti i documenti sul caso Amia. 

alberto nisman alberto nisman

 

 

2. TUTTE LE TAPPE DELL’INTRIGO DI BUENOS AIRES: DALLA PISTA HEZBOLLAH ALLA SOFFIATA ITALIANA

Guido Olimpio per il “Corriere della Sera

 

La storia dell’indagine Amia è già intrigo prima ancora che scoppi la bomba. 
Milano, 8 luglio 1994. Un brasiliano si presenta al consolato argentino e racconta: «Sta per esserci un grave attentato contro la comunità ebraica a Buenos Aires». Wilson vive da alcuni mesi in Italia, a volte si presenta con il nome di Francesco Del Bianche, «professione pilota», in realtà si arrangia facendo il dj in una discoteca di Torino.

 

Quando gli chiedono la fonte dell’informazione, lui risponde: «La mia amica Nasrim, cittadina iraniana». Pensano sia un mitomane, nonostante ribadisca la segnalazione. Dieci giorni dopo dovranno chiedere scusa e spiegare. 
 

io sono nisman yo soy nisman io sono nisman yo soy nisman

Alle 10 del 18 luglio un camioncino pieno d’esplosivo distrugge l’Amia, a Buenos Aires. Si porta via 85 vite. L’inchiesta è subito un inferno, contaminata dalle faide politiche argentine, dai depistaggi. Gli errori si sommano a manovre per intossicare. L’intelligence costruisce, nel tempo, un dossier indiziario, che conduce all’Iran e ai militanti dell’Hezbollah, probabilmente assistiti da elementi locali. Come in altre vicende di terrorismo si parte dai telefoni, dai movimenti di personaggi interessanti. Su questo il Corriere ha lavorato tra Buenos Aires e il vicino Paraguay. 
 

attentato del 1994 alla comunita ebraica argentina su cui indagava nisman attentato del 1994 alla comunita ebraica argentina su cui indagava nisman

Rieccoci agli inizi dell’estate 1994. Come colti da una scossa improvvisa i diplomatici di Teheran in Sud America lasciano le loro sedi. Grazie alla collaborazione internazionale gli argentini riscontrano un intenso flusso di telefonate, sempre collegate agli iraniani o all’Hezbollah. Il 10 ne parte una diretta a un numero ritenuto uno snodo operativo dei guerriglieri filo-iraniani. Coloro che chiamano sono cauti. Creano una catena evitando di contattare più di una persona alla volta. 
 

Nella rete investigativa rimangono recapiti in Iran, Belgio, Austria, Libano. Più avanti — ci spiegano le fonti — se ne troveranno altri in Italia, alla Fiera di Milano e in un paese nei pressi di Como dove vivono un paio di sciiti libanesi. Il traffico dei telefoni si arresta quando l’attentatore suicida si fa saltare per aria davanti all’associazione ebraica di Buenos Aires. 
 

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Passano mesi e anni, segnati da passi falsi, diatribe, testimoni comprati o sbugiardati. Gli investigatori devono evitare polpette avvelenate, ostacoli. Alla fine compongono un puzzle. L’ordine d’attacco — è l’accusa — è venuto da Teheran, una ritorsione per il mancato rispetto di un accordo nucleare. L’operazione l’ha gestita un team che ha agito tra Buenos Aires, Ciudad del Este (Paraguay) e altri paesi della regione. Un network che si è appoggiato ad agenzie di viaggio di copertura, a una società alimentare che commercia carne e sopratutto al lavoro di Mohsen Rabbani, l’addetto culturale dell’ambasciata iraniana, in realtà un agente dei servizi. Sono loro a trovare il kamikaze, a prepararlo per il colpo. 
 

cristina kirchner 7 cristina kirchner 7

Nella struttura d’attacco c’è però una terza componente. Gli argentini parlano di una squadra che deve «imbrogliare le cose», fornendo magari false tracce. Non è chiaro se rientri in questa cornice la pista dei carapintadas , gli estremisti di destra locali considerati a lungo i responsabili, tirati dentro da traffici e strane presenze. Erano complici o li hanno ingaggiati per creare confusione? Si riparla anche di Dos Santos e della sua amica, la prostituta Nasrim. Un'ipotesi è che sia stato usato per dare l’allarme dai brasiliani che non volevano però essere coinvolti direttamente. Anche questo filone non porta lontano. Wilson esce dal quadro, smentisce tutto, torna alla sua esistenza randagia. Lo imita Nasrim, che arrestata in Europa, nega. Poi scompare con i suoi misteri. 
 

Nel centro del mirino restano i servizi iraniani e gli esponenti dell’apparato clandestino Hezbollah guidato da Imad Mugniyeh che avrebbe usato Ciudad Juarez come base, sfruttando la presenza della comunità sciita. E aggiungono un aspetto interessante. I responsabili hanno imparato la lezione del primo attentato, quello del 1992 contro l’ambasciata d’Israele, sempre attribuito a militanti sciiti. Per questo hanno creato la cortina fumogena spingendo avanti figure improbabili che hanno fatto perdere tempo alla polizia. 
 

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Altri pensano che siano la prova più chiara dell’innocenza dei khomeinisti e ipotizzano un complotto per incastrare i mullah. A metà restano coloro che credono, in base agli indizi, alla colpevolezza del regime, ma ammettono che la pistola fumante non c’è. Le polemiche finiscono per coinvolgere il giudice Nisman. Su Wikileaks escono cablo che lo indicano come troppo vicino agli americani. La politica argentina torna a impestare l’aria. Siamo vicini all’epilogo. Il magistrato accusa la presidente Kirchner di voler coprire i responsabili in nome degli affari. I suoi avversari reagiscono. Qualcuno esercita pressioni? Usano carte che non conosciamo per fermare l’investigatore? Il corpo senza vita di Nisman permette di pensare tutto e il contrario di tutto. Come in ogni vicenda dove ci sono di mezzo le ombre. 

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