A TRE SETTIMANE DALL'AVVIO DEL SUMMIT SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO, IL NODO DA AFFRONTARE È QUELLO DEI COMBUSTIBILI FOSSILI CHE ANCORA ASSICURANO L' 80% DELL'ENERGIA USATA NEL MONDO - INTANTO OBAMA BLOCCA L’OLEODOTTO “KEYSTONE XL”

A Parigi, i paesi responsabili del 90 per cento delle emissioni di Co2, compresi tutti i maggiori, si presentano con impegni precisi di riduzione entro il 2030 - I negoziati consentiranno anche di superare un altro scoglio: la creazione di un fondo da 100 miliardi di dollari l' anno, a carico dei paesi ricchi, per aiutare i paesi poveri ad affrontare il cambiamento climatico…

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1. SULLA CONFERENZA DI PARIGI L' OMBRA DI BIG OIL LA SFIDA È SULL' ADDIO ALL' ERA DI GAS E PETROLIO

Maurizio Ricci per "La Repubblica"

 

Non salverà il pianeta. Ma, dopo Parigi, sarà più credibile pensare che possa essere salvato. A tre settimane dall' avvio del più grande vertice sul clima, dopo il mega flop del 2009 a Copenhagen, le opinioni sono già divise lungo un crinale che, probabilmente, si ripresenterà identico al termine dei lavori nella capitale francese.

 

EFFETTO SERRA EFFETTO SERRA

Per i realisti (o cinici, secondo un altro punto di vista) da Parigi uscirà un accordo storico, un clamoroso passo in avanti: Obama che blocca Keystone XL, l' oleodotto dal Canada, ne è una anticipazione. Per gli idealisti (o bene informati, secondo un' altra angolazione) sarà un accordo monco, che non basta ad impedire che la temperatura del pianeta sfondi l' aumento di 2 gradi che gli scienziati hanno posto come limite, oltre il quale c' è la catastrofe climatica.

 

Ieri, gli idealisti hanno segnato un punto a loro favore. I tecnici dell' Unep, cioè dell' Onu, hanno chiarito che gli impegni che i vari governi hanno assunto finora contro l' effetto serra non bastano a frenare la deriva oltre i 2 gradi: bisogna incidere di più.

 

Ma anche i realisti hanno argomenti solidi. Uragani, siccità, alluvioni, ondate di calore hanno sconvolto il mondo, nei sei anni trascorsi da Copenhagen, quanto basta per trasformare radicalmente l' atteggiamento di governi e opinione pubblica verso il cambiamento climatico.

ISOLE KIRIBATI MINACCIATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI ISOLE KIRIBATI MINACCIATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI

 

A Copenhagen non si riuscì a fissare un obiettivo comune di riduzione delle emissioni. A Parigi, i paesi responsabili del 90 per cento delle emissioni di Co2, compresi tutti i maggiori, si presentano con impegni precisi di riduzione entro il 2030. A Copenhagen, il vertice fallì perchè i paesi in via di sviluppo si rifiutarono di assumersi la responsabilità dei tagli alle emissioni, scaricandola interamente sui paesi ricchi.

 

A Parigi, Cina, Messico, Brasile si presentano con la volontà dichiarata di contenere le emissioni. Gli impegni raccolti in queste settimane da quasi 150 governi saranno il pilastro centrale dell' accordo che uscirà da Parigi. L' altro sarà la solenne promessa di rivedersi entro cinque anni per una valutazione dei risultati raggiunti e dei passi ulteriori da compiere.

ISOLE KIRIBATI MINACCIATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI ISOLE KIRIBATI MINACCIATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI

 

I negoziati consentiranno anche di superare il terzo scoglio di Copenhagen: la creazione di un fondo da 100 miliardi di dollari l' anno, a carico dei paesi ricchi, per aiutare i paesi poveri ad affrontare il cambiamento climatico.

 

Non tutta la buona volontà dimostrata dai governi è frutto di scelte coraggiose. Per quasi metà, il contenimento delle emissioni previsto è il regalo del boom delle rinnovabili, del calo nell' uso del carbone, della maggiore efficienza energetica dell' economia. Secondo i calcoli dell' Unep, questi fattori hanno messo in tasca ai governi 5 gigatonnellate di Co2 in meno al 2030.

 

Gli impegni politici di queste settimane hanno individuato altre 6 gigatonnellate di risparmi. Però, le 11 gigatonnellate di anidride carbonica evitate, in to- tale, sono solo la metà di quelle che servirebbero per avere buone probabilità di arrivare al 2100 sotto i 2 gradi. Parigi, insomma, si ferma a metà strada. Di fatto, da qui al 2030 le emissioni non diminuiranno, ma aumenteranno comunque.

La situazione climatica sedicimila anni fa La situazione climatica sedicimila anni fa

 

Sarebbero aumentate dell' 8 per cento senza interventi. Con quello che c' è sul tavolo a Parigi aumenteranno del 5 per cento. Risultato? Un aumento della temperatura media del pianeta, al 2100, non di 2 gradi, come si sperava, ma di 2,7 gradi. Rispetto alle previsioni terroristiche di 4-5 gradi, sembra già qualcosa. Ma, attenzione. Anche i 2,7 gradi verrebbero raggiunti solo se, dopo il 2030, si continuasse a contenere le emissioni almeno allo stesso ritmo deciso a Parigi.

 

Altrimenti, l' aumento schizzerebbe a 3,5 gradi (medi, significa anche 10 nelle regioni più calde), cioè ben al di là della soglia di pericolo. Ecco perchè è importante l' accordo appena raggiunto da François Hollande regista, come ospite, dei negoziati - con il leader cinese Xi Jinping: un impegno a rivisitare la situazione entro cinque anni.

 

La situazione climatica oggi La situazione climatica oggi

In realtà, il vero nodo sul tavolo a Parigi è l' atteggiamento nei confronti dei combustibili fossili. In altre parole, dei potenti interessi di Big Oil e alleati. Oltre il 60 per cento delle emissioni di Co2 vengono da petrolio, gas, carbone che, però, assicurano tuttora anche l' 80 per cento dell' energia che utilizza il mondo

 

 E, da qui al 2050, la domanda di energia crescerà del 50 per cento. Ma, se vogliamo restare nei limiti dei 2 gradi, i due terzi delle riserve attuali di combustibili fossili dovrebbe restare sotto terra. Il dibattito vero su come affrontare il cambiamento climatico si riassume in queste cifre e in queste percentuali. Il documento finale di Parigi prenderà di petto questo tema? Fisserà una data - 2060, 2075 entro cui puntare esplicitamente a emissioni zero (che significa zero petrolio e gas e tutta l' energia che viene dalle fonti alternative)?

 

clima clima

Per ora, si sa già che il documento finale non comprenderà quella soluzione di compromesso che una buona parte degli stessi petrolieri aveva suggerito: la creazione di un mercato mondiale dei diritti ad emettere Co2, sul modello di quanto già esiste in Europa e si vuole creare in Cina.

 

Il sistema, criticato da più parti, ha comunque il merito di porre un tetto controllabile e modificabile all' anidride carbonica. Ma i diplomatici sottolineano che sarebbe una discussione inutile. Obama può bloccare Keystone XL l' oleodotto che viene dal Canada, ma non può imporre ad un Congresso a maggioranza repubblicana un sistema che lo stesso Congresso ha già bocciato quattro anni fa.

 

pechino pechino

Se a Copenhagen fu la Cina a puntare i piedi e a far saltare l' accordo, qui a frenare un' intesa globale è l' altra metà dell' America.

 

2. SCHIAFFO DA OBAMA AI PETROLIERI NO AL KEYSTONE XL IL MAXI-OLEODOTTO

Federico Rampini per "La Repubblica"

 

Il padre di tutti gli oleodotti non si farà. Barack Obama ha chiuso una discordia durata sette anni, che aveva spaccato in due il Nordamerica. Il presidente ha deciso di consolidare la sua eredità ambientalista, a tre settimane dalla sua partecipazione al summit di Parigi sul cambiamento climatico

pechino smog pechino smog

 

 Stop finale, dunque, per un' infrastruttura da quasi duemila chilometri, che avrebbe trasportato 800mila barili di petrolio al giorno: dai giacimenti sabbiosi dello Stato dell' Alberta (Canada) alle raffinerie dell' Illinois, giù giù fino a raggiungere i porti petroliferi Usa che si affacciano sul Golfo del Messico.

 

Ci tenevano moltissimo, oltre al Canada, i petrolieri e i repubblicani. Gli ambientalisti ne avevano fatto il nemico pubblico numero uno, un progetto da contrastare ad ogni costo. Obama ha dato ragione a loro.

PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE

 

«L' indagine effettuata su mia richiesta dal Dipartimento di Stato - ha detto Obama annunciando il verdetto finale dalla Casa Bianca - ha concluso che l' oleodotto Keystone XL non contribuisce all' interesse nazionale degli Stati Uniti». Il presidente ha quindi elencato puntigliosamente tutte le ragioni: «Primo, non darebbe un contributo alla crescita della nostra economia che ha già creato 13,5 milioni di nuovi posti di lavoro negli ultimi 68 mesi".

 

"Secondo, non abbasserebbe il prezzo della benzina per i consumatori, prezzo già sceso per conto suo. Terzo: non migliorerebbe la nostra autosufficienza energetica visto che già oggi produciamo più petrolio di quanto ne importiamo».

 

Obama ha voluto smontare così pezzo per pezzo gli argomenti della destra, secondo cui il suo ambientalismo danneggia lo sviluppo economico e quindi l' occupazione. Guardando al summit di Parigi, Obama ha dichiarato che «l' America deve esercitare la sua leadership attraverso l' esempio che dà, dobbiamo proteggere il pianeta finché siamo in tempo».

PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE

 

 

La guerra santa che si era sviluppata in questi sette anni attorno all' oleodotto, si è intrecciata con cambiamenti di tutto lo scenario energetico. La rivoluzione tecnologica da una parte (fracking e trivellazioni orizzontali) ha consentito un boom dell' offerta nordamericana. La frenata della crescita cinese ha ridotto la domanda.

 

Il combinato dei due mutamenti ha fatto crollare il prezzo di petrolio e gas, soprattutto se espresso in dollari. Rispetto alle origini del progetto Keystone XL, la sua opportunità economica ora è molto meno stringente.

L'OLEODOTTO KEYSTONE L'OLEODOTTO KEYSTONE

 

 

Approvare la costruzione di un' infrastruttura così imponente significava, secondo gli ambientalisti, un incoraggiamento di fatto all' uso di energie fossili. Obama è stato aiutato anche da alcuni sviluppi politici: in Canada l' elezione del nuovo premier Justin Trudeau, meno legato alla lobby petrolifera rispetto al suo predecessore.

 

Negli Stati Uniti, Hillary Clinton ha sciolto ogni riserva annunciando la sua contrarietà all' oleodotto (e quindi, in caso di vittoria nel novembre 2016, alla Casa Bianca ci sarebbe comunque un presidente ostile al progetto).

 

PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE PROTESTE CONTRO L'OLEODOTTO KEYSTONE

Gli esperti ricordano che questo presidente ha già preso altre decisioni il cui impatto ambientale è superiore alla bocciatura del maxi-oleodotto. La più importante di tutte è stata la nuova regolamentazione delle emissioni carboniche per le centrali che producono energia: i tetti imposti daranno il contributo più sostanziale al taglio di gas carbonici da parte degli Stati Uniti. I repubblicani pur dominando il Congresso non sono riusciti a imporre la loro linea, negazionista del cambiamento climatico e allineata sugli interessi dei petrolieri.

L OLEODOTTO KEYSTONE L OLEODOTTO KEYSTONE

 

 

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