L’UOMO CHE ASCOLTAVA TROPPO – LA CASSAZIONE CERTIFICA CHE SILVIO BERLUSCONI DIEDE IL VIA LIBERA ALLA PUBBLICAZIONE SUL “GIORNALE” DELLA FAMOSA INTERCETTAZIONE DI FASSINO “ALLORA, ABBIAMO UNA BANCA” – ANNI DI PROCESSI PER SCOPRIRE CHE UN EDITORE SA QUANDO UN SUO GIORNALE PUBBLICA UNO SCOOP POLITICAMENTE PESANTISSIMO
Emilio Randacio per “la Repubblica”
Una sentenza può riscrivere un piccolo pezzo della storia italiana? Può farlo. Perché Silvio Berlusconi ha dato il suo «placet» alla pubblicazione su il Giornale della sua famiglia del nastro Unipol tra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, depositando le motivazioni della sentenza. Un fatto ormai quasi preistorico – così può apparire oggi - , tanto che gli imputati principali, Silvio e Paolo Berlusconi, dopo la condanna a un anno in primo grado, si sono salvati grazie alla prescrizione.
PIERO FASSINO FA LA RADIOGRAFIA ALLA MODELLA
Nessuna condanna penale, dunque. Ma gli 80 mila euro di risarcimento che dovranno ora versare all’attuale sindaco di Torino, hanno una valenza che con il denaro non ha molto a che fare.
«Ma allora, abbiamo una banca?», la domanda che pose Fassino, allora segretario dei Ds, nel luglio del 2005, al numero uno Unipol, Consorte, e che fu intercettata dalla procura di Milano durante le indagini sulle scalate dei “furbetti del quartierino” (Antonveneta e Bnl). Pur non avendo rilevanza penale, ma soprattutto dovendo rimanere segreta in una cassaforte dei magistrati, quella frase il 31 dicembre 2005 finì sulla prima pagina de il Giornale. Fu la prima tappa di una campagna che mise Fassino e il suo partito in difficoltà alla vigilia delle elezioni politiche.
Oggi sappiamo cosa si è nascosto dietro a quella fuga di notizie. Chi materialmente ha sottratto il nastro, Roberto Raffaelli allora numero uno della società che gestiva le intercettazioni (Rcs, Research controlsystem), ha già patteggiato. Chi la usò politicamente, invece, l’ha scampata.
unipol giovanni consorte 001 lap
«Silvio Berlusconi diede il suo placet alla pubblicazione della telefonata intercettata e coperta da segreto», hanno spiegato gli Ermellini nelle pieghe della sentenza. «Con motivazioni ineccepibili», scrive ancora la Corte, i giudici milanesi «hanno accertato come Berlusconi », durante un incontro ad Arcore, «abbia ascoltato la registrazione- audio - si legge nella sentenza - ed abbia, anche con il suo atteggiamento compiaciuto e riconoscente, dato il suo placet alla successiva pubblicazione del colloquio intercettato».
silvio berlusconi con licia ronzulli al compleanno
Con questo assenso, l’imputato «si è reso responsabile di concorso nel delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, trattandosi con tutta evidenza di una notizia coperta da segreto, in quanto non appresa legittimamente da alcuno e dunque non caduta in pubblico dominio ed essendone rimasta confinata la conoscenza all’interno della ristretta cerchia degli imputati ».
Bisogna riavvolgere il nastro a quel dicembre 2005 per capire la portata della campagna stampa, sondaggi alla mano. Con un centrodestra al governo e in affanno – siamo al secondo esecutivo guidato da Berlusconi – e un centrosinistra che per le elezioni primaverili rilanciava la candidatura di Romano Prodi, data in ampio vantaggio. Al termine di polemiche infinite e molte ombre lanciate sulla correttezza dei Ds, l’esito delle urne diede una risicata maggioranza al Senato al governo Prodi, che alla prima turbolenza, andò sotto e si dimise.