PIBE D’ITALIA - TRENT’ANNI FA, SBARCAVA A NAPOLI, MARADONA - FERLAINO: “LO COMPRAI SENZA AVERE I SOLDI E NON AVEVO GLI INCASSI DELLE TV. DOPO 7 ANNI CE LO PORTÒ VIA BLATTER: FU UN ESPROPRIO”

“Il Barcellona ci chiese 13 miliardi di lire, convinti che non avessimo i soldi. Era vero, non li avevamo - Se non avesse avuto quel difetto, Diego avrebbe giocato altri cinque anni - Non l’avrei venduto mai: ce lo tolse Blatter. Fu un esproprio - Fair play finanziario? Per vincere si devono fare i debiti”…

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1 - MARADONA, FORMIDABILI QUEGLI ANNI

An. Car. per ‘La Repubblica

 

I suoi sette anni cominciarono con una decina di palleggi e due parole: «Buonasera napolitani». Arrivarono in 70mila allo stadio, tremila lire il prezzo del biglietto, per accogliere Diego Armando Maradona, acquistato il 30 giugno del 1984 e presentato il 5 luglio. Il primo boato di Napoli per lui durò 2 minuti e 42 secondi, quelli successivi non sono finiti ancora.

 

MARADONA A NAPOLI jpeg MARADONA A NAPOLI jpeg

La serie A era la Nba del calcio. Maradona si aggiunse a Platini, Zico, Falcão, Rummenigge. Solo Keegan rimase a casa sua. L’Italia aveva stadi pieni, Napoli più di tutti, primo per presenze dal 1966 al 1988: Maradona alzò la media del San Paolo da 60mila a 72mila spettatori. Anni d’oro, per un movimento, e di equilibrio: 7 scudetti su 9 vinti da squadre differenti fra ‘83 e ‘91, solo Napoli e Juve fecero il bis. Trent’anni fa, che epoca.
 

Parrucche ricciolute, diari, accendini, palloni, la canzone in cui era “meglio ‘e Pelé”: in quei sette anni il marketing del vicolo mise in croce i diritti della Maradona Production. Che mai si ribellò. Sul campo 115 gol ufficiali, 81 in campionato. Una città ai suoi piedi, un figlio naturale, il magazziniere che conservava le scarpette numero 40 come reliquie, la governante Lucia Rispoli (11 figli) che gli cucinava capellini in bianco con scaglie di parmigiano: quando salutò per il doping alla cocaina, Diego le regalò la sua camera da letto.

CONFERENZA STAMPA DI MARADONA A NAPOLI jpeg CONFERENZA STAMPA DI MARADONA A NAPOLI jpeg

 

Certe sere i turisti ancora si fanno accompagnare sulla collina di Posillipo, in una stradina stretta con il mare dirimpetto, a cercare le sue tracce. Via Scipione Capece 3/A taglia una curva panoramica, al piano inferiore vivono i genitori di un ex calciatore e sopra, nell’appartamento che fu di Maradona, la figlia di un imprenditore, settore condizionatori d’aria. La maglia azzurra con il 10 è stata ritirata il 24 agosto del 2000, dopo un’amichevole a Fiuggi con la Viterbese. Andò all’asta la Ferrari nera con cui Diego si mischiava alla notte. Il centro di Soccavo, dove s’allenava, è in stato d’abbandono.

MARADONA A NAPOLI MARADONA A NAPOLI

 

Il primo contratto bruciato in un incendio. Ma restano i tanti Diego di Napoli, l’ufficio anagrafe del Comune ne ha registrati 952 dal 1984 a oggi e 26 sono Diego Armando, l’ultimo nato due anni fa, il mito resiste. A Largo Corpo di Napoli, un’edicola votiva custodiva in strada un suo “capello miracoloso”. Quelli del bar Nilo avevano affisso un cartello: “Hai fatto la foto? E mo’ ti vuoi pigliare un caffè?”. Adesso hanno allestito una parete intera per Diego, il capello l’hanno trasferito all’interno, così il caffè sicuro lo ordinate.

 

2. FERLAINO: COSÌ COMPRAI IL PIÙ FORTE AL MONDO SENZA AVERE I SOLDI

Angelo Carotenuto per ‘La Repubblica

 

MARADONA CIRCONDATO DAI GIORNALISTI jpeg MARADONA CIRCONDATO DAI GIORNALISTI jpeg

Quando la prima volta disse che avrebbe comprato Diego, era una bugia. «Nell’intervallo di Italia-Germania a Zurigo, davanti ai giornalisti, il presidente federale Sordillo mi fa: ma insomma tu chi compri? Non ti rinforzi mai. Eravamo molto amici. E io rispondo: prendo Maradona. Ma era una battuta». Trentanove giorni dopo, il 30 giugno 1984, Corrado Ferlaino portò davvero a Napoli il numero uno. Era un sabato sera. «Forse lo voleva Dio», dice adesso l’ingegnere seduto al tavolo di vetro del suo ufficio. Ha 83 anni pieni di luce.
 

CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA jpeg CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA jpeg

Come le venne in mente di comprare Maradona?
«Antonio Juliano, che era il direttore generale, aveva contattato il Barcellona per un’amichevole. Accettarono precisando che Maradona non ci sarebbe stato per un infortunio. Ci informammo e scoprimmo che era falso, era in rotta con il club. Così partimmo. Ci chiesero 13 miliardi di lire, convinti che non avessimo i soldi».


Invece?
«Invece niente, era vero, non li avevamo. Enzo Scotti, il sindaco, mi mise in contatto con Ferdinando Ventriglia, presidente del Banco di Napoli. Avevo i politici a favore e gli intellettuali contro. Una trattativa infinita, chiusa all’ultimo minuto».

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Oppure oltre?
«Andò così. L’ultimo giorno utile presi l’aereo e andai in Lega a Milano, dove consegnai una busta vuota. Da lì con un volo privato a Barcellona: feci firmare Maradona e in piena notte tornai a Milano correndo in Lega. All’ingresso dissi alla guardia giurata che avevo sbagliato una procedura, salimmo negli uffici e di nascosto sostituii la busta: portai via la vuota e lasciai quella con il contratto. All’alba Napoli era in festa».


Si è mai chiesto perché nessun club protestò?
«I giornali scoprirono la storia della busta, il calcio italiano fece finta di non crederci. Erano tutti felici di avere Maradona in Italia. Napoli e i napoletani erano simpatici».


Non lo sono più?
«Ancora sì. Ma in tempi di crisi economica, le cose cambiano. Il clima è più ostile. C’è una campagna ultrà di odio razzista. Nella sera della finale di Coppa Italia c’è stata una somma di errori delle istituzioni, sportive e non. Il Napoli aveva già giocato a Roma durante la stagione, perché quella sera le cose andarono in altro modo? Ora piangiamo la morte di un giovane tifoso: l’ultima offesa è stata piantonarlo in ospedale».

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Che Napoli era quella del 1984?
«La Campania aveva ministri e sottosegretari al governo, la città grandi prospettive di crescita, si costruiva il Centro Direzionale, non come oggi, una città immobile in cui Bagnoli non parte mai. E la camorra esisteva anche allora».


El Mundo Deportivo titolò: “Maradona è cosa nostra”. L’inviato della tv francese Alain Chaillot parlò di soldi della camorra.
«Per un parigino, se un napoletano poteva spendere quei soldi, era la prova che fossero della camorra. Ero stanco. Quando sentii la domanda, lo espulsi dalla conferenza stampa».


Mai avuto dubbi sullo scudetto perso col Milan nel 1988?
«Tutta Napoli ne ha avuti. Io ho indagato, ho preso informazioni, non ho mai scoperto niente. Fu un crollo fisico, aggiunto all’odio della squadra verso l’allenatore Bianchi ».

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In un’altra città italiana Maradona avrebbe avuto una vita diversa?
«Napoli era l’ideale per lui. Non è mai stata una città razzista e ha sempre amato gli estrosi. Se non avesse avuto quel difetto, Diego avrebbe giocato altri cinque anni. Non l’avrei venduto mai. Ce lo tolse Blatter. Un giorno mi chiama e dice: la neve caduta è diventata una valanga. Fu un esproprio. Ma pretesi dal Siviglia l’intera cifra del rinnovo contrattuale».


Non aveva sospetti sui vizi di Maradona?
«In Spagna dicevano fosse indisciplinato, ma si parlava di night. Attribuivo le voci al fatto che il mondo catalano, nella sua fierezza, non potesse accettare che una stella volesse andare via. Bisognava rischiare».


Il vostro primo incontro?
«A Barcellona. Mi invitò a casa sua, una villa molto bella. Arrivai di notte e ripartii poco dopo.
 

Lui era con Claudia, la sua fidanzata. Pensai: a Napoli dove gliela trovo una villa così?

Allora nel contratto feci prevedere che l’alloggio fosse a carico suo».

Ottavio Bianchi Ottavio Bianchi


Perché i vostri rapporti furono così burrascosi?
«Un mese sì e un mese no. Io rappresentavo la società, l’ordine, il dovere. Lui ha natura da ribelle, ma è un ragazzo d’oro. Una persona che rispetta la parola data. Averlo portato in Italia per me è una medaglia e non avevo i soldi dei diritti tv. Oggi nessuno potrebbe prendere Messi. Ero nel calcio da 15 anni. Il Napoli si piazzava secondo, ottavo, quarto. Mi dissi: o smetto o compro Maradona».


La molla del quindicesimo anno scatterà anche per De Laurentiis?
«È una domanda per lui. Io ho lasciato alla città una squadra che ha vinto due scudetti. Per vincere si devono fare i debiti».


Il suo Napoli ne fece, anni dopo fallì.
«Incassavo 25 miliardi di lire e ne spendevo 35 di ingaggi. Un bagno. Quando Maradona andò via, non c’erano più né soldi freschi né banche disposte a prestarne. Era pure caduto il mondo politico che faceva da garante».

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Perché non è mai più andato al San Paolo?
«Allo stadio sono andato per l’Italia. Il Napoli lo guardo in tv e solo il primo tempo. Ho paura dell’infarto. Il secondo tempo non ha sentenze d’appello. Amo troppo il Napoli e Napoli. Ho provato a vivere fuori. Un periodo a Roma, un altro a Milano, ma la sera ero sempre in compagnia di napoletani. A quel punto meglio tornare a Napoli: ce ne sono di più».


Le manca il calcio?
«Per niente. La domenica era il giorno più brutto della settimana, non mi apparteneva, adesso invece è un giorno mio. Mi sveglio quando voglio, mi alzo e vado a raccogliere margherite nei prati».

 

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