Luca Beatrice per “il Giornale”
Dici Pop e pensi immediatamente a New York e Londra, ad Andy Warhol e Richard Hamilton, alla Marylin e ai Beatles. E a un'arte orizzontale e piatta, deliberatamente superficiale e iconica, luccicante ma non troppo impegnata.
Tutto ciò è figlio di un pregiudizio stagnante e finalmente una mostra dà una lettura completamente diversa del fenomeno: «The World Goes Pop» alla Tate Modern di Londra, visitabile fino al 24 gennaio, una delle esposizioni più importanti del 2015, sia per la qualità e la rarità delle opere esposte, sia per aver davvero provato a rimettere a posto i conti con la storia.
Negli anni '60, insomma, il Pop si poneva come vera e propria avanguardia globale, uno stile diffusosi a macchia d'olio in senso planetario. Tralasciando l'ambito anglo-americano, la stessa sensibilità si ritrova nell'Est comunista come in Giappone, in Sudamerica e persino nel Medio Oriente, nella Spagna franchista e nell'Italia del boom economico. Soprattutto si può parlare, ed è questa la teoria sorprendente della mostra, di pop politico, altro che disimpegno e frivolezza.
Dietro una facciata di colori e immagini si nascondono atti di denuncia, di ribellione al potere costituito: una sorta di danza inscenata dal francese Henri Cueco è in verità una manifestazione di protesta, mentre l'antimilitarismo ai tempi della guerra in Vietnam torna insistentemente in diversi lavori, per esempio Bombs in Love dell'austriaca Kiki Kogelnik.
Altro dato sorprendente, la fusione tra stile pop e temi del femminismo, con la presenza di diverse artiste dal linguaggio eversivo, un pugno nello stomaco soprattutto quando affrontano temi legati al sesso. Allusioni frontali, come nel caso dei video di Sanja Ivekovic, nata a Zagabria e attiva nella Jugoslavia di Tito, dove tratta una banana come fosse un fallo, si presenta a seno nudo giocando con improvvisati dildo.
Si tratta di un'irruzione del femminismo dell'arte che anticipa di almeno un lustro la Body Art e la performance, a esempio nei dipinti quasi astratti di Angela García, spagnola, alla quale certo il regime non avrebbe permesso di esprimersi in modo esplicito: a ben guardare i suoi grovigli di corpi denunciano la visione dell'eros stereotipato e maschilista in una società repressiva, però il tutto appare mascherato da colori forti e divertenti. Discorso analogo si può fare per la scultura-sedia di Ruth Francken di Praga, incredibile anticipazione dei temi trattati negli anni '90 da Sarah Lucas.
Pop contro totalitarismo, dunque? Certo, soprattutto nel blocco governato dall'ex Urss, dove i due moscoviti emigrati a New York Komar & Melamid si «divertivano» a distruggere le icone della società consumistica ma anche le effigi di Lenin e Stalin.
Oppure nel Sudamerica dei regimi militari, in particolare nell'opera di Anna Maria Maiolino, artista calabrese nata nel 1942 ed emigrata in Brasile nel 1960, sulla quale oggi vi è un'importante riscoperta critica.
Tra i nomi più conosciuti dal grande pubblico, in mezzo a molti outsider di sicuro valore sebbene non troppo popolari, spiccano i catalani di Equipo Crónica che rappresentavano la polizia quale simbolo di oppressione, l'inglese Joe Tilson, tra i primi a utilizzare le pagine dei quotidiani nell'ambito della critica sociale, il coloratissimo e irriverente Erró, nato in Islanda ma attivo a Parigi, impegnato a ribaltare il senso delle cosiddette Mitologie quotidiane attraverso il meccanismo della citazione e del montaggio di immagini sovrapposte.
Discorso a parte meritano i giapponesi, il cui utilizzo del video precorre i tempi: Kelichi Tanami campiona immagini dai cartoon, dalla realtà quotidiana, montando il tutto in brevi proto clip corrosivi e geniali, altro modo di sovvertire le icone. Persino la Gioconda finisce nella macchina televisiva tritatutto di Toshio Matsumoto, così il Pop sfiora la psichedelia e l'allucinazione.
Quanto all'Italia, forse i curatori l'hanno considerata marginale rispetto al modo politico di intendere la Pop Art. Soltanto due gli artisti selezionati, Mario Schifano con alcuni dipinti della serie Compagni compagni , riflesso del '68, dunque un po' tardivi rispetto al dibattito che aveva preso avvio già a inizio decennio, e due bellissimi Gesti tipici di Sergio Lombardo, anch'egli di Roma, fondatore di un movimento chiamato Eventualismo, sorta di cerniera fra Pop e arte concettuale. Ma a questo punto è già un'altra storia.