CAPITAL DINASTY - IL CAPITALISMO ITALIANO È IN COMA, MA QUELLO DELLE GRANDI FAMIGLIE E’ MORTO: DAGLI OLIVETTI AI MERLONI, DAGLI AGNELLI AI BERLUSCONI, I SUCCESSI E I FALLIMENTI DI UNA SUCCESSIONE IMPOSSIBILE

Stefano Cingolani per “Il Foglio

 

UMBERTO E GIANNI AGNELLI UMBERTO E GIANNI AGNELLI

Che cosa succede se la prole spreca i suoi talenti, se la sindrome dei Buddenbrook s’impadronisce della discendenza, se il seme del capitale viene disperso nell’oceano globale? Dagli Olivetti ai Merloni, è sempre la stessa storia, ma non è la fine del capitalismo. I gruppi che vogliono competere devono affidarsi a un professionista della gestione. Le piccole aziende guidate da innovatori di prima generazione vanno aiutate a crescere e mettersi insieme, quelle medie devono essere instradate verso la Borsa e sottratte alla dipendenza sempre più tirannica delle banche. Ma i genitori debbono uscire di scena non appena i figli hanno imparato a volare.

 

MICHEL PLATINI E GIANNI AGNELLI MICHEL PLATINI E GIANNI AGNELLI

Bruno Visentini la chiamava “forza virile dell’imprenditore” e la voleva sempre al comando anche nelle grandi imprese. Era il 1987 e imperversava la battaglia tra funzionari del capitale che volevano diventare capitalisti (come Mario Schimberni alla Montedison sulle orme del suo predecessore Eugenio Cefis) tra uomini nuovi che sfidavano il vecchio establishment come Carlo De Benedetti, Silvio Berlusconi, Raul Gardini. Altri tempi, l’ultima epoca d’oro del capitalismo privato mentre il capitalismo di stato scoppiava d’indigestione.

 

Parlava bene il Visentini che, tra lezioni universitarie, sedute in Parlamento, decreti fiscali (come ministro delle Finanze) e anelli wagneriani a Bayreuth, aveva presieduto per vent’anni la Olivetti dopo la ritirata della famiglia. Sapeva, dunque, cosa succede se la prole spreca i suoi talenti, se la sindrome dei Buddenbrook s’impadronisce dell’intera discendenza, se il seme del capitale viene disperso nell’oceano globale. Dagli Olivetti ai Merloni, è sempre la stessa storia, ma non è la fine del capitalismo.

JOHN ELKANN E GIANNI AGNELLI JOHN ELKANN E GIANNI AGNELLI

 

E’ presto per cantare il de profundis come fa la Repubblica. Quel che avviene sotto i nostri occhi è il faticoso, contraddittorio, adattamento dell’economica italiana alle nuove condizioni del mercato mondiale e ai nuovi rapporti di forza in occidente.

 

Questa metamorfosi ha portato alla ribalta un modello ancora in nuce. E’ quello che Marco Fortis chiama “le nicchie di eccellenza” e si regge sulle gambe del “quarto capitalismo” analizzato da Fulvio Coltorti fin da quando guidava l’ufficio studi di Mediobanca. Si può definire modello perché affonda le sue radici nella storia manifatturiera dell’Italia e ormai ha caratteristiche ben definite e in qualche modo strutturate.

 

Anche se, nonostante la Grande Recessione, è riuscito a difendere la quota dell’Italia nel commercio internazionale, resta ancora nel bozzolo perché non ha trovato la dimensione sistemica che lo può far decollare. Sarebbe davvero interessante se, invece di lamentarsi sui Merloni perduti, si cominciasse davvero un dibattito su come far sì che nuovi Merloni vincano la loro guerra di mercato.

 

LAVINIA E JOHN ELKANN CON LAPO FOTO ANSA LAVINIA E JOHN ELKANN CON LAPO FOTO ANSA

E’ una dynasty di provincia quella della famiglia di industriali marchigiani che hanno cominciato nel secondo Dopoguerra facendo caldaie; è la dinasty dei “metalmezzadri”, come l’economista Giorgio Fuà chiamava gli artigiani e piccoli industriali nati dall’agricoltura mezzadrile che hanno trasformato la costa Adriatica in una fabbrica diffusa lungo centinaia di chilometri dall’Abruzzo al Veneto.

 

La famiglia si era già divisa alla morte del fondatore Aristide: i tre figli avevano preso ciascuno un ramo dell’azienda, gli elettrodomestici erano andati a Vittorio che, da Ariston a Indesit ha costruito un gruppo multinazionale.

 

Lapo e John Elann con Sergio Marchionne a Ginevra  Lapo e John Elann con Sergio Marchionne a Ginevra

La Grande Recessione che ha colpito frigo e lavatrici forse ancor più delle automobili, la concorrenza dei paesi in via di sviluppo, la esigenza di crescere e investire capitali su capitali, più il calo del desiderio, sì di quella passione che spinge il “virile” industriale a reinventare sempre se stesso, ebbene la combinazione di questi fattori ha indotto anche i figli di Vittorio, da tempo gravemente malato, a mollare. Hanno venduto a un ottimo acquirente come l’americana Whirlpool che spende 768 milioni di euro per aumentare la sua presenza in Italia. Solo Maria Paola, ormai in politica prima col Pd e adesso senatrice eletta con la lista Monti, si tiene una piccola quota, per affezione.

 

E i Merloni non sono gli unici, anzi. Il capitalismo italiano non sta morendo, ma il capitalismo delle grandi famiglie, quello sì, è arrivato al punto di non ritorno. Degli imprenditori che hanno retto la Confindustria nei ruggenti anni Ottanta non è rimasto più nessuno.

 

SERGIO PININFARINA E LA FERRARI jpegSERGIO PININFARINA E LA FERRARI jpeg

Luigi Lucchini si è spento un anno fa, all’età di 94 anni, ricevendo l’elogio della Cgil verso un “interlocutore aspro, ma rispettoso”; però aveva già ceduto le armi di fronte all’offensiva dei russi di Severstal. Il re del tondino era ricco e felice finché non aveva deciso di fare il passo più lungo della gamba, partecipando al banchetto delle privatizzazioni. Dello spezzatino Italsider, a lui era toccato lo stabilimento di Piombino, ma gli acciai speciali si sono rivelati un business mangiasoldi e nel 2005 il vecchio “padron delle ferriere” cedeva i due terzi del gruppo, poi nel 2010 anche l’ultimo pacchetto del 20 per cento.

 

Il suo successore in Confindustria, Sergio Pininfarina, il grande carrozziere che aveva firmato i modelli più belli quando le auto italiane (soprattutto l’Alfa) facevano levare il cappello al vecchio Henry Ford e la Volkswagen le copiava, è morto nel 2012 ma aveva già lasciato le redini al figlio. Andrea aveva la tempra dell’innovatore (Business Week lo aveva inserito tra le 25 star europee), sennonché nel 2008 viene ucciso in un incidente stradale. L’azienda passa al fratello Paolo, ma non regge. Nel 2011 chiude anche l’ultimo stabilimento. Adesso, nelle mani del finanziere francese Vincent Bolloré, progetta vetture elettriche.

 

PIETRO MARZOTTOPIETRO MARZOTTO

Pietro Marzotto, “il sior conte”, è passato dalle lane ai prosciutti (sia pur di lusso perché sono quelli della boutique milanese Peck) dopo che la roccaforte di Valdagno è stata dilaniata da conflitti familiari durati oltre un decennio. Il gruppo si è ritirato dalla moda (Valentino e Hugo Boss sono stati venduti) nella quale Pietro aveva creduto fin troppo, ed è tornato all’antico (tessuti e filati), mentre il controllo è passato in mani amiche al conte Andrea Donà Dalle Rose. Ma con settanta successori, arrivati alla sesta generazione, siamo di fronte a un ibrido, una sorta di public company familistica.

 

Guerre tra parenti, padri contro figli, una tragedia greca in salsa emiliana è quella che dilania i Caprotti. Lo scontro tra Bernardo – che nel 1957 insieme alla Rinascente e a Nelson Rockefeller ha aperto la Esselunga, il primo supermercato italiano – e l’erede designato, non solo non è mai finito, ma si è esteso all’intera prole. A Giuseppe, avviato da tempo alla successione, viene lasciata interamente in mano la gestione solo nel 2002. Il patron resta dietro le quinte, divide la proprietà in parti uguali tra i tre figli (ci sono anche Violetta e Marina Sylvia) e si tiene l’usufrutto del 51 per cento vita natural durante. Il passaggio di testimone dura appena due anni.

Matteo Marzotto Italia Independent Store Opening via Monte Napoleone Milano Massimo Terazzan Matteo Marzotto Italia Independent Store Opening via Monte Napoleone Milano Massimo Terazzan

 

Finché un giorno si presenta in azienda con quattro Mercedes nere: le prime tre per accompagnare fuori i top manager e la quarta destinata a suo figlio. Bernardo Caprotti racconta la sua versione nel pamphlet di successo che attacca le Coop rosse (“Falce e carrello”, Marsilio) e adombra un complotto ordito insieme ai sindacati per sottrargli “la roba”. Giuseppe, che poi si è dedicato con un certo successo alla finanza, dà una lettura molto diversa. Mr. Esselunga si è ripreso l’intera titolarità delle azioni, finendo in tribunale. Ora, le volontà del fondatore (89 anni) sono chiuse nel testamento in mano a un notaio.

 

Ci sono altri casi clamorosi di moderni Crono, come Tommy Berger di origine ebraico-viennese, fondatore del Caffè Hag, che s’è divorato il figlio Roberto. Anche questa storia è finita in un libro (“Onora il padre”, sempre Marsilio). Ma i dolori della successione travagliano persino Luxottica. Leonardo Del Vecchio, classe 1935, sei figlie da tre donne diverse, aveva provato nel 2010 a fare un trust familiare, dividendo in parti uguali le quote della sua Delfin. Questo succedeva prima di convolare a nozze con la sua seconda compagna, Nicoletta Zampillo, a cui per legge spetta un quarto del patrimonio. E così Del Vecchio ha sospeso il processo senza decidere.

ipo35 vittorio merloniipo35 vittorio merloni

 

Il figlio Claudio che ha lanciato l’azienda negli Stati Uniti, vive a New York dove ha comperato e rilanciato Brooks Brothers. E non intende tornare in Italia. Del Vecchio ha scelto un manager esterno al quale affidare il suo colosso degli occhiali (si tratta di Andrea Guerra al quale Matteo Renzi aveva offerto un ministero) e fin da subito ha escluso i figli dalla gestione, nonostante diverse sollecitazioni da parte di consulenti fidati. Tuttavia, all’alba dei suoi 79 anni non ha ancora sciolto le riserve sul futuro di Luxottica che dipende soltanto da lui.

 

Nemmeno i Benetton hanno ceduto il testimone. Luciano (classe 1935) Giuliana (1937), Gilberto (1941) e Carlo (1943) controllano il 25 per cento ciascuno di Edizione che possiede Autostrade, Autogrill e il comparto abbigliamento. Mentre tre fratelli hanno quattro-cinque figli ciascuno, Gilberto lascerà l’intero pacchetto alla discendente diretta, Sabrina. L’unità familiare viene messa alla prova proprio ora che si è deciso di voltare pagina nella società di abbigliamento dove tutto è cominciato. Ceduti i marchi minori, ci si concentra su Sisley e Benetton.

 

democ27 maria paola merlonidemoc27 maria paola merloni

L’azienda sarà divisa in tre parti, quella immobiliare, quella industriale e quella commerciale, dello stile e della comunicazione. Alessandro aveva il physique du rôle per diventare il successore del padre Luciano (bella presenza, master a Harvard, moglie famosa, la campionessa di sci Deborah Compagnoni), ma dopo un tentativo durato due anni, si è tirato indietro lasciando spazio a un professionista come Gianni Mion.

 

La presenza ingombrante del padre resta anche là dove s’è affrontata per tempo la successione. Carlo De Benedetti ha passato ai figli tutto tranne la Repubblica-Espresso, ma nessuno può dire che si sia fatto sottile come carta di riso. A Rodolfo è toccato il compito più difficile, gestire il gruppo Cir rinato dalle ceneri della sconfitta in Belgio nel 1988 e di Tangentopoli.

 

LEONARDO DEL VECCHIO jpegLEONARDO DEL VECCHIO jpeg

Ha puntato sull’energia, ma la Grande Recessione lo ha messo in ginocchio. Ora Sorgenia è stata salvata dalle banche che ne detengono il controllo. Rodolfo, uomo colto, garbato e timido che poco assomiglia al padre sia nel fisico sia nel carattere, ha ammesso la sconfitta e si è rimboccato le maniche. Dovrà ricominciare per l’ennesima volta, mentre l’editoria rischia a questo punto di fagocitare tutto quel che resta.

 

Non è riuscito a Cesare Romiti il sogno di trasformarsi da grande manager in grande capitalista, un progetto affidato ai figli Maurizio e Pier Giorgio. Sono falliti sia il progetto di un polo finanziario-industriale mettendo insieme Marzotto, Rizzoli e importanti partecipazioni bancarie (Commerciale, Credito Italiano), affidato a Maurizio, sia l’idea di un colosso delle infrastrutture con Impregilo guidata da Pier Giorgio.

 

Le cose sono andate meglio in casa Berlusconi nonostante le tensioni inevitabili tra la prima e la seconda famiglia. La scelta chiave è stata quella di affiancare i rampolli a due manager di spessore: Pier Silvio in Mediaset è stato svezzato da Fedele Confalonieri, Marina in Mondadori da Maurizio Costa. Intanto Barbara si fa le ossa nel Milan secondo una tradizione inaugurata dagli Agnelli con la Juventus, destinata ai cadetti.

GILBERTO BENETTON GILBERTO BENETTON

 

Proprio gli Agnelli, la famiglia reale del capitalismo italiano, hanno rischiato di perdere tutto dopo la morte di Gianni e del fratello Umberto. Non è mai stata facile la successione in casa Fiat, attraversata da tragedie umane (si pensi al suicidio di Edoardo, il figlio dell’Avvocato) o maledizioni del caso (come la morte improvvisa a soli 33 anni di Giovanni Alberto, figlio di Umberto). Per un quarto di secolo è toccato gestire gli affari a un uomo di massima fiducia come Vittorio Valletta che mai avrebbe pensato di farsi re.

 

Poi nel 1976 è Cesare Romiti a salvare, con il sostegno di Cuccia, un gruppo arrivato al lumicino. Nel biennio terribile 2003-2005 l’addio della famiglia viene evitato grazie a due mosse audaci: primo blindare la proprietà, ricorrendo a una manovra finanziaria ai limiti della legge, poi scegliere un manager di prim’ordine come Sergio Marchionne. A John Elkann, nipote dell’Avvocato, il compito di mantenere gli equilibri nel clan, composto ormai da un centinaio di membri, grazie alla quota prevalente lasciatagli dal nonno.

 

fratelli benettonfratelli benetton

Proprietà sotto controllo, più un professionista dotato di ampi poteri. E’ la formula Fiat dell’ultimo decennio che ha consentito anche di cogliere al volo la più grande (e rischiosa) delle occasioni come acquisire la Chrysler già rifiutata da Romiti e dagli Agnelli negli anni Novanta. Vedremo dopo la fusione e la quotazione a Wall Street quale sarà la posizione della famiglia nella nuova compagnia italoamericana che si fa sempre più globale. E ci saranno certamente nuove alleanze, con Volkswagen o qualche altro grande produttore, soprattutto in Europa e in Asia.

 

Tuttavia la vicenda Fiat rappresenta un punto di riferimento. Sulle sue orme si è mossa, per diventare leader mondiale nei giochi e nelle scommesse, anche la De Agostini, controllata dalle famiglie Boroli e Drago. La polemica sulla sede a Londra è davvero di retroguardia. Milano non è mai riuscita a uscire dalla sua dimensione provinciale, non è lì che si capisce cosa accade nel mondo. Quanto alle tasse, è ora che l’Italia riduca le imposte, magari non così tanto come in Irlanda, ma almeno in linea con la Germania. Ampliare la base imponibile è più importante che alzare le aliquote soprattutto in un mondo in cui la concorrenza passa più per il fisco che per la valuta.

bernardo caprotti esselunga bernardo caprotti esselunga

 

Meglio smetterla con le geremiadi sulle imprese vendute allo straniero, da Loro Piana a Bulgari (due che hanno venduto al massimo intascando una barca di quattrini), da Parmalat ad Acqua di Parma, da Poltrona Frau a Ducati, ecc. ecc. Perché mai fanno più notizia di quelle comprate dagli italiani? Da Brembo a Campari, da Gtech (De Agostini), a Cremonini, da Ferrero a Zanetti o alla Ima (macchine automatiche), solo per citare alcune acquisizioni dall’inizio dell’anno per un valore di circa quattro miliardi di euro superiore al valore delle imprese cedute nello stesso periodo.

 

SILVIO BERLUSCONI CON LA FIGLIA MARINA E I NIPOTISILVIO BERLUSCONI CON LA FIGLIA MARINA E I NIPOTI

E la successione? I grandi gruppi che vogliono competere devono affidarsi a un professionista della gestione. Le piccole aziende guidate da innovatori di prima generazione vanno aiutate a crescere e mettersi insieme, le medie che hanno già raggiunto la prima meta, debbono essere instradate verso la Borsa e sottratte alla dipendenza sempre più tirannica delle banche.

 

Nel suo romanzo “Le mosche del capitale” Paolo Volponi, scrittore comunista stipendiato prima dalla Olivetti poi dalla Fiat, aveva paragonato l’impresa capitalistica a Leopold Mozart, il padre di Wolfgang Amadeus: “A me sembra che siano identici, simili nella natura di promotori organizzatori persecutori e consolatori”. Ma i genitori debbono uscire di scena non appena i figli hanno imparato a volare.

CARLO DE BENEDETTI E FIGLIO RODOLFO CARLO DE BENEDETTI E FIGLIO RODOLFO

Ultimi Dagoreport

elly schlein giuseppe conte roberto fico vincenzo de luca eugenio giani

DAGOREPORT - PARAFRASANDO NANNI MORETTI, CON LEADER DEL CALIBRO DI ELLY SCHLEIN E DI GIUSEPPE CONTE, ''IL CENTROSINISTRA NON VINCERA' MAI'' - IN TOSCANA, I DUE "GENI" HANNO TENTATO DI ESTROMETTERE IL “CACICCO” EUGENIO GIANI, REO DI SANO RIFORMISMO, CHE SI È DIMOSTRATO CAVALLO VINCENTE – IN CAMPANIA, INVECE, RISCHIANO DI ANDARE A SBATTERE CON IL CAVALLO SBAGLIATO, IL FICO DI GIUSEPPE CONTE, CHE TRABALLA NEI SONDAGGI: URGE UN FORTE IMPEGNO DI RACCOLTA VOTI DEL "CACICCO" TANTO DISPREZZATO DA ELLY: VINCENZO DE LUCA (CHE A SALERNO SE LA DEVE VEDERE CON IL CONCITTADINO E CANDIDATO DEL CENTRODESTRA, CIRIELLI) – CON L’INCONSISTENZA STORICA DEL M5S A LIVELLO LOCALE, IL “CAMPOLARGO” VA AL PIU' PRESTO ACCANTONATO: TROPPI "PRINCIPI" DIVERSI TRA PD E M5S PER UN'ALLEANZA, MEGLIO UNA COALIZIONE IN CUI OGNUNO CORRE COL SUO PROGRAMMA CERCANDO DI MASSIMIZZARE IL CONSENSO - SOLO DOPO IL VOTO, IN CASO DI VITTORIA, SI TROVA L'ACCORDO (E COME DIMOSTRA LA COALIZiONE DEL GOVERNO MELONI, LA GESTIONE DEL POTERE È IL MIGLIOR PROGRAMMA...) - VIDEO

giorgia meloni guido crosetto

IL "FRATELLASTRO" CROSETTO FA BALLARE GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI: “SE GLI STATI EUROPEI NON RINUNCIANO ALLA LORO SOVRANITÀ IN ALCUNI SETTORI, SONO MORTI. SULLA DIFESA DOBBIAMO METTERE ASSIEME I 27 PAESI UE IN UN SOLO PROGETTO COMUNE” – LA POSIZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA È ALL’OPPOSTO DI QUELLA SOVRANISTA DELLA DUCETTA, CHE PIÙ VOLTE IN PASSATO HA REMATO CONTRO IL PROGETTO DI UN ESERCITO UNICO EUROPEO: “SAREBBE UNA INUTILE DUPLICAZIONE. IL SISTEMA DI DIFESA OCCIDENTALE È BASATO SULLA NATO, E NELLA NATO CI SONO ESERCITI NAZIONALI CHE COOPERANO TRA DI LORO. IO VOGLIO PIUTTOSTO UNA COLONNA EUROPEA DELLA NATO” – CHISSA' CHI ALLA FINE DIRA' L'ULTIMA PAROLA... - VIDEO

mauro gambetti papa leone mazza baseball san pietro pipi sagrato

DAGOREPORT: IL PISCIO NON VA LISCIO – PAPA LEONE XIV E’ FURIOSO DOPO IL SACRILEGIO COMPIUTO DALL’UOMO CHE HA FATTO PIPI’ SULL’ALTARE DELLA BASILICA DI SAN PIETRO – IL PONTEFICE HA ORDINATO UN RITO RIPARATORIO “URGENTE” E, SOPRATTUTTO, HA FATTO IL CULO AL CARDINALE GAMBETTI, ARCIPRETE DELLA BASILICA VATICANA, CON UN CONFRONTO “TEMPESTOSO”: E’ IL TERZO GRAVE EPISODIO IN POCO PIU’ DI DUE ANNI AVVENUTO NELLA CHIESA PIU’ IMPORTANTE DEL MONDO – NEL MIRINO FINISCONO ANCHE GLI UOMINI DELLA GENDARMERIA VATICANA, INCAPACI DI INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE E DI PREVENIRE GESTI SACRILEGHI DELLO SVALVOLATO DI TURNO – VIDEO!

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…