SILICON VALLEY, SCOPPIA LA BOLLA INTERNET? - LICENZIAMENTI IN MASSA, PERDITE, RISTRUTTURAZIONI - I GIGANTI DELLA RETE TREMANO: AMAZON NEI GUAI IN BORSA, MICROSOFT E YAHOO TAGLIANO IL 14% DEL PERSONALE, HP PRECIPITA

Si è inceppata la macchina da soldi di Internet. Gli esperti si dividono: distruzione creativa o stagnazione secolare? Amazon segna un rosso record, Microsoft taglia ancora. Le Borse cominciano a perdere la fiducia mentre tutti, dai big alle start-up, affrontano crisi. De Kerckhove: “L’hi-tech non perdona, oltre all’innovazione conta molto la spregiudicatezza”...

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1. COM’ERA VERDE LA SILICON VALLEY

Federico Rampini per “la Repubblica

 

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Che cosa succede se si guasta la macchina da soldi della Rete? Da qualche tempo l’economia digitale occupa le prime pagine dei giornali non solo per collocamenti in Borsa miliardari, innovazioni futuristiche, start-up fondate da imprenditori-ragazzini, ma anche per annunci ben più duri: licenziamenti in massa, perdite, ristrutturazioni. Gli esperti si dividono, tra chi loda la flessibilità tipica della «distruzione creativa», e chi invece intravede una «stagnazione secolare» all’orizzonte.

 

La settimana scorsa si è chiusa con Wall Street in allarme per i guai di Amazon. Il più grande supermercato online, che dai libri si è allargato fino a vendere di tutto, continua ad aumentare le sue perdite. Fin qui Amazon faceva notizia per la sua aggressività, per esempio i metodi spietati che usa per piegare al suo volere gli editori di libri (è arrivata a sabotare le vendite dei titoli Hachette per mettere in ginocchio la casa editrice).

 

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Ma come imprenditore, il fondatore e capo di Amazon, Jeff Bezos, era circondato dalla venerazione. Ora sono gli investitori a tremare. Il fatturato di Amazon continua a crescere, 20 miliardi di dollari nell’ultimo bilancio trimestrale, ma di profitto non c’è traccia. Anzi, le perdite aumentano, a 126 milioni in un trimestre. La Borsa ha reagito “cancellando” 15 miliardi di capitalizzazione di questo gruppo.

 

Il modello Bezos è rimasto fedele a se stesso: lui punta a divorare quote di mercato, accaparrare clienti, distruggere i concorrenti; dopo aver fatto terra bruciata attorno a sé verrà il momento di raccogliere i profitti. Ma dopo averlo tanto osannato, i mercati cominciano a temere che il profitto non arrivi mai. Tanto più che Amazon perde quota nell’unica nicchia redditizia: “the cloud”, la nuvola, cioè l’attività che consiste nell’affittare ad aziende clienti la propria capacità di memoria e di calcolo, un pezzetto dei propri server. Nel “cloud” altri si fanno strada con successo, dai grossi nomi come Google ad imprese molto più piccole.

BILL GATES MICROSOFT BILL GATES MICROSOFT

 

Amazon non è arrivata al punto da dover annunciare maxi-licenziamenti, anche se sperimenta molte tecnologie che eliminano manodopera umana, dai droni per le consegne ai robot per la gestione dei magazzini-deposito. Ma altri gruppi hi-tech stanno tagliando gli organici senza pietà.

 

Accade a Seattle, la città della West Coast settentrionale dove hanno sede Amazon e Microsoft, così come più a Sud nella Silicon Valley vera e propria. L’azienda fondata da Bill Gates licenzia 18.000 dipendenti, il 14% di tutta la sua forza lavoro. Un’ecatombe, senza precedenti nei 39 anni di storia di un’azienda che all’apice del suo successo era diventata “sinonimo” dell’informatica.

 

È più del triplo dei licenziamenti che vennero decisi dalla stessa Microsoft cinque anni fa, al termine della più grave recessione dalla nascita dell’azienda. Il colpo più duro si concentra sui dipendenti europei della Nokia, colosso finlandese della telefonia mobile, la regina decaduta dei cellulari ormai in preda al declino. La divisione della Nokia che produce telefonini fu comprata da Microsoft, e il grosso dei licenziamenti (12.500) avverranno proprio lì. Restano pur sempre altri 5.500 licenziamenti che riguardano proprio la casa madre americana, a riprova che l’economia digitale non è solo una macchina che crea ricchezza e lavoro.

facebook Zuckerberg facebook Zuckerberg

 

La crisi di Microsoft è relativa — l’utile aumenta… anche grazie ai licenziamenti — ma conferma quanto sia “instabile” ogni equilibrio dell’industria hi-tech. Le gerarchie, i rapporti di forze tra i big sono esposti a shock improvvisi. Le fortune degli imprenditori possono cambiare repentinamente, strategie consolidate vengono travolte da errori di previsione e rovesci brutali.

 

È solo pochi mesi fa che l’acquisizione di Nokia da parte di Microsoft fece scalpore. Quell’operazione confermava la centralità degli smartphone nell’economia digitale. Da quando i cellulari hanno iniziato a soppiantare i personal computer come strumento di accesso a Internet, tutti hanno dovuto adattare le proprie strategie: da Microsoft a Google a Facebook. L’azienda fondata da Bill Gates, in particolare, nel suo fatturato e nei suoi utili è ancora troppo dipendente dalla vendita di software per computer.

 

LOGO HP LOGO HP

Nella Silicon Valley, che comincia a Sud di San Francisco, una vicenda esemplare è quella di Hewlett Packard. Questo colosso, designato dalle iniziali Hp, ha una storia che quasi coincide con la genesi della Silicon Valley in quanto distretto industriale leader nelle tecnologie avanzate. Gran parte dell’elettronica moderna nella sua evoluzione è stata accompagnata dall’ascesa di Hp e di alcuni giganti vicini come Intel.

 

Eppure da anni Hp è una macchina di distruzione dell’occupazione. Marchio ancora diffuso nei personal computer, nelle macchine da ufficio multi-uso (fotocopiatrici più fax più stampanti più scanner), Hp non si è mai veramente ripresa dall’urto competitivo delle delocalizzazioni asiatiche, che hanno trasformato lo hardware in una commodity, prodotti di massa a basso prezzo e minimo margine di utile.

 

Hp all’inizio di questa estate ha annunciato che licenzierà dagli 11.000 ai 16.000 dipendenti, che vengono ad aggiungersi ai 34.000 posti già eliminati. Il 10% dei dipendenti sono condannati, è il prezzo da pagare perché il gruppo continui a presentare dei bilanci in utile. Un’emorragia di occupazione che sembra inarrestabile. E tutt’altro che rara.

STEVE JOBS STEVE JOBS

 

A poca distanza dal quartier generale di Hp c’è quello di Yahoo, un’azienda che sta finendo di smaltire duemila licenziamenti, pari al 14% di tutti i suoi dipendenti. Perfino i piccoli e i neonati talvolta licenziano: lo specialista dei giochi online Zynga ha mandato via l’anno scorso 320 persone che rappresentano il 18% dell’organico.

 

In quanto a “sua maestà” Apple, che molti considerano ancora un modello da emulare nella Silicon Valley, il suo ultimo bilancio riserva una sorpresa. Apple piace ancora alla Borsa, i suoi utili sono in ottima salute, ma solo grazie alla Cina. Dopo un accordo con il più grande operatore telecom della Repubblica Popolare, è scoppiata sul mercato cinese una Apple-mania, con aumenti vertiginosi negli acquisti di iPhone, nonostante il costo molto elevato rispetto ai concorrenti locali o sudcoreani.

 

Derrick de Kerckhove Derrick de Kerckhove

Bel colpo, che ridà slancio all’azienda fondata da Steve Jobs proprio mentre sembrava appannarsi la sua vena innovativa. Ma sarebbe pericoloso ignorare che dietro l’exploit cinese non c’è altro di cui rallegrarsi: nei mercati più avanzati, Usa in testa, ci sono segnali di stanchezza dei consumatori sia negli acquisti di iPhone che di iPad.

 

La lezione è che non esistono vantaggi competitivi acquisiti per sempre. Perfino aziende adolescenti come Facebook vivono come un incubo il rischio di obsolescenza: il social network ha il vizio genetico di essere nato in un’epoca in cui si usava ancora il personal computer per collegarsi a Internet, mentre oggi i giovani abbandonano in massa i computer e usano prevalentemente gli smartphone.

 

La rivoluzione “architettonica” per passare da un design dei siti computer-centrico ad uno smartphone-centrico, mette a dura prova anche aziende dove l’età media dei manager non raggiunge i trent’anni.

 

La velocità del cambiamento è una delle spiegazioni delle ondate di licenziamenti: le imprese hi-tech usano la flessibilità estrema del mercato del lavoro americano per riadattare senza sosta la tipologia dei talenti che impiegano. Un’altra spiegazione, più strutturale, punta verso la teoria della “stagnazione secolare” di Larry Summers: l’idea cioè che rischiamo di entrare in un ciclo dove la spinta alla crescita proveniente dalle innovazioni ha esaurito i suoi effetti.

 

2. “L’HI-TECH NON PERDONA, VINCE CHI È SPREGIUDICATO”

Eugenio Occorsio per “la Repubblica

 

APPLE APPLE

La tecnologia va così veloce che chi la cavalca corre il rischio di essere disarcionato a ogni istante. Peggio: dietro le spalle dei produttori ci sono investitori famelici pronti ad azzannarti se anziché il 20 hai guadagnato in quel trimestre solo il 10 o il 5%». Derrick de Kerckhove non si stupisce dei passi falsi dei nomi più smaglianti della Silicon Valley.

 

Sociologo belga naturalizzato canadese, erede di Marshall McLuhan alla gloriosa scuola di massmediologia di Toronto, viene spesso in Italia in quanto direttore scientifico della rivista Media Duemila. E ha idee precise sul nostro Paese: «La tecnologia è un settore a concorrenza spietata perché rifornisce le aziende di ogni comparto, e in tutto il mondo ci si rende conto dell’importanza della tecnologia per lo sviluppo. Tranne che in Italia. Speriamo che ora che avete un premier “twittatore” le cose migliorino».

 

Qual è stata, professore, l’ultima vera invenzione del settore hi-tech? Facebook, Twitter?

«No, ci sono stati altri tre passaggi importanti dopo. Intanto attenzione: il social networking non l’hanno inventato loro, l’hanno solo commercializzato meglio. Altrettanto vale per le tre “metafore” della rete che negli ultimi tempi vanno per la maggiore: il cloud che per la verità è insito nel concetto di rete perché è naturale che uno si vada a prendere informazioni “depositate” altrove in qualche nuvola, l’Internet delle cose che non significa altro che qualche nuovo apparecchio collegato al web, e il Big Data che vuol dire organizzare le grandi masse di dati alle quali abbiamo tutti accesso, un lavoro che possiamo fare benissimo da soli a seconda di cosa ci serve. Metafore come quelle dei poeti, o mantra come quelli degli indiani, solo che qui significano soldi. È difficile inventarsi innovazioni veramente tali in grado di sbaragliare il mercato. E meno che mai oggetti perfetti. Neanche Steve Jobs ci riusciva».

 

Per questo diceva “stay foolish, stay hungry”, insomma non ti accontentare mai, agli studenti?

BILL GATES CON IL TABLET NEL DUEMILADUE BILL GATES CON IL TABLET NEL DUEMILADUE

«Qualsiasi ragazzo un minimo scaltro con la tecnologia, tanto per fare un esempio, capisce che gli smartphone equipaggiati con il sistema Android sono migliori degli iPhone perché per fare gli sms riconoscono subito la lingua che stai usando e “guidano” l’utente con le parole giuste appena “leggono” poche lettere. O che gli iPad sono ingombranti e poco ergonomici. Eppure la Apple è il successo commerciale che è. È arrivata prima, è vero, però a volte non sa tenere il passo con la concorrenza. Tutto questo lo dico perché in un mercato fatto di clienti sempre più competenti, nulla ti viene perdonato. C’è poi il problema della saturazione e degli eccessivi entusiasmi programmatici, e qui parlo del caso Amazon. Servirebbe un cambio di paradigma autentico. Oppure un’azienda talmente potente, patrimonializzata e anche spregiudicata da poter reggere errori di valutazione drammatici come quello di Bill Gates che non capì l’importanza di Internet. Quando si rese conto, per cavarsela dette una spallata spaventosa a Netscape che finì col fallire e massimizzò i suoi profitti a costo di affrontare una maxi causa antitrust nella quale non si sa come abbia fatto a cavarsela. Per questo dicevo che bisogna essere anche spregiudicati».

 

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