VIVA CAPROTTI! - “MI DANNO DEL FASCISTA, MA IO SONO PER IL CAMBIAMENTO - STIMO BERSANI PER LE SUE RIFORME - ITALIA NEMICA DELLE AZIENDE, SIAMO UN POPOLO DI LAZZARONI”

Dino Messina per “Il Corriere della Sera

 

bernardo caprotti esselunga bernardo caprotti esselunga

«Conosco Gualtiero Marchesi dai tempi del Mercato della frutta e verdura, lui faceva panini e pranzi, io talvolta ci sono stato di primo mattino, o alla sera per cena». Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga, classe 1925, ci attende in piedi, al Marchesino di piazza della Scala, ultima creatura del suo amico decano della nouvelle cuisine italiana, sfogliando il menu su un Ipad.

 

«Lei cosa mangia? Io pochissimo. Il mio piatto preferito è il risotto giallo con cotoletta alla milanese: sono presuntuoso se le dico che sono stato io a spiegare a Gualtiero come cucinare la vera milanese, alta oltre un centimetro, pochissimo impanata, sennò mangi pane fritto?».

GUALTIERO MARCHESIGUALTIERO MARCHESI


Caprotti è circondato dai giovani camerieri e maître di sala, qualche avventore si gira a guardarlo mentre andiamo verso il tavolo. «Da quando ho scritto nel 2007 “Falce e Carrello” non posso fare due passi che mi riconoscono, vengono a stringermi la mano». «Falce e Carrello», un bestseller da trecentomila copie pubblicato da Marsilio che a un certo punto fu sequestrato su denuncia dei dirigenti Coop, il grande rivale, che si ritenevano diffamati da Caprotti. Dopo pochi mesi la censura venne bloccata e il libro schizzò nelle vendite.

 

«Era un po’ di tempo che mi stuzzicavano, dicendo che volevano comprare l’Esselunga, Prodi ne accennò persino in televisione. Allora scattai e decisi di denunciare il loro comportamento». Una vicenda che ha generato infiniti processi: «Otto cause vinte in primo grado, 3 in Appello, ma ora hanno presentato ricorso in Cassazione. Sembra che noi italiani abbiamo una passione per la Cassazione e per tutto ciò che è formalismo giuridico».

esselunga esselunga


Mentre il sommelier Sebastiano stappa una bottiglia di Barbera di Diego Conterno, e Elda e Angela portano gli antipasti (mousse di melanzane, tartare alla piemontese su cucchiaio, salmone su pane bianco, cocktail di triglia), Caprotti mi passa un foglio aziendale: la multa di 6.000 euro per una incompleta tracciabilità di una partita di acciughe. Il prodotto è italiano senza dubbio, ammettono i burocrati, ma per scriverlo sulla confezione, benché l’origine sia provata, occorre sia acquistato direttamente dal peschereccio, senza intermediari!

romano prodi (2)romano prodi (2)


«L’Italia non è un Paese amico delle aziende, tutte queste norme e le tasse che arrivano al 60 per cento ci soffocano. Così nasce il fenomeno della delocalizzazione: Squinzi di Confindustria è fuori con l’80 per cento, Bombassei con il 90, Pirelli con il 94. La famiglia Fontana, grandi produttori di bulloni, hanno 22 stabilimenti sparsi per il mondo e uno a Veduggio, tanto per dire di essere brianzoli. Quando ho cominciato, tra la fine degli anni Quaranta e i primi Sessanta, c’era un’altra aria, eravamo liberi di fare. Poi in mezzo secolo abbiamo distrutto quel che avevamo costruito: pur essendo la gente più frugale e operosa della Terra, ci siamo ridotti a un popolo di lazzaroni».

Giorgio Squinzi Giorgio Squinzi


Mister Esselunga ama fare le battute, in italiano, in francese, omaggio alla lingua di sua madre, in inglese. Sua figlia Marina abita a Londra, ma soprattutto per Caprotti l’inglese divenne fondamentale quando il padre Giuseppe, industriale del cotone di Albiate, in Brianza, lo mandò nel Massachusetts e nel Maine a studiare le macchine tessili.

 

Nelson RockefellerNelson Rockefeller

«Nel 1952 ero da poco laureato: quando arrivai in America, la prima cosa che mi portarono a vedere i miei colleghi svedesi fu un supermercato. Ai tempi una novità anche per gli Stati Uniti. Così, dopo il mio rientro in Italia, quando Nelson Rockefeller, governatore dello Stato di New York e futuro vicepresidente degli Stati Uniti con Gerald Ford, cercava soci per aprire una catena di supermercati in Italia, sapevo di cosa si trattava. Nel 1963 rilevammo la quota di Rockefeller per 5 milioni di dollari, in realtà alla fine ne pagammo poco più di 4, attingendo ai beni di famiglia e a un prestito di un miliardo e mezzo di lire dal Banco Ambrosiano».


In tavola arrivano, portati dal rumeno Vassi, una caprese e un antipasto di branzino e manzo crudi, con salse varie. «Quando aprimmo in viale Regina Giovanna, non fui originale nello scegliere il nome, Supermarket, ma chiamai un amico, vero talento del design, Max Huber: inventò quella esse allungata che poi divenne il nome dato dai clienti ai nostri negozi. Oggi ne abbiamo 149, abbiamo raddoppiato la nostra presenza negli ultimi dieci anni grazie alle liberalizzazioni di Bersani».

 

pierluigi bersanipierluigi bersani

Che fa, dottor Caprotti, parla bene di un ex comunista? «Voi giornalisti mi avete stufato con la leggenda che io sono un uomo di destra, qualcuno mi ha addirittura dato del fascista. In realtà io sono stato sempre di sinistra. Mia madre, francese, non diede la fede alla patria nel 1936. Io sono stato sempre per il cambiamento.

 

Indro MontanelliIndro Montanelli

Ho grande stima per Bersani, l’uomo che ci ha consentito liberalizzando le norme sulla superficie dei negozi, di aprire spazi grandi, da 2.500 a 4.500 metri quadrati, e aumentare così l’offerta. Una volta il numero di frutta e verdura esposti in un supermercato non superava la cinquantina, oggi sono 450. E per questi, come per i 20 mila prodotti complessivi, occorrono spazi».


All’arrivo dei ravioli di melanzane e del baccalà mantecato, il ghiaccio si è completamente rotto. «Come mai ho sempre dato poche interviste? Perché volevo essere discreto. Ma uno dei miei migliori amici era un giornalista, Indro Montanelli, lo accompagnavo nella sede del “Giornale nuovo” di via Negri e gli dicevo di piantare tutto e scrivere le sue memorie. Per me la prosa di Indro aveva la bellezza delle incisioni di Dürer».

BachBach

 

Il libro preferito? «Un vie» di Guy de Maupassant. E la musica? «Bach per sempre e il grande Barocco». La squadra del cuore? «Non ce l’ho. Ho giocato a tennis e sono stato cacciatore. Avevo un cane, Pippo, che quand’era in ferma si voltava e sembrava mi parlasse».


Caprotti infine non si sottrae a una battuta sul futuro: «Sono quasi centenario, il 7 ottobre entrerò nel novantesimo anno, ma immagino per Esselunga un futuro di azienda familiare».

 

MaupassantMaupassant

Della lite giudiziaria con i due figli maggiori che lo ha visto di recente prevalere non vuole parlare. «Un dolore». Della sfida aziendale sì: «Quali saranno i negozi del futuro? Se ne hai 5 e sbagli il modello di business puoi passare a far altro, ma se ne hai 149 e 21 mila dipendenti e non indovini il format, ti devi solo sparare. Domani andrò a fare un giro al cimitero di Albiate e in qualche negozio della Brianza». Perché il signor Caprotti il sabato mattina spesso sceglie uno dei suoi supermercati per una visita. Il segreto della vita è pensare sempre al futuro e non smettere mai.

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