Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
«Mi raccomando, cercate di non parlare in casa perché sarà piena di microfoni». Frammenti di storia che ritrovano un'attualità sinistra, a quaranta e passa anni di distanza.
Nell'agosto del 1979, Enrico Berlinguer porta la famiglia in vacanza. Moro è morto da un anno e mezzo; dall'intervista al Corriere in cui il segretario del Pci aveva dichiarato di sentirsi più sicuro nella Nato di anni ne sono passati tre. La minaccia del terrorismo lo costringe a evitare la Sardegna.
Si decide di andare in Unione Sovietica, passando in mare dalla Grecia. All'arrivo, sul ponte della nave, Berlinguer esclama: «Oddio, c'è Ponomarëv!», il dirigente del Pcus che si occupava dei partiti comunisti non al governo. Da lì l'indicazione alle figlie Bianca e Laura, «non parlate in casa perché sarà piena di microfoni», la concreta paura di essere spiati poi trasformata in una specie di gioco.
enrico berlinguer in barca a stintino
A cento anni dalla nascita di Enrico Berlinguer, Fabrizio Rondolino imprime su carta un «documentario» sulla sua vita (Il nostro Berlinguer. Racconti e immagini di una vita straordinaria , Rizzoli), selezionando da una sterminata pubblicistica le istantanee che ricostruiscono l'esistenza del leader più amato della sinistra italiana e superando i luoghi comuni dell'uomo sobrio fino all'austerità, silenzioso fino alla timidezza, severo fino alla tristezza. D'altronde, come disse il fratello Giovanni, «Enrico era allegro, gli piaceva divertirsi».
enrico berlinguer eugenio scalfari ciriaco de mita
Quel divertirsi che si manifesta negli anni Trenta al Bar Sechi di piazza Azuni, a Sassari. Quando la leggerezza della quotidianità si impone su un'infanzia che rimarrà segnata dalla morte della mamma. «Il bar aveva una sala biliardo. Nel retro si giocava a carte. Poker o ramino. Lì Enrichetto faceva l'alba, perdendo somme notevoli e marinando la scuola» (la citazione recuperata da Rondolino è del Berlinguer segreto di Amedeo Lanucara). L'amore per il poker, caratteristica del Berlinguer privato, tornerà nelle parole del fratello Giovanni: «Sì, però non è vero che perdeva. E coi soldi si comprava i libri di filosofia. E la filosofia credo fu l'anticamera della politica».
Già, la politica. Nel 1944, presentatogli dal padre, Berlinguer conosce Togliatti a Salerno. L'anno dopo è a Roma, dirigente del Movimento giovanile comunista. Dirà il suo compagno Renzo Trivelli: «Mangiavamo assieme alla mensa. Enrico a volte estraeva un pacchettino con pecorino sardo e l'offriva a tutti. Spesso, dopo pranzo, scendevamo giù in strada a tirare quattro calci al pallone: cappotti e giacche in terra erano i pali delle porte».
Compra un'Harley Davidson troppo grande per lui; quando arriva negli uffici della Direzione, i compagni della vigilanza lo aiutano a scendere e salire dal mezzo. Qualche mese dopo, accampando motivi di sicurezza, il partito gli proibirà di usarla. «Fu un dispiacere vero», si legge nelle pagine di Rondolino.
Il racconto segue un ordine cronologico. La morte di Togliatti, la successione a Longo alla guida del Pci, gli articoli per Rinascita sulla questione cilena, la solidarietà nazionale, la morte di Moro, la sfida con Craxi, i fischi al congresso socialista.
Fino agli ultimi giorni, al maledetto giugno del 1984. «Il 30 maggio Berlinguer è allo stadio per la finale della Coppa dei Campioni fra la Roma e il Liverpool. Giuseppe Fiori lo incontra all'Olimpico e l'umore del segretario è eccellente: «Diversamente da tutte le altre volte, l'aspetto era d'un uomo nient' affatto esausto, anzi al meglio del vigore».
Tre giorni dopo, in occasione della Festa della Repubblica, parla in tv adombrando un bis al Quirinale di Pertini: «È stato un grande presidente e torneremo a votarlo».
Il 5 giugno si riunisce la direzione del partito, con la scelta di promuovere un referendum sulla scala mobile che passa «con un voto di stretta misura» (Luciano Barca). Il 7 arriva a Padova, per quelli che sarebbero stati l'ultimo drammatico comizio, il malore, il canto del cigno. La testimonianza dell'autista Alberto Menichelli, citata da Rondolino: «Salimmo in camera, si stese sul letto. Aveva conati di vomito, diceva che era la reazione alla cena di Genova. (…) Realizzai che "la cena di Genova" furono le ultime parole pronunciate da Berlinguer».
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